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IL PANE E LE ROSE - classe capitale e partito
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Fermiamo la nuova aggressione imperialista
ai proletari e agli oppressi della Siria!

(31 Agosto 2013)

Dunque, salvo clamorosi passi indietro dell'ultimo minuto, il dado è tratto.

Lo stato che ha usato l'arma atomica polverizzando i civili di Hiroshima e Nagasaki; il potere criminale che ha scaricato sul popolo vietnamita un oceano di armi chimiche che accecano ancora oggi più di 700.000 bambini; che ha seminato i veleni cancerogeni dell'uranio impoverito ovunque ha potuto, dall'Iraq al Kosovo; che è stato ed è implicato nelle più infami guerre degli ultimi 60 anni, dalla guerra di Corea alla recente carneficina nel Congo; che ha le mani sporche del sangue di moltitudini di genti di colore brutalizzate e falciate dal suo esercito, dalla sua aviazione, dai suoi alleati; che ha architettato e attuato embarghi genocidi ai danni dei "popoli ribelli"; proprio questa super-potenza, la "nazione indispensabile" quando c'è da schiavizzare e torchiare le classi lavoratrici di tutto il mondo, proclama con oscena ipocrisia di dover punire Assad per aver usato armi chimiche contro il proprio popolo. E trova immediatamente i suoi volonterosi carnefici di complemento nelle decrepite potenze coloniali di un tempo, Gran Bretagna e Francia, bramose di tornare ai fasti di un tempo che non tornerà mai più.

Essendo escluso dall'esperienza storica di secoli che l'imperialismo possa svolgere "azioni umanitarie", anche solo per sbaglio, resta da indicare e denunciare le reali ragioni dell'imminente azione militare NATO in Siria. Queste ragioni non sono affatto misteriose. Al di là dei motivi tattici contingenti, la loro radice ultima, strategica, sta nella totale ostilità dei governanti occidentali alla catena delle sollevazioni popolari e proletarie arabe degli ultimi due anni, di cui la sollevazione siriana è stata ed è parte, nonostante la fase di terribili difficoltà e divisioni che sta attraversando. Sicché al pari di tutte le altre manovre occidentali degli ultimi tempi, anche l'aggressione in preparazione alla Siria entra nella rubrica delle aggressioni alla grande Intifada araba.

Ove l'avesse mai avuta sul serio, cosa di cui dubitiamo, Washington ha messo ben presto da parte l'illusione che dalle sollevazioni potessero nascere governi più servili verso le potenze occidentali di quelli di Mubarak, Ben Alì, Saleh, etc., e ha puntato le sue carte su cambiamenti di sola facciata che salvassero il nocciolo dei vecchi regimi repressivi essenziali alla conservazione del dominio economico e politico dell'imperialismo sul mondo arabo e sul Medio Oriente. Le masse lavoratrici e giovanili oppresse dei paesi arabi in rivolta dovevano essere rimandate al più presto a casa per tornare a svolgere disciplinatamente la funzione di forza di lavoro povera e senza diritti assegnata loro dal capitalismo globale. A nessuno più che ai poteri forti dell'Occidente, infatti, è risultato subito chiaro che la prosecuzione e la radicalizzazione della grande Intifada araba avrebbe inevitabilmente terremotato l'ordine capitalistico mondiale, già scosso da anni, nel suo epicentro, da una crisi economica e finanziaria di portata storica. E con ciò avrebbe messo a rischio la pace sociale ancora in atto in larga parte delle metropoli occidentali.

Se per più di due anni il regime di Assad è stato totalmente libero di massacrare e disperdere fuori dal paese gli strati popolari della Siria (non certo la borghesia, tuttora stretta maggioritariamente intorno ad esso), è perché - oltre che a Mosca, Teheran e Pechino - la brutale repressione del moto popolare siriano è stata vista di buon occhio a Wall Street, in tutte le capitali europee e, inutile a dirsi, anche in Israele che da quel moto e dai suoi possibili sviluppi si è sentito minacciato, dopo 40 anni di tranquilla convivenza con la Siria della dinastia Assad. Del resto, anche alla vigilia degli annunciati bombardamenti l'amministrazione Obama ha tenuto a precisare: non puntiamo ad un cambio di regime. E c'è da credergli perché tutte le cancellerie occidentali, il governo italiano per primo, temono l'avvento di governi islamisti sgraditi o di governi che, comunque, debbano tenere conto delle aspettative di "libertà, eguaglianza e giustizia sociale" espresse dalle masse in rivolta. Temono altrettanto l'effetto-contagio che una sollevazione popolare vittoriosa in Siria potrebbe avere nei paesi confinanti.

Ma poiché neppure la brutale repressione del regime è servita a disperdere la sollevazione, ecco che gli Usa e i loro sodali (Roma sempre presente e attiva nel mestare, ci fosse a palazzo Chigi Berlusconi, Monti o Letta) hanno giocato la carta dell'esproprio: disconoscendo gli organismi popolari creati dalle lotte, hanno cercato di imporre forzosamente al movimento dal suo esterno, come suo “legittimo rappresentante”, un Consiglio nazionale siriano composto nella sua quasi totalità di fuoriusciti privi di legami con la rivolta popolare e ben disposti ad affittarsi all'Occidente per farne il nucleo di un governo di burattini o, almeno, amico. Questa manovra, però, è clamorosamente fallita: cosa che avrebbe dovuto far riflettere quanti, invece, davano per scontato il suo successo. A loro volta le iper-reazionarie petrolmonarchie sono intervenute nel conflitto sociale in corso per spingerlo verso una deriva confessionale ed etnica, seminando a piene mani i veleni dell'integralismo settario e dell'odio anti-curdo da cui il movimento era alle origini immune. Infatti il movimento popolare e proletario nato in Siria sulla scia della più generale sollevazione araba per iniziativa degli strati più poveri e schiacciati delle classi lavoratrici delle campagne e delle periferie delle grandi città, aveva all'atto della sua costituzione, e ha mantenuto per tutto un tratto, una chiara caratterizzazione unitaria, che i poteri imperialisti e le petrolmonarchie da un lato, Assad&C. dall'altro, hanno fatto di tutto per spezzare.

Ma poiché sia la sollevazione popolare, nonostante le sue laceranti contraddizioni interne, sia per converso il regime di Assad, hanno mostrato una capacità di tenuta, facendo svanire nel nulla – dai due versanti opposti - l'ipotesi di un governo CNS di affittati, Washington e l'Unione europea hanno cinicamente ripiegato sull'obiettivo del reciproco esaurimento delle forze opposte in campo. Che la Siria vada in rovina! Così le masse lavoratrici siriane e arabe avranno la lezione che meritano; e impareranno che, sollevandosi contro i poteri costituiti, ciò che li aspetta non è altro che il disastro sociale, la morte, la fame, l'esilio. Che l'economia siriana vada in rovina! Così noi (Washington e Unione europea) potremo trarne profitti ancora maggiori di quelli che abbiamo intascato con le politiche neo-liberiste di Assad figlio, potremo avere a nostra disposizione altri milioni di indigenti da schiavizzare, potremo riconquistare il pieno possesso delle ricchezze di gas e petrolio del sottosuolo siriano, etc. Purché... purché, però, non vada in rovina anche l'apparato di repressione statuale siriano che dovrà, comunque, tornare a garantire l'ordine del capitale, con o senza Assad, ma con i suoi strumenti di controllo, tortura e repressione rimasti operativi.

Lo dice chiaro e tondo “il Sole 24 ore” di oggi: “Spaventati per cosa possa accadere se i ribelli dovessero arrivare al potere, i Paesi occidentali, che chiedono da mesi la caduta del regime, oggi non sembrano desiderare un rovesciamento imminente del presidente siriano Bashar al Assad. In seno alla comunità internazionale, la soluzione di una transizione di potere negoziata resta la più condivisa”. È questo il "progetto umanitario" concepito dai banditi della NATO. Puntano ad una Ginevra II, nella quale affermare come diritto internazionale il loro diritto a decidere del destino della Siria, e anzitutto del destino delle masse lavoratrici siriane. Gli imminenti bombardamenti servono a rafforzare il loro "diritto" di brigantaggio al tavolo negoziale, indebolendo Assad e, soprattutto, il nascente asse Mosca-Pechino, ma sottraendo anche spazio alle loro stesse amiche petrolmonarchie che, per gli alleati del blitz krieg NATO, hanno fatto crescere eccessivamente le proprie ambizioni. I bombardamenti servono anche ad impedire che una parte dell'arsenale di Assad possa cadere nelle mani di gruppi di insorti armati da loro non controllabili. Insomma tutto tranne gli sbandierati scopi “umanitari”, “morali”, di “protezione delle popolazioni civili”.


Ai comunisti e ai proletari coscienti dei paesi imperialisti spetta perciò la denuncia a livello di massa di questa aggressione militare che è rivolta contro le masse proletarie e oppresse della Siria, per quanto sia oscenamente mascherata come punizione del loro carnefice. Questa aggressione è, e va denunciata, come parte integrante dell'aggressione finanziaria, politica, culturale e militare all'Intifada araba tutta. Questa denuncia va indirizzata anche e anzitutto, qui in Italia, contro il governo Letta-Berlusconi. Non c'è nulla di cui sorprendersi se la Bonino, nota per il suo estremo filo-sionismo e per le sue posture guerrafondaie, si dice favorevole a una soluzione politica e, per far partecipare i "nostri" droni e i "nostri" missili, chieda un'autorizzazione dell'Onu ai bombardamenti, che non potrà certo venire. Il fatto è che queste azioni di guerra a guida statunitense rischiano di far fare agli interessi italiani in Siria una brutta fine, com'è accaduto con l'aggressione NATO alla Libia. L'Italia infatti è presente in Siria con molte delle sue imprese, ha fatto ampio ricorso alle forniture siriane di petrolio e teme di essere penalizzata una seconda volta, non potendo - sull'orlo di una semibancarotta com'è - impegnarsi direttamente ora in ulteriori azioni belliche. L'Italia, inoltre, è il paese occidentale più fortemente esposto ai contraccolpi di un aumento del prezzo del petrolio, che le azioni di guerra della NATO già stanno provocando. Non c'è dunque una sola oncia di "pacifismo" nella posizione di Letta/Bonino&C., ma solo il tentativo di tutelare con una posizione "intermedia" occhieggiante alla Russia, alla Cina e alla recalcitrante Germania, interessi di sfruttamento e di rapina altrettanto sordidi di quelli yankee, britannici e francesi. Anche per Pd-Pdl e i loro accoliti montiani, infatti, a decidere delle sorti dei siriani, degli egiziani, degli afghani, dei libanesi, dei palestinesi e di quant'altri, dobbiamo essere "noi", perché tutto il mondo è "cosa nostra".

La denuncia intransigente, di classe, delle azioni di guerra imminenti e delle mene diplomatiche e politiche dei poteri imperialisti - del nostro governo e del nostro stato in primis - non può comportare alcuna forma di obliqua copertura o, peggio, di assoluzione del regime anti-proletario di Assad e del massacro che sta attuando contro le proprie genti. La sua retorica "anti-imperialista", a tempi scadutissimi, non può abbindolare nessuno. E chi, con presunte motivazioni di classe, si appiglia ad essa, mostra solo di avere smarrito ogni e qualsiasi fiducia nella lotta degli sfruttati, specie, poi, se arabi... Altro che "anti-imperialismo"! In realtà il regime di Assad, che ha esordito con i suoi eccidi a catena attaccando, assai prima che gruppi di ribelli armati, le dimostrazioni di massa e i comitati popolari sorti a centinaia nelle città e nei paesi fino ai più sperduti villaggi, si è guadagnato un posto di prima fila nell'alleanza reazionaria mondiale guidata dai paesi imperialisti, che si è scagliata contro l'Intifada araba. E a salvarlo non può certo bastare il prestigio acquisito in passato dall'alleato Hezbollah nella sua accanita resistenza contro Israele.

La nostra incondizionata solidarietà deve andare invece, più che mai, alla sollevazione araba nel suo insieme e a quella siriana in particolare, capace di resistere nelle sue forme di espressione non armate e armate ad un isolamento, ad una repressione, ad un'azione di manomissione senza precedenti. La stampa di casa nostra socializza la menzogna che questa nuova aggressione bellica è preparata e voluta dall'interno della Siria, come se quelli che si battono da due anni con un coraggio leonino non aspettassero altro che i missili "liberatori" della NATO, che non faranno invece che portare nuovi lutti, nuovi "danni collaterali", nuovi e grandi rischi di estensione dei conflitti armati in tutto il Medio Oriente. Certo, esistono, specie tra i combattenti armati, calcoli di tipo “afghano” (“che gli Usa e la NATO ci aiutino a cacciare Assad, poi regoleremo i conti anche con loro”); come esistono, fuori e dentro la Siria, nuclei infiltrati e dipendenti dalle petrolmonarchie e/o collegati direttamente con gli occidentali. Ma nulla è più falso e oltraggioso che rappresentare la sollevazione siriana nel suo insieme come dominata e perfino generata dall'imperialismo occidentale e da Israele. Contrariamente a queste nauseanti menzogne, i sentimenti anti-occidentali e anti-sionisti sono molto diffusi e radicati in Siria, ieri come oggi, e la sollevazione popolare li ha semmai rafforzati. Non è un caso se proprio i sobborghi di Damasco oggetto nelle scorse settimane di speciali "cure" da parte di Assad e dei suoi generali furono quelli più irriducibili nell'insurrezione anti-coloniale ai tempi del mandato francese in Siria. Dai settori più avvertiti del movimento siriano, inoltre, arrivano prese di posizione di questo tipo:


"La nostra rivoluzione non ha alleati sinceri, se non le rivoluzioni popolari nella regione e nel mondo e tutti i militanti che si battono contro i regimi basati sull'ignoranza, la servitù e lo sfruttamento. Questo crimine [il crimine compiuto a Ghouta - n.] è parte delle azioni efferate e criminali della cricca al potere contro le masse del nostro popolo, contro civili disarmati, senza alcuna considerazione della coscienza umana. Nel momento in cui le forze della controrivoluzione stanno organizzando un'offensiva contro le rivoluzioni in corso nella regione, guidate dall'Arabia Saudita e dai suoi alleati, il regime ha colto l'occasione di attuare questo infame massacro. Ma il nostro popolo, determinato nella rivolta, continuerà a resistere contro questi tiranni criminali e infliggerà loro la sconfitta e la punizione che meritano per i loro crimini.

Noi seppelliamo i nostri morti e cureremo i feriti. Saremo ancora più decisi e determinati nella lotta per la caduta di questo regime assassino e per la vittoria della rivoluzione del nostro popolo.

Per la libertà, la giustizia, l'uguaglianza e la giustizia sociale in Siria!

No a Washington! No a Mosca!

No a Riyad! No a Tehran!

Gloria ai martiri e cura ai feriti, vittoria alla rivoluzione popolare, tutto il potere e il benessere al popolo!"


Raccogliamo anche in Europa e in Italia questi appelli, gli appelli degli oppressi e degli sfruttati della Siria, che stanno facendo di tutto per reagire anche alla deriva confessionale ed etnica che si vuole imporre alla sollevazione da parte dei gruppi più influenzati e manovrati dai sauditi. Proviamo a scuotere dal loro torpore i lavoratori di casa "nostra". Indifferenti a queste vicende che sconvolgono l'esistenza di moltitudini di loro fratelli di classe, i lavoratori dell'Europa occidentale e dell'Italia continuano a coltivare la segreta, e neppure tanto segreta, speranza di poter evitare di passare attraverso sconvolgimenti di tipo jugoslavo o egiziano o, peggio, siriano, facendo blocco con le "proprie" imprese e i "propri" stati, e scaricando i maggiori costi della crisi altrove e su altri. Ma questa è la più infondata di tutte le speranze! Ne abbiamo già avuta una prova tangibile nella guerra alla Jugoslavia, che ha prodotto una catena di devastazioni sociali che, attraverso l'emigrazione di massa e le delocalizzazioni produttive, ha avuto pesanti ripercussioni negative anche sui lavoratori di “casa nostra”.


L'ultima parola del capitalismo imperialista in crisi è, ancora una volta, la guerra. Ma l'altra faccia della guerra infinita ai lavoratori e agli oppressi del Sud del mondo è la guerra di classe sempre più aperta che i poteri imperialisti euro-statunitensi stanno scatenando nei propri paesi contro le rispettive classi lavoratrici. Sono due facce dello stesso processo di aggressione dell'imperialismo, del capitalismo globale al proletariato e alle classi lavoratrici in tutto il mondo. Ecco perché, per noi internazionalisti militanti, sostenere la lotta indomita degli operai egiziani di Mahalla e di Suez che ritornano di nuovo in piazza contro il governo dei generali; sostenere gli scioperi degli operai e dei portuali libici contro i loro "nuovi" spietati padroni; sostenere la lotta delle masse siriane contro il proprio regime borghese e contro l'aggressione imperialista; significa dare forza alla nostra stessa resistenza agli attacchi dei “nostri” padroni, del “nostro” governo, del “nostro” stato, che non a caso è sempre più presente con i suoi corpi repressivi nelle situazioni di conflitto, e sempre più attivo nelle operazioni di controllo e di intimidazione preventiva.

La solidarietà alle masse in lotta nel mondo arabo e in Medio Oriente è inoltre la condizione per rafforzare i legami unitari con i lavoratori immigrati da quei paesi, ma non solo. Questi, pur subendo condizioni di sfruttamento aggravate dalla propaganda razzista anti-islamica e dalle leggi contro gli immigrati, hanno trovato ispirazione e forza dalle sollevazioni popolari e proletarie del mondo arabo e hanno fatto spirare anche in Italia il vento di piazza Tahrir, dando un esempio di dignità e di coraggio che indica all'insieme della classe lavoratrice la strada da percorrere.


Nessun appello, quindi, al diritto internazionale, che è sempre e comunque fabbricato su misura degli interessi capitalisti e imperialisti. Nessun appello all'ONU, sempre e comunque schierato a loro sostegno. Ma la più risoluta denuncia del nuovo colonialismo di Washington, di Londra, di Roma che pretende far girare all'indietro le lancette della storia.

Denunciamo anzitutto il “nostro” governo, il “nostro” stato, il “nostro” capitalismo, che non è secondo a nessuno nel sostegno alla repressione e alla dispersione delle sollevazioni arabe!

Mobilitiamoci contro questa e tutte le altre forme di aggressione ai proletari e ai popoli arabi e medio-orientali, e alla loro indomita Intifada! Opponiamoci a tutti i piani di balcanizzazione del Nord Africa, del Medio Oriente, della Siria per favorire lo sviluppo della più larga e profonda unità tra gli sfruttati arabi, curdi, turchi contro i loro regimi reazionari!



Abbasso i gangster della Nato, capitanati da Obama!

No all'aggressione militare alla Siria!

Abbasso il regime di Assad, nemico del suo stesso popolo!

Solidarietà incondizionata ai proletari e agli oppressi arabi

in rivolta permanente contro le proprie borghesie e l'imperialismo!




Marghera, 29 agosto 2013

Centro di iniziativa comunista internazionalista

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