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Estate al fresco

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(13 Agosto 2010) Enzo Apicella
Dall'inizio dell'anno sono 40 i detenuti morti per suicidio nelle carceri italiane

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Verità sull’uccisione in carcere di Aldo Bianzino

Manifestazione nazionale a Perugia sabato 10 novembre 2007

(3 Novembre 2007)

1) I FATTI

Aldo Branzino, un falegname che non fa politica, 44 anni, viene trovato morto domenica 14 ottobre, nella sua cella di isolamento all’interno del carcere di Capanne a Perugia;
- Aldo viene arrestato venerdì 12 ottobre a Pietralunga, nella sua casa di campagna vicino Città di Castello, per coltivazione e detenzione di canapa indiana e trasferito nella stessa giornata al carcere di Capanne a Perugia, dove deve restare in isolamento almeno fino a lunedì 15 ottobre, quando incontrerà il giudice titolare dell’inchiesta;
- sabato 13 ottobre alle ore 14 il legale d’ufficio incontra Aldo e riferisce alla moglie di averlo trovato in buona salute;
- domenica 14 ottobre, al mattino, la famiglia viene informata che Aldo è morto;
- subito viene diffusa la notizia (vi è un primo referto medico redatto dal personale del carcere?) che Aldo sarebbe morto per malattie cardiache e non presenterebbe segni esterni di violenza;
- conoscendo Aldo come persona sana, la famiglia non ci crede e chiede l’autopsia;
- l’autopsia viene affidata al dott. Lalli, un medico legale noto per essere eticamente irreprensibile e dal cui esame risulta che Aldo è morto per cause non accidentali e che il suo cadavere presenta chiari segni di lesioni traumatiche: 4 ematomi cerebrali, fegato e milza rotte, 2 costole fratturate.
- il giudice Petrazzini (lo stesso che aveva condotto l’inchiesta sulla coltivazione e detenzione di canapa indiana) apre formalmente una indagine per omicidio volontario.

2) ALCUNE CONSIDERAZIONI

2.1) Il pestaggio come procedura ordinaria dell’Amministrazione penitenziaria

Dunque Aldo è stato sottoposto ad un pestaggio mortale da parte di guardie carcerarie, mentre si trovava in isolamento, probabilmente in conseguenza del fatto di aver dato in escandescenze.
Il pestaggio da parte di personale dipendente dal Ministero di Grazia e Giustizia emerge, ancora una volta, essere una pratica corrente all’interno del Carcere per i detenuti che creano problemi.
Esso è praticato da personale specializzato che utilizza tecniche professionali finalizzate ad evitare denunce sulla base di superficiali riscontri medico legali.
Dobbiamo immaginare nella loro compiutezza formale i dispositivi che stanno dietro questa pratica:
vi sarà un manuale – riservato - dove viene descritta la procedura da seguire nel pestaggio;
vi saranno percorsi di formazione con esperti che insegnano la tecnica ed i gesti più opportuni e ne supervisionano la messa a regime, un percorso di training, una valutazione attenta delle attitudini e delle capacità di chi è chiamato ad applicare materialmente, nel lavoro di tutti i giorni, la tecnica;
vi sarà un elenco di operatori abilitati con turni e reperibilità;
vi sarà una descrizione delle condizioni in cui i professionisti del pestaggio possono scendere in campo in relazione alle caratteristiche del soggetto da sottoporre a trattamento ed al suo comportamento di accettazione della condizione e delle regole carcerarie: di routine per immigrati extracomunitari, frequentemente per “drogati e spacciatori” che non appartengono ad alcun racket, mai per i rarissimi esponenti della casta che, nonostante tutto, incapperanno nelle maglie della giustizia (Previti pestato in carcere, ma quando mai!!!!);
vi sarà una indennità speciale per chi fa parte delle squadrette (la retribuzione di posizione) e conseguenti premi di produzione (la retribuzione di risultato), il tutto ovviamente finanziato dagli onesti contribuenti che pagano le tasse;
vi sarà una definizione dei livelli decisionali che, nella scala gerarchica, dispongono del poteri di programmazione, attivazione e valutazione della procedura del pestaggio.
Tutto questo è norma nel carcere, come anche la morte di Aldo evidenzia.

2.2) I tentativi di depistaggio

Purtroppo la norma è inevitabilmente imperfetta e stavolta, Aldo Bianzino è morto ed allora entra in funzione l’ufficio depistaggi.
Una procedura anche in questo caso prevede un primo livello di intervento il cui obiettivo è tentare di passarla liscia facendo finta di nulla: quatto quatto, qualcuno (il medico del carcere?) diffonde la voce di un decesso dovuto a cause naturali (un infarto può sempre capitare!) e dell’assenza all’esame esterno del cadavere di ematomi ed altre lesioni.
Se la famiglia non ci crede, come nel caso di specie e chiede l’autopsia e questa viene affidata ad un medico legale serio, la situazione si complica parecchio e la sua gestione passa di livello perché occorre mettere in campo tecniche di insabbiamento e depistaggio più avanzate:
immancabile apertura formale di una inchiesta che serve a zittire famiglia e dubbiosi (stiamo indagando, calma e fiducia negli inquirenti), fa volare degli stracci e che, dopo un congruo periodo di tempo, si concluderà con una sentenza scandalosa o si perderà negli archivi di qualche procura;
attivazione di un polverone mediatico: la procedura di attivazione del polverone mediatico prevede l’attenta costruzione di un evento che possa coagulare l’esecrazione generale della società, distogliendo l’attenzione dal problema vero. Nel caso di specie qualcuno ha pensato che l’arresto di alcuni anarco insurrezionalisti umbri potesse andare a fagiolo in quanto si tratta allo stesso tempo di coprire i fatti e intimidire le fila del movimento antagonista, l’unico attore sociale capace di fare luce sui fatti. Detto fatto, con un buon livello di coordinamento tra procura generale della repubblica e reparti speciali dei carabinieri, si è attivata la mega operazione antiterrorismo che tutti conosciamo e che ha portato in galera 5 ragazzi di Spoleto accusati di aver spedito nientemeno che lettere minatorie alla Presidente della Regione, una pratica che nel nostro paese potremmo definire ormai ampiamente abusata da parte di servizi segreti e cosche mafiose, tanto da ingolfare gli uffici postali.

2.3) Paranoia securitaria e costruzione sociale del nemico nei nuovi municipi escludenti

Un ulteriore livello di considerazioni riguarda il nuovo senso che oggi, liquidata ogni ipotesi di trasformazione sociale, assume la politica nelle istituzioni e le modificazioni che questi cambiamenti configurano nel ruolo dello Stato e dei suoi apparati amministrativi.

Senza affrontare in questa sede il complesso capitolo dei cambiamenti della forma stato nelle società postfordiste, è sufficiente constatare che, essendo le grandi decisioni (su economia, moneta e finanza, cultura e guerra,) assunte da parte di organismi non elettivi di livello sopranazionale, allo stato ed alla sua pubblica amministrazione - e quindi alla politica con la p minuscola - spetta il compito di attuare. in modo efficiente, politiche di servizio alla quota di capitale che viene valorizzata all’interno dei suoi ambiti giurisdizionali.

Nel sociale le politiche di servizio ai processi di valorizzazione si sostanziano in politiche di esclusione attiva dei soggetti che a qualunque titolo non vi aderiscono.

Perché le politiche di esclusione attiva siano accettate ed abbiano successo sono necessarie alcune condizioni:
esse devono avere una base culturale forte, in cui l’esclusione sia socialmente giustificata dalla connotazione del soggetto escluso in termini di nemico e dalla recisione delle relazioni sociali che uniscono nella vita quotidiana i soggetti da escludere con quelli da persuadere; questa operazione culturale non è realizzabile se non creando una immagine della pericolosità della vita sociale in cui siano i comportamenti esecrabili di singoli individui e non le condizioni economiche determinate dalle necessità di valorizzazione, ad essere sovra rappresentati fino ad consentire quella isteria di massa che porta la maggior parte dei cittadini ad accusare il sintomo dell’insicurezza sociale ed a chiedere, pertanto, sia di essere controllati, sia che, sui loro territori vengano applicate politiche di esclusione attiva a garanzia della loro sicurezza; la creazione delle condizioni in cui la paranoia securitaria possa allignare e divenire egemone è il lavoro sporco di cui si incaricano l’industria culturale ed i mass media;
esse devono essere sperimentate ed applicate localmente, da amministrazioni locali che progettano e realizzano le nuove tipologie di municipalità escludenti, prevedendo un mix appropriato di funzioni di iniziativa - anche tramite la mobilitazione delle loro articolazioni circoscrizionali (ronde, unità di strada anti vagabondo e disseminazioni nel territorio di apparati repressivi pubblici e privati)-, funzioni di risposta (multe, sanzioni, espulsioni) ed il supporto di barriere fisiche (muri!) ed informative (telecamere, ….);
esse devono comportare conseguenze esemplari e devastanti per la vita dei soggetti da escludere, rendendo il comportamento di non adesione ai processi di valorizzazione del capitale estremamente pericoloso e / o dannoso, sia per le ricadute in termini di connotazione sociale negativa -stigma, marginalizzazione,…- sia in termini di privazione della libertà -grazie a normative che puniscono i comportamenti individuali indesiderati, consentono controlli e intrusioni nella vita privata dei cittadini e/o sanzionano le aggregazioni politiche non compatibili tramite l’uso estensivo dei reati associativi tipo 270 bis) sia in termini di incolumità fisica tramite l’uso delle armi o i pestaggi da parte degli apparati repressivi dello stato, tanto nel territorio che in carcere;
esse devono riguardare minoranze della popolazione o settori rappresentati come tali (l’esperienza del Venezuela dimostra che in presenza di una forte polarizzazione sociale le operazioni mediatiche di costruzione sociale del nemico falliscono clamorosamente ).

La costruzione sociale del nemico e l’uso intensivo di sanzioni, punizioni e violenza - fino alla sua marginalizzazione o talora eliminazione - rappresenta dunque il terreno principale delle politiche di esclusione attiva, che a loro volta sono la consegna affidata alle classi politiche di volta in volta incaricate della gestione statuale, al di là delle intenzioni effettive o presunte che le animano.

Per effetto di quanto sopra richiamato cambiano sia il profilo delle istituzioni, dove prevale la funzione sanzionatoria, sia la qualità della loro relazione con i cittadini che vengono assunti come potenziali nemici.
Stiamo dunque assistendo a continue e progressivamente più aggressive dichiarazioni di inimicizia da parte delle istituzioni nei confronti dei cittadini: in effetti siamo quotidianamente attaccati da funzionari della pubblica amministrazione e degli apparti repressivi dello stato che congetturano e pianificano contro di noi: spiano i nostri comportamenti privati, registrano ogni nostra comunicazione, indagano continuamente sui nostro orientamenti politici, progettano la precarietà per i nostro figli, aumentano l’età pensionabile, ci riducono la pensione, vogliono giocare in borsa con il nostro TFR e così via.
E, quando ci opponiamo, rovesciano su di noi una violenza inaudita, tutta la violenza di cui uno stato nemico è capace.

3) LA MANIFESTAZIONE NAZIONALE

3.1) Temi
La manifestazione del 10 novembre verterà su due grandi aree tematiche:
- la prima riguarda la “Verità sulla morte di Aldo Bianzino” e sarà finalizzata a porre i poteri dello Stato di fronte alle loro responsabilità, a creare attenzione e mobilitazione e quindi ad impedire insabbiamenti e depistaggi;
- la seconda riguarda “l’opposizione al “Pacchetto sicurezza”, che ben rappresenta la tendenza attuale del neoliberismo ad utilizzare Stato e pubblica amministrazione per dare corpo a politiche di esclusione attiva, un altro regalo non gradito né richiesto che il Governo Prodi vuole farci.

La manifestazione partirà alle ore 14 dalla stazione di Perugia, per concludersi in centro davanti alla Procura della Repubblica, in Pza Matteotti.

Alle ore 18 si terrà una assemblea nazionale in cui discutere le proposte di approfondimento e sviluppo dei due temi su cui verte la manifestazione.

3.2) Tempi e costruzione dei passaggi
Il sito http://www.oziosi.org presenta le informazioni di base sui passaggi di costruzione della scadenza.
La scelta del 10 novembre è divenuta obbligata alla luce della fitta agenda di scadenze di movimento per il mese di novembre.
Sono stati costituiti due comitati di coordinamento, uno nazionale ed uno regionale che lavorano parallelamente al fine di sollecitare adesioni qualificate e consistenti alla manifestazione.
E’ prevista una riunione di coordinamento per sabato 3 novembre a Perugia.

3.4) Collegamenti con le altre scadenze del’autunno
La manifestazione si inserisce nel percorso delle scadenze autunnali in parte anticipando alcune riflessioni sulle attuali caratteristiche della repressione che verranno affrontate alla manifestazione di Genova del 17 novembre, in parte sviluppando aspetti relativi alla paranoia securitaria che lo sciopero del 9 novembre affronta solo in parte e sui quali pure è previsto lo sviluppo, a Perugia, nel presidio che si terrà sotto la Prefettura e la Regione alle ore 12.
Rispetto alla scadenza del 10 novembre di Viterbo su carcere, repressione e 270 bis si è ritenuto che la manifestazione di Perugia si ponga su un piano di denuncia più generale e punti sia ad enfatizzare le contraddizioni aperte dalla uccisione in carcere di Aldo Bianzino tramite una scadenza nel territorio che ne è stato il teatro, sia a fornire una risposta all’intimidazione di cui il Movimento su questo territorio è stato oggetto con l’arresto dei 5 anarchici di Spoleto, tanto ingiustificato quanto mass mediatizzato al fine anche di distogliere l’attenzione dalla morte di Aldo.

Carlo Romagnoli
Coordinamento per l’Unità dei Comunisti – Umbria

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