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«Colpito e terrorizzato»: la macchia mai rimossa

una lettera al Manifesto del 26 marzo

(28 Marzo 2003)

In questi giorni, come non bastasse l'incubo della guerra all'Irak, ci tocca rivivere la vergogna della guerra del Kossovo, prevedibilmente e non infondatamente rievocata dal centro-destra.

Succede così di vedere, nelle tante maratone televisive, Melandri e Letta sostenere goffamente che allora non fu violata la Costituzione, perché si agiva nell'ambito Nato (cosa detta nello stesso giorno in cui Andreotti, al Senato, dimostrava come persino il trattato della Nato fosse stato violato nella guerra alla Jugoslavia).
O di assistere al balbettio di Pecoraro Scanio, il quale non trova di meglio che inventarsi che "allora era d'accordo anche il Papa".
Ed ecco, da Costanzo, l'esibizione di Massimo D'Alema, che difende la sua guerra in un modo talmente supponente e pretestuoso, da spingere il pubblico del Teatro Parioli, sempre così benevolo verso l'Ulivo, ad indirizzare applausi liberatorii alle facili confutazioni di un pensatore come Belpietro.
E oggi riecco il Nostro sulla Stampa, saldo come una roccia: "D'Alema non cambia idea".

E' noto che una memoria lunga è spesso d'ostacolo all'azione politica, nella quale è utile a volte saper dimenticare: ma la ferita del Kossovo è troppo recente e troppo profonda per essere archiviata o peggio, rimossa. Anzi, è proprio in queste giornate drammatiche, dentro la grande onda pacifista che ha sollevato il Paese, è proprio ora che occorre ricordare, discutere, contestare quelle scelte, come garanzia che non abbiano a ripetersi.

E allora ripetiamolo fino alla noia: l'Italia fu portata in una guerra di aggressione a uno Stato sovrano, in violazione della Carta dell'Onu, del Trattato del Nord Atlantico, della Costituzione repubblicana. Al Parlamento fu consentito votare solo ad attacco già iniziato. Nei settantotto giorni di bombardamenti devastanti i governi alleati si macchiarono di numerosi crimini di guerra (uno per tutti: la strage proditoria di giornalisti, tecnici, civili, compiuta con la scelta di bombardare la Torre sede della televisione jugoslava a Belgrado).

Bohumil Hrabal usava citare un cartello esposto in una tintoria di Praga. C'era scritto: "Si avvisa la Spettabile Clientela che alcune macchie non possono essere cancellate senza intaccare le fibre del tessuto".

La guerra del Kossovo è una di queste macchie. E il tessuto va intaccato, con una riflessione autocritica di fondo, o almeno con un rinnovamento della futura leadership ristretta del centro sinistra che metta da parte i principali responsabili di quel misfatto.

Per ora il solo Cofferati, che pure porta una responsabilità infinitamente minore, ha avviato un ripensamento serio. Altri segnali non se ne vedono.
Se su questo terreno nulla dovesse cambiare di qui alle politiche, penso che non saremmo in pochi ad incontrare qualche difficoltà a votare Ulivo, indipendentemente dalle scelte che Rc deciderà di operare.
Non tanto per una condanna morale inappellabile riferita al passato, quanto per una preoccupazione politica che riguarda il futuro: perché i D'Alema, i Rutelli, i Fassino, ci stanno dicendo che, si ripresentassero circostanze analoghe a quelle di allora, sarebbero pronti ad una nuova guerra.

Edgardo Bonalumi

Fonte

  • fonte: Il Manifesto - 26 marzo 2003

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