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Dignità operaia

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(9 Marzo 2012) Enzo Apicella
Oggi sciopero generale dei metalmeccanici convocato dalla Fiom e manifestazione nazionale a Roma

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Seconda Assemblea nazionale Cub - Confederazione Cobas - SdL intercategoriale

Roma 7 Febbraio 2009

(9 Febbraio 2009)

Il successo delle iniziative che il Patto di consultazione permanente ha messo in campo negli ultimi mesi ci consegna una grande responsabilità. Ai nostri appelli all’unità del sindacalismo di base, alternativo e indipendente alla lotta sulla nostra piattaforma, hanno risposto centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici che hanno così voluto dare fiducia al progetto di lavoro comune delle nostre organizzazioni.

La grande disponibilità alla lotta, espressa in tale occasione su obbiettivi chiari e definiti dal basso, ci indica la strada su cui continuare a mettere in campo le nostre iniziative. Non va nascosto, pero’, che una vera capitalizzazione di quello straordinario risultato è stata parzialmente impedita dalle divergenze emerse a proposito del successivo sciopero del 12 dicembre, effettuato da alcune forze del Patto e non da altre. Se tale divisione ci ha momentaneamente messo in difficoltà è importante sottolineare che essa è avvenuta su diverse interpretazioni tattiche delle necessità della fase e non per divergenze di sostanza o programmatiche: è appunto tale parzialita’ delle divergenze, congiunta alla forte convinzione della assoluta necessità del processo di convergenza che abbiamo insieme avviato, che ci ha consentito di non accentuare le polemiche intorno alla partecipazione o meno allo sciopero del 12 dicembre e di riprendere rapidamente il percorso unitario; in altri tempi e con altri rapporti probabilmente le divergenze avrebbero prodotte ferite profonde e assai lentamente rimarginabile: e questo è certo di buon auspicio e ci consente di arrivare oggi, in piena serenità e armonia alla nostra seconda Assemblea nazionale. Essa, indetta dal Patto di Consultazione Cub, Cobas e Sdl, pur svolgendosi a meno di 9 mesi dalla precedente Assemblea di Milano del Maggio 2008, si inserisce in una fase del tutto diversa da quella che abbiamo analizzato e discusso pochissimo tempo fa.
La crisi economica senza precedenti nella quale ci troviamo, pur interna all'analisi generale fatta un anno fa, rende necessaria una serie di riflessioni di carattere strutturale e la modifica e l'aggiornamento della piattaforma che avevamo prodotto e che era stata alla base delle azioni di lotta e delle iniziative dello scorso autunno.
La crisi che sta investendo l’intero globo non è affatto una crisi esclusivamente finanziaria come tanti corifei del sistema vorrebbero far credere: essa è una crisi globale, strutturale, di sistema che investe tutto il sistema di produzione e di vita capitalistico. C’è un intreccio micidiale di crisi, che ingigantiscono quella economica, già di per sé enorme; c’è una crisi ambientale, poiché la devastazione della natura e i cambi climatici mettono in discussione addirittura la continuità della vita in tanti parti del mondo, una crisi energetica e una crisi alimentare. E a compenetrarle tutte, c’è la gigantesca crisi legata alla guerra permanente e globale che percorre il mondo: la guerra, lungi dall’attenuarsi, viene vista dai padroni del mondo come la carta a disposizione per placare le altre crisi del sistema. Così, decine di milioni di persone stanno per ingigantire ancora quel miliardo e quattrocento milioni di cittadini del mondo che già vivono in estrema povertà o martoriati dalla guerra: lo spostamento progressivo e massiccio di ricchezza dal reddito da lavoro a quello da capitale ha creato una povertà diffusa, un sempre maggiore squilibrio tra il nord ed il sud del mondo e, all'interno dei paesi occidentali, una redistribuzione del reddito a danno del lavoro salariale che non ha eguali nei passati anni ed una sempre più marcata precarietà sociale e del lavoro.
Nonostante il clamoroso fallimento dell’attuale modello economico e sociale, le principali centrali capitalistiche stanno cercando di preservare quel sistema che è fonte delle crisi, servendo le solite ricette: allungamento dell'età pensionabile, in particolare per le donne fino a 65 anni, taglio della spesa pubblica, riduzione dei salari, taglio della spesa pubblica e dei servizi sociali.Per banchieri centrali e governi, politici, economisti, giornalisti, sindacalisti di stato il problema è presto risolto, il costo della crisi deve essere caricato sulle spalle del lavoro dipendente dei pensionati e dei ceti meno abbienti. In più, i governi delle principali potenze sono stati prontissimi a soccorrere, facendo intervenire massicciamente quegli Stati che fino a ieri avevano dichiarato impotenti rispetto alla “energia” del Mercato, i banchieri, gli azionisti e speculatori delle grandi multinazionali e società finanziarie. Ed infine i grandi poteri economici e politici neanche si preoccupano di affrontare le altre facce della crisi di sistema, la guerra globale, il clima, il cibo, l’energia, e l’indispensabilità di trasformare radicalmente il sistema economico in modo che sia possibile soddisfare i bisogni essenziali dei popoli, rendendone effettivi tutti i diritti umani, nel rispetto delle basi ambientali della vita del pianeta.
Ma la crisi, come dice la parola stessa che rimanda a trasformazioni e cambiamenti, può anche essere una grande occasione di mutamento dei parametri per la vita sul globo. Certo, in Europa e nei paesi ricchi, compresa l’Italia, i tentativi di cogliere tale possibilità (per nulla scontata: in passato grandi crisi hanno anche prodotti brutali involuzioni reazionarie) sono per il momento deboli e frammentate. Però nel mondo la situazione non è ovunque così: dall’Iraq all’Afghanistan c’è una forte resistenza popolare alla guerra e alle invasioni imperialistiche; il popolo palestinese, a cui rinnoviamo la nostra totale e appassionata solidarietà nella sua lotta contro la barbarie sionista, non si arrende, nonostante i massacri a Gaza e i tentativi di genocidio operati dal criminale governo israeliano; in America Latina la lotta popolare produce sempre più governi progressisti che si affrancano dalla dominazione USA, mettendo in opera Costituzioni democraticamente avanzate e trasformazioni sociali di rilievo. E molti di questi nodi di resistenza e di trasformazione alternativa all’esistente si sono intrecciati nel Forum mondiale di Belem, da cui sono emerse proposte programmatiche e iniziative di assoluto rilievo, decisamente anticapitalistiche nella sostanza, espresse con linguaggi e tematiche innovative. Il Forum ha visto la discesa in campo dirompente di un nuovo e grande soggetto sociale, le comunità indigene, che in forma incredibilmente unitaria, ha riassunto nella formula del “buen vivir” una descrizione concreta di un altro modo di organizzare il mondo, ricordando a tutti che la cosiddetta “scoperta” dell’America – in realtà la occupazione militare di essa da parte delle potenze coloniali – ha segnato un salto di qualità nello sfruttamento e nella distruzione di esseri viventi, natura, sentimenti ed idee da parte dei potenti del mondo: e che dunque il riequilibrio e la salvezza del mondo possono avvenire solo se, insieme alla fine dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo (e dell’uomo sulla donna) si imponga anche la fine dello sfruttamento selvaggio degli altri esseri viventi e della “pacha mama”, della Madre Terra con la quale gli indigeni chiedono di essere in armonia.
Questi potenti segnali di trasformazione ci invitano dunque ad essere realisticamente utopisti, e cioè ad avanzare non piccole proposte di aggiustamento dell’esistente ma piattaforme alternative, come quelle che oggi vi proporremo, che ieri sarebbero apparse irrealistiche o “libro dei sogni” e oggi, pur nella loro ricerca di “altri luoghi” (che è poi il senso profondo della parola “utopia”), risultano molto più concrete e attuabili per uscire dalla crisi rispetto alla banale riproposizione dell’esistente che governi e poteri capitalistici caldeggiano.

E venendo al “qui ed ora” italiano, nonostante il tentativo del Governo di minimizzare le conseguenze della crisi, possiamo già misurarne i primi effetti attraverso il numero di aziende che chiudono, i licenziamenti, i precari che restano senza lavoro, l'incremento progressivo della disoccupazione e l'enorme numero di ore di cassa integrazione che si stanno distribuendo in tutti i settori produttivi.
Allo stesso tempo si fa sempre più incisivo l'intervento politico ed economico per destrutturare ancor più il mondo del lavoro e le sue forme di rappresentanza.
L'accordo sottoscritto da Governo, Confindustria e Cisl, Uil e Ugl pochi giorni fa non rappresenta infatti soltanto l'attacco ad un modello contrattuale già di per se negativo per i lavoratori, ma si colloca in una revisione strutturale delle relazioni industriali del rapporto tra azienda, sindacato e lavoratori.
Si abbandona di fatto anche la “concertazione” azienda/sindacato e si abbraccia una logica “neocorporativa” che vede un fronte più o meno compatto che, anche se formalmente collocato su piani distinti, lotta per difendere gli stessi interessi di impresa, considerando il fattore lavoro esclusivamente un costo da abbattere attraverso leggi ed accordi e da tenere sotto controllo costantemente per ridurne il potenziale conflittuale.

La frattura avvenuta in questi ultimi mesi nel sindacato confederale e che vede oggi la Cgil su posizioni differenziate rispetto a Cisl, Uil e Ugl, rappresenta una fase di riequilibrio del mondo sindacale cosiddetto “storico” e soprattutto dei rapporti tra esso e la Confindustria.
E' evidente che gli equilibri ed i problemi interni alla Cgil rappresentano la motivazione principale della temporanea presa di distanza dal resto del sindacato confederale, ma tale situazione non può essere sottovalutata, sia in positivo, sia in negativo.
L'apertura di una frattura, anche se temporanea, all'interno del sindacato confederale può infatti alimentare un clima di conflitto tra i lavoratori che è certamente elemento positivo in termini generali. Ma è altrettanto chiaro che non si tratta di una rottura definitiva e che, come spesso è accaduto anche nel recente passato, potrebbe ben presto ridursi a merce di scambio per contrattare un diverso equilibrio di potere tra Cgil, Cisl, Uil e Ugl, (alimentando così il senso di frustrazione e di rassegnazione tra i lavoratori). La Cgil si trova in una posizione difficile, la competizione con Cisl e Uil non è sui contenuti delle politiche concertative e dei sacrifici ma ruota su chi è l'interlocutore privilegiato della controparte padronale e governativa, ruolo di cui la Cgil ha sempre goduto in questi anni, lo stesso sciopero fatto dalla Cgil il 12 dicembre è stato debole in quanto risentiva di questa profonda contraddizione.

Se è vero che il contesto mondiale e quello nazionale vanno nella direzione del restringimento dei diritti e dell'aumento della produttività e della precarietà, è però anche vero che in questa situazione aumentano in modo esponenziale le contraddizioni derivanti dalla compressione senza limite dei bisogni primari dei lavoratori e di intere fasce di popolazione.
Ciò produce potenziale conflitto sociale che si vorrebbe reprimere o contenere attraverso una serie di misure finalizzate a sottrarre diritti e rappresentanza reale al mondo del lavoro: attacco al diritto di sciopero ed abolizione dello stesso nei settori di pubblica utilità; negoziazione e diritti sindacali, anche quelli minimi, riservati ai soli firmatari dei contratti che sono quelli che di fatto vengono scelti dalle aziende; possibilità per la contrattazione di secondo livello di derogare dal contratto nazionale legittimando e legalizzando così definitivamente la contrattazione in peius; un nuovo modello di rappresentanza sindacale mutuato dal mondo politico parlamentare che prevede soglie numeriche molto elevate e progressivi accorpamenti contrattuali.
E' anche in queste contraddizioni che il sindacalismo di base deve inserirsi: sia per difendere le condizioni dei lavoratori ed il diritto a scegliersi liberamente da chi ed in quali forme essere rappresentato, sia per rilanciare una fase di conflitto che ponga come centrale i temi che riteniamo prioritari e che sono alla base della nostra proposta di modifica della Piattaforma rivendicativa condivisa pochi mesi fa.

Di fronte all’evidente tentativo di far pagare ancora una volta la crisi ai lavoratori, salvando banche e banchieri e sostenendo le imprese e lo “sviluppismo” più che lo sviluppo, è necessario che ci assumiamo la responsabilità di indicare con chiarezza quali sono gli obbiettivi che ci poniamo e che intendiamo rappresentare in ogni azienda e in ogni luogo di lavoro e per la cui realizzazione costruire nuove e incisive azioni di lotta.

Una piattaforma contro la crisi: perché non siano i
salariati, i pensionati, i giovani, i settori popolari
a pagare la crisi al posto dei responsabili

ecco sinteticamente i punti centrali

1.Blocco dei licenziamenti

2.Riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario

3.Aumenti consistenti di salari e pensioni, introduzione di un reddito minimo garantito per chi non ha lavoro

4.Aggancio dei salari e pensioni al reale costo della vita

5.Cassa integrazione almeno all’80% del salario per tutti i lavoratori/trici, precari compresi, continuità del reddito per i lavoratori “atipici”, con mantenimento del permesso di soggiorno per gli immigrati/e

6.Nuova occupazione mediante un Piano straordinario per lo sviluppo di energie rinnovabili ed ecocompatibili, promuovendo il risparmio energetico e il riassetto idrogeologico del territorio, rifiutando il nucleare e diminuendo le emissioni di CO2

7.Piano di massicci investimenti per la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro e delle scuole, sanzioni penali per gli omicidi sul lavoro e gli infortuni gravi

8.Eliminazione della precarietà lavorativa attraverso l’assunzione a tempo indeterminato dei precari e la re-internalizzazione dei servizi

9.Piano straordinario di investimenti pubblici per il reperimento di un milione di alloggi popolari, tramite utilizzo di case sfitte e mediante recupero, ristrutturazione e requisizioni del patrimonio immobiliare esistente; blocco degli sfratti, canone sociale per i bassi redditi

10.Diritto di uscita immediata per gli iscritti/e ai fondi-pensione chiusi.


Questa Piattaforma, in ragione della profondità della crisi e della necessità assoluta di cambiare radicalmente rotta, non è affatto un “libro dei sogni”, ma un richiamo concreto all’unica via realistica, tramite il recupero di diritti, di reddito e di strutture sociali da parte dei settori popolari, di uscita dalla crisi. Ma è necessario anche e soprattutto iniziare a dare risposte concrete attraverso iniziative e campagne generali. Per questo motivo abbiamo individuato quattro temi fondamentali sui quali puntare e rispetto ai quali è necessario impegnare le nostre strutture ed individuare in tempi brevi iniziative specifiche:

Reddito, precariato, occupazione, licenziamenti, orario di lavoro
Beni comuni, energia e ambiente
Diritto alla casa
Democrazia sindacale

Ma se su questi temi dovremo essere capaci di costruire vere e proprie campagne, destinate a durare nel tempo e ad essere incisive e che ci consentano di pervadere ogni territorio ed ogni luogo di lavoro, è evidente che è oggi necessario indicare nuovi e tempestivi momenti di mobilitazione e di lotta per contrastare la crisi e sostenere la nostra piattaforma.

A FINE MARZO SI RIUNIRANNO A ROMA I MINISTRI DEL WELFARE DEL G14 PROPRIO PER DISCUTERE A LIVELLO MONDIALE COME FAR FRONTE ALLA CRISI ED EVIDENTEMENTE SCEGLIERANNO DI FARVI FRONTE NELL’UNICO MODO DI CUI SONO CAPACI, SCARICANDONE I COSTI SUI SALARI, L’OCCUPAZIONE, LE PENSIONI, LA PRESSIONE FISCALE.

PER QUESTO NOI PROPONIAMO OGGI ALL’ASSEMBLEA DI PROMUOVERE PER SABATO 28 MARZO UNA GRANDE MANIFESTAZIONE NAZIONALE A ROMA A CUI CHIAMARE TUTTI I LAVORATORI E LE LAVORATRICI, LE FORZE SOCIALI, GLI STUDENTI E TUTTI COLORO CHE INTENDANO BATTERSI SERIAMENTE CONTRO L’EVIDENTE TENTATIVO DEL CAPITALE DI USCIRE RAFFORZATO DALLA CRISI SCARICANDOLA SUI CETI POPOLARI. TALE PROPOSTA ESCE RAFFORZATA DALLA COINCIDENZA CON LA GIORNATA MONDIALE ANTI-G20 DECISA A BELEM E CHE VEDRA’ SVOLGERSI IN EUROPA E NEL MONDO NELLA STESSA GIORNATA UNA MIRIADE DI ANALOGHE INIZIATIVE, IN PARTICOLARE IN EUROPA DA PARTE DI ALTRE ORGANIZZAZIONI SINDACALI ALTERNATIVE.

MA SE LE GRANDI MANIFESTAZIONI NAZIONALI HANNO IL PREGIO DI RENDERE EVIDENTE LA ENORME QUANTITA’ DI PERSONE CHE CONDIVIDONO LA NOSTRA PIATTAFORMA – COME E’ AVVENUTO IL 17 OTTOBRE – E’ PERO’ NECESSSARIO DECIDERE OGGI ANCHE INIZIATIVE DI SCIOPERO CHE NEI LUOGHI DI LAVORO, NELLE AZIENDE, BLOCCHINO LA PRODUZIONE E OGNI ATTIVITA’ PERCHE’ QUESTO E’ IL MODO PIU’ GIUSTO DI SOSTENERE LE NOSTRE PAROLE D’ORDINE E RAPPRESENTARE LA NOSTRA RABBIA. PROPONIAMO PERCIO’ ALL’ASSEMBLEA DI DARE MANDATO AL PATTO DI PROCLAMARE UN NUOVO SCIOPERO GENERALE ENTRO APRILE CON MANIFESTAZIONI REGIONALI.


E’ evidente che ciò potrà realizzarsi se saremo capaci di mantenere e sviluppare quella forte capacità di dialogo tra le nostre organizzazioni che abbiamo realizzato negli ultimi mesi e che in queste ultime settimane si è estesa al livello territoriale cominciando ad interessare non più solo i responsabili nazionali delle organizzazioni, ma i lavoratori e i delegati del territorio e dei luoghi di lavoro, incontrando un forte interesse e una forte disponibilità all’unità.
Riteniamo quindi che sul piano dei rapporti tra Cub, Cobas e SdL che lo scorso mese di settembre hanno dato vita al Patto di Consultazione permanente, sia indispensabile dare nuovo slancio alla costruzione di un percorso unitario che veda le tre organizzazioni di base operare in modo sempre più omogeneo sia dal punto di vista dell'iniziativa sindacale, sia dell'utilizzo di pratiche e di strumenti condivisi.

Questa Assemblea è stata preceduta da un intenso lavoro delle tre organizzazioni, sia a livello nazionale, sia territoriale, con riunioni che hanno fatto registrare un consenso ampio sulla necessità di sviluppare il Patto di Consultazione.
Per questo motivo riteniamo sia opportuno dare un segnale di evoluzione del Patto di Consultazione, anche dal punto di vista nominale, trasformandolo in “PATTO DI BASE”: una differenza importante che non sta certo solo nella denominazione, ma nella necessità e nella volontà di perseguire obiettivi comuni ed utilizzare strumenti organizzativi e di coordinamento sempre più incisivi.

Restiamo consapevoli delle differenze esistenti tra noi, in quanto a modelli organizzativi, impostazione politico-sindacale, vita interna e lavoro sul territorio, e del fatto che tali differenze si sono manifestate finora più sui livelli di categoria, locali e dei posti di lavoro piuttosto che sui livelli nazionali e confederali o sulle prese di posizione generali. Però, il procedere della alleanza a livello nazionale e intercategoriale comincia ad avere benefici effetti di collaborazione e convergenza anche a livello territoriale: e l’avvio del Patto di Base anche a tale livello ci pare la condizione basilare perché tali effetti si intensifichino.
Questi i punti fondamentali che caratterizzeranno il nuovo Patto di Base:
1)Il Patto di Base ha come obiettivo fondamentale quello di intensificare e facilitare, partendo dal lavoro del Patto di Consultazione, l’unità d'azione tra le tre organizzazioni, portando ad un più stretto ed organico rapporto generale.

2)Il Patto di Base rappresenta lo sviluppo naturale del Patto di Consultazione e ne assorbe contenuti e finalità. In particolare, per gestire efficacemente mobilitazioni e iniziative di lotta comuni, si prevede la realizzazione di sedi unitarie di dibattito, convegni, seminari ed elaborazione di documenti. Si gestirà unitariamente un Forum Permanente sulla rappresentanza, sui diritti sindacali, il diritto di sciopero e contro il monopolio concesso ai sindacati concertativi e il sequestro dei diritti operato da essi. Inoltre si cercherà di intervenire congiuntamente nelle situazioni dove eventuali attriti fra le organizzazioni dovessero risultare significativi, per appianarne almeno le asprezze dannose per le situazioni locali ma anche, alla lunga, per la stabilità del Patto.

3)Il Patto di Base viene organizzato in una prima fase su due livelli, nazionale e regionale, e prevede riunioni periodiche a livello nazionale e territoriale nel corso delle quali, oltre a esprimere le rispettive posizioni sul conflitto politico-sindacale generale e locale, si confrontino le varie proposte di lotta, a livello nazionale e territoriale, cercando di giungere in ogni occasione ad iniziative unitarie, o, nell’eventualità di esigenze non riconducibili ad unità, ad iniziative plurime ma non conflittuali, evitando contrapposizioni sulle eventuali scelte differenziate. Con il Patto di base, ci poniamo l’obiettivo, partendo dall’unità d’azione e di dibattito tra le tre organizzazioni a livello nazionale e confederale, di giungere ad una diffusione della consultazione e unità d’azione anche a livelli categoriali, territoriali e aziendali. A tal proposito le riunioni nazionali del Patto dovrebbero anche verificare periodicamente lo stato dell’alleanza a questi livelli, lavorando per estendere la portata del Patto.

4)Le riunioni nazionali del Patto di Base avverranno in genere, e salvo diversa richiesta da parte di una delle organizzazioni, con la presenza di quattro - cinque rappresentanti per ciascuna organizzazione. A livello territoriale, le modalità di svolgimento delle riunioni potranno essere analoghe.

5)A livello regionale il Patto potrà stabilire rapporti stabili e condividere iniziative comuni con altre organizzazioni di base, con l'accordo delle tre organizzazioni promotrici, anche in previsione di un eventuale richiesta di adesione al patto.

6)Ogni decisione del Patto, a qualsiasi livello, potrà essere assunta esclusivamente con il consenso delle tre organizzazioni. Il Patto di Base potrà rappresentare le tre organizzazioni soltanto se espressamente deciso dalle tre strutture.

Come è evidente stiamo proponendo all’Assemblea di dar vita ad una nuova fase di lotta e di relazione tra di noi, che sappia coinvolgere anche altri soggetti, che sia capace di rappresentare un’alternativa forte e convincente ai sindacati concertativi, anche a quelli che oggi, prigionieri della congiuntura politica più che di scelte di organizzazione, gridano al complotto contro di loro e chiamano alla lotta per difendere la propria identità e collocazione più che gli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici.
Riteniamo non ci possa più essere l’una senza l’altra.
La lotta che non si trasforma in organizzazione può registrare anche successi significativi ma, se non sedimenta, si espone al rischio della cancellazione successiva dei risultati ottenuti. Se invece alla radicalità e all’estensione del conflitto sapremo affiancare momenti sempre più incisivi di relazione, di coinvolgimento, di discussione franca ed aperta ma sempre improntata a trovare ciò che ci unisce più che ciò che potrebbe dividerci, allora davvero potremo dire che stiamo facendo i passaggi giusti per dare ai lavoratori e alle lavoratrici di questo paese strumenti sempre più forti ed adeguati per rilanciare, potenziare e rendere vincente il conflitto con il padronato e la trasformazione sociale più profonda verso una società non più dominata dal profitto, dalla guerra, dal razzismo, dal patriarcato e dalla mercificazione di ogni cosa.

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