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(23 Novembre 2011) Enzo Apicella

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Piangere sul latte versato. La sinistra e il terremoto abruzzese

(17 Aprile 2009)

Lo tsunami che ha raso al suolo la costa come un bulldozer ha offerto agli imprenditori edili un’opportunità che non osavano neppure sognare, e si sono mossi rapidamente per coglierla (Seth Mydans, corrispondente del Times nel sud est asiatico).

Il governo federale aveva commissionato a un team di consulenti internazionali un progetto per la ricostruzione di Arugam Bay, e questo ne era il risultato. Anche se furono solo gli edifici sulla riva a essere danneggiati dallo tsunami – mentre gran parte della città restò in piedi – il piano richiedeva di radere al suolo e ricostruire Arugam Bay, trasformandola da una cittadina di mare dal fascino hippie in una ‘boutique del turismo’.

Siamo finalmente riusciti a ripulire il sistema delle case popolari a New Orleans. Noi non sapevamo come fare ma Dio l’ha fatto per noi. (Jim Baker, parlamentare repubblicano).

Queste tre citazioni, tratte da Schock Economy di Naomi Klein, ci offrono una sintesi efficace del punto di vista capitalistico sulle catastrofi naturali. Mentre il mondo della politica aderisce come un solo uomo all’unità nazionale e chiede di bandire le polemiche (compresa l’estrema sinistra, Ferrero: “ora è il momento della solidarietà, non delle polemiche”, Adnkronos, 6 aprile), sarebbe utile rifletterci su, per evitare che anche la tragedia abruzzese finisca per essere ancora una volta una tragedia in due atti: quello del terremoto e quello della ricostruzione. Oggi lo stato d’animo della popolazione colpita è di abbattimento e in alcuni casi di sfiducia nei confronti delle istituzioni (ci sono piccoli paesi in cui lo Stato è arrivato soltanto tre giorni dopo il sisma), soprattutto di preoccupazione per il futuro, perché è noto che in Italia ci sono terremotati di vent’anni fa che ancora vivono in prefabbricati di legno. Ma questo stato d’animo potrebbe presto trasformarsi in rabbia. La sinistra cosa ha intenzione di fare?

1. Era prevedibile?

Subito dopo la tragedia sui giornali si è sviluppata una polemica sulla prevedibilità del sisma. Da mesi l’Abruzzo era scosso da uno sciame sismico che aveva portato il sindaco dell’Aquila, una settimana prima del giorno fatale, a emanare un’ordinanza di chiusura di tutte le scuole. Ma soprattutto ha fatto discutere il fatto che Giampaolo Giuliani, tecnico e ricercatore presso i Laboratori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare del Gran Sasso, sempre una settimana prima avesse previsto la catastrofe, beccandosi un avviso di garanzia per “procurato allarme”, dopo che il capo della Protezione Civile, Bertolaso, aveva inveito contro quegli “imbecilli che si divertono a diffondere notizie false”. La comunità scientifica internazionale era intervenuta a sostegno di Bertolaso certificando che non è possibile prevedere i terremoti. Ora non è mia intenzione entrare in una polemica di carattere scientifico, senza averne le competenze. Mi interessa però aprire una riflessione tutta politica, utilizzando quello che i matematici chiamano procedimento “per assurdo”. Ammettiamo che invece, a dispetto di Bertolaso e della “comunità scientifica”, i terremoti possano essere previsti. Cosa avrebbe fatto il governo di un paese a capitalismo avanzato come l’Italia, di qualsiasi colore politico?

L’Aquila ha una popolazione di 73mila abitanti. Poiché evidentemente in ogni caso non sarebbe stato possibile determinare a priori l’esatta estensione del sisma il Governo avrebbe dovuto liberare una zona molto più ampia sfollando centinaia di migliaia di persone. Ammettendo che la sistemazione di una persona costi un minimo di 50 euro al giorno sfollare 300mila persone significa spendere circa 15 milioni di euro al giorno, probabilmente per parecchi giorni, perché sarebbe stato comunque difficile prevedere con esattezza l’inizio delle scosse. Inoltre avrebbe dovuto essere a disposizione una struttura in grado di effettuare un’operazione di queste dimensioni 365 giorni l’anno in modo ordinato, il che avrebbe ovviamente i relativi costi. Significherebbe espandere la spesa pubblica invece di tagliarla come governi di ogni colore fanno da vent’anni. Basti pensare che oggi i posti letto per malati acuti negli ospedali vengono parametrati sull’ “occupazione media”, per evitare che negli ospedali rimangano letti vuoti, col risultato che qualsiasi evento “straordinario”, epidemie influenzali, ondate eccezionali di caldo, catastrofi naturali, ecc. fa sì che i reparti scoppino (di recente al Pronto Soccorso dell’Ospedale San Martino di Genova alcuni malati sono state costretti a sdraiarsi per terra in attesa che si trovasse loro una sistemazione civile e del resto situazioni analoghe si verificano con regolarità). Del resto il Governo di recente ha tagliato drasticamente i fondi per la sicurezza (compresi quelli dedicati al rischio sismico). Si sarebbe dovuto fare tutto ciò senza naturalmente avere la sicurezza che le scosse di terremoto fossero così forti da “giustificare” la spesa, col rischio di esporsi ad accuse di allarmismo e spreco di risorse pubbliche da parte dell’opposizione di turno. Al contrario, intervenendo a posteriori, quando ormai la tragedia si è consumata, la spesa si riduce perché copre soltanto i danni effettivi. O meglio copre soltanto una parte dei danni effettivi, perché in realtà i finanziamenti vanno a risarcire una solo una parte dei danni sofferti dalla popolazione e per il resto vanno alle imprese che entreranno nel business della ricostruzione. In questo modo il terremoto e più in generale una qualsiasi catastrofe naturale si configurano come una delle tante occasioni di redistribuzione della ricchezza dal basso verso l’alto. I lavoratori e i ceti popolari perdono, mentre in particolare banche e imprese di costruzioni guadagnano. A questo punto riformuliamo la domanda: i terremoti sono prevedibili? Ovvero: se il Governo avesse avuto sentore del pericolo avrebbe avuto la volontà e/o la possibilità di intervenire preventivamente? Il ragionamento per assurdo aiuta a considerare anche le certezze della “comunità scientifica” sotto un’altra luce. Detto in modo più esplicito dal punto di vista capitalistico “non vale la pena” di tenere in piedi un apparato di sicurezza faraonico e di applicare tutte le norme di sicurezza per salvaguardare la popolazione. E’ più economico e per certi versi più redditizio chiudere la stalla quando ormai i buoi sono scappati. Lo stesso cinismo che trasuda dalle tre citazioni poste all’inizio di questo articolo è stato applicato in Abruzzo tanto quanto nel sud est asiatico o a New Orleans.

1. Il business del mattone

In una fase di collasso del settore immobiliare, un terremoto è uno di quei classici “colpi di fortuna” che può “rilanciare l’economia”. Nel caso dell’Abruzzo si è verificato che a distanza di pochi metri alcuni palazzi sono crollati, altri sono rimasti intatti. Il Secolo XIX del 12 aprile cita il caso di un’impresa edile che ha realizzato circa 60 edifici all’Aquila, nessuno dei quali ha subito danni. Casi analoghi sono stati indicati dai telegiornali. L’interesse dei media si è concentrato sul caso dell’Ospedale San Salvatore, un edificio completato nel 2000 e rimasto praticamente distrutto. I lavori per la costruzione dell’Ospedale erano iniziati negli anni ’70, col solito sistema per cui col passare degli anni i costi previsti quasi decuplicavano. Impregilo, azienda di proprietà di Benetton-Gavio-Ligresti, già coinvolta in numerosi scandali e vincitrice della gara per la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, che ha lavorato all’Ospedale dal ’91 al 2000, sostiene di non aver costruito l’edificio ma di averlo semplicemente “messo in funzione” e di non sapere chi abbia realizzato le opere murarie. Le ricognizioni effettuate sui “luoghi del delitto”, perché di delitto si tratta, dimostrano che molti edifici sono stati costruiti non soltanto senza rispettare le norme antisismiche, ma senza rispettare le più elementari regole di costruzione, utilizzando materiali scadenti, edificando su terreni inadatti, risparmiando sull’armatura del cemento. In particolare è noto che le imprese del calcestruzzo, che di solito lavorano in subappalto, utilizzano materiale scadente per impastare il cemento. Fatto 100 il costo di un edificio l’utilizzo di sabbia di mare al posto della sabbia di cava permetterebbe di raddoppiare i margini di guadagno dal 30% al 50-60%. Ma poiché la sabbia di mare è piena di sale, dopo pochi anni l’armatura metallica del cemento armato viene corrosa e resa inservibile. Se poi la percentuale di sabbia viene aumentata rispetto alla dose di cemento e ghiaia i costi scendono ulteriormente. I giornalisti riferiscono di blocchi di calcestruzzo sbriciolati come fossero di sabbia visibili tra i cumuli di macerie. Irregolarità di questo genere sono state riscontrate nelle nuove linee dell’Alta Velocità realizzate in Italia, in alcuni tratti autostradali in Veneto, nella metropolitana di Genova.

E’ noto che nell’Italia centro-meridionale, ma ormai anche in buona parte del Settentrione, il mercato del calcestruzzo è controllato da imprese della camorra. Il sistema del subappalto permette alle imprese poste in cima alla catena di affidare il lavoro sporco a piccole ditte e lavarsene le mani. Ed è noto altresì che questo sistema vive grazie agli intrecci tra mafia e politica. Nel volumetto Corruzione ad alta velocità, l’ex giudice ed ex Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia Ferdinando Imposimato, dimostra come negli anni ’90 Romano Prodi, allora Presidente dell’IRI, abbia garantito personalmente l’affidamento di lavori per l’Alta Velocità in Campania a imprese in odor di mafia o addirittura già condannate dalla magistratura. Per questa vicenda Prodi venne processato e assolto, ma il magistrato che condusse le indagini venne sottoposto a minacce e, dopo la sentenza di assoluzione in primo grado, trasferita ad altro ufficio prima che potesse impugnare la sentenza e ricorrere in Appello. Ora, dopo aver lucrato costruendo case di cartone le stesse imprese (o altre imprese controllate dagli stessi soci) vedono profilarsi all’orizzonte la grande torta della ricostruzione.

Come sempre quando c’è una grande torta da dividersi gli imprenditori chiedono alla politica l’unità nazionale: è valso per il business petrolifero dell’ENI in Iraq, per Alitalia e vale allo stesso modo anche per l’Abruzzo. I partiti hanno risposto docilmente e all’unisono, compresa la sinistra, che ancora una volta sembra non conoscere una delle regole auree del buon politico: quando non si ha niente di intelligente da dire ci sarebbe sempre l’opportunità di stare zitti. Rifondazione ha organizzato brigate di soccorso pronte a partire per l’Abruzzo, anche se i compagni presenti in loco ci dicono che non è questa l’esigenza primaria, ma lascia che a denunciare le responsabilità politiche della strage sia la stampa. Il PDCI tace. Invece Berlusconi ha detto di avere verificato che “non c’è stato dolo” e il Presidente della Repubblica, la cui utilità in questi frangenti sembra essere pari a quella delle regina in Inghilterra, dopo aver visitato L’Aquila, ha decretato che tutti sono colpevoli, chi ha venduto case di cartone come chi le ha comprate. In altre parole “tutti colpevoli, tutti innocenti”. Questo gli frutterà sicuramente una buona dose di applausi al prossimo ricevimento organizzato dall’Associazione dei Costruttori Edili.

3. Una risposta sociale e politica alla tragedia

Come dicevo all’inizio la reazione della popolazione è di angoscia per quanto è avvenuto, ma soprattutto per il futuro. Tutti infatti sanno che i tempi della ricostruzione in Italia sono biblici. Nel Belice, colpito da un terremoto nel 1968, fino a pochi anni fa 400 persone vivevano ancora in baracche e la ricostruzione non era ancora stata completata, così come del resto in Irpinia (colpita nel 1980) e in Umbria (1997). In compenso il Governo, dopo aver accolto di recente la richiesta dei costruttori di prorogare ulteriormente al 30 giugno 2010 l’obbligo di adottare misure antisismiche (Napolitano evidentemente non se n’era accorto) ha sospeso per due soli mesi l’obbligo di pagare le bollette di luce e gas nelle zone colpite. Alcuni esponenti dell’associazionismo e dei movimenti sociali hanno cominciato a muoversi per promuovere alcune forme di discussione e di organizzazione collettiva. Hanno chiesto agli italiani di solidarizzare con le vittime del sisma non recandosi in Abruzzo, ma per il momento organizzando iniziative di solidarietà e raccolte fondi in tutte le città, non versando il denaro ad alcun soggetto, ma depositandolo su conti locali, in attesa che le comunità colpite dal sisma si diano forme di rappresentanza proprie e quindi anche propri progetti e una propria cassa. Allo stesso tempo hanno sottolineato la necessità di esercitare un controllo sulla ricostruzione vietando esplicitamente alle imprese che avevano costruito fuori norma di partecipare alla ricostruzione.

Un partito di sinistra dovrebbe cercare di riflettere su queste indicazioni, svilupparle e cercare di costruire una campagna politica per denunciare le responsabilità e promuovere una risposta collettiva ai bisogni di quei settori sociali che rischiano di pagare il prezzo più alto alla catastrofe: lavoratori e piccoli imprenditori del settore artigiano e commerciale. Andrebbero congelate tutte le spese (bollette, mutui, imposte e tariffe) e assicurato un reddito a chi ha perso la propria casa e il proprio lavoro fino a che non sia ristabilita una situazione di normalità e andrebbe avviata al più presto la ricostruzione. Questa andrebbe posta sotto il controllo di organismi di rappresentanza democratica delle comunità colpite dal terremoto, per evitare che qualcuno se ne approfitti (anche questo è sciacallaggio). Bisognerebbe tutelare quei lavoratori immigrati, che avendo perso casa e posto di lavoro, rischiano di perdere il permesso di soggiorno. Andrebbe ripristinata una legislazione che preveda la verifica di ogni progetto edilizio da parte delle autorità prima che si cominci a costruire e che imponga una serie di requisiti a chi vuole aprire un’impresa edile. Allo stesso tempo è necessario formulare una proposta più generale che indaghi le responsabilità del disastro e indichi quali strade battere perché ciò che è avvenuto in Abruzzo non abbia a ripetersi. Grandi imprese di costruzioni come Impregilo dovrebbero essere nazionalizzate con l’obiettivo di ricostruire una grande impresa pubblica di costruzioni e serve allo stesso tempo un controllo democratico su cosa e come si costruisce. Ricordiamo tra l’altro che Impregilo è stata protagonista dello scandalo dei rifiuti in Campania, che i dirigenti delle sue società sono stati coinvolti in numerosi casi di corruzione e concussione, che la stessa holding è stata denunciata più volte per reati contro l’ambiente e la salute nei paesi in cui ha gestito la realizzazione di opere pubbliche (in particolare in America latina e in Africa). Le ex municipalizzate che si occupano di manutenzioni devono essere mantenute in mano pubblica e potenziate. Le imprese edili che hanno costruito male devono essere condannate a un risarcimento e assorbite nel nuovo sistema pubblico delle costruzioni. Il sistema dei subappalti, che consente alle piccole imprese della camorra di infiltrarsi negli appalti pubblici va abolito e va ricostruito un sistema in cui tutto il ciclo della costruzione di un’opera sia posto sotto il controllo della stessa società e delle autorità pubbliche. Va eliminato il lavoro nero, che nel settore edilizio raggiunge il 40%, perché un lavoratore privo di diritti non potrà mai denunciare eventuali irregolarità commesse dalla propria azienda nella realizzazione di un’opera. Va lanciato un piano straordinario di verifica e di manutenzione del patrimonio edilizio nazionale, a partire dagli edifici pubblici. All’Aquila sono crollati non soltanto l’Ospedale e la Casa dello Studente, ma anche il Tribunale, la Prefettura (da cui la Protezione Civile avrebbe dovuto coordinare i soccorsi), la Regione, il Catasto (dove si conservano tutti i dati sugli immobili necessari per monitorare la situazione e ricostruire). Inoltre si stima che in Italia circa 800 scuole siano prive dei requisiti di sicurezza, come ha tragicamente dimostrato il crollo avvenuto qualche mese fa in un paese vicino a Torino e che ha ucciso uno studente delle superiori.

4. Riflettendo retrospettivamente sulle elezioni regionali

La sinistra italiana ha governato fino a pochi mesi fa la Regione Abruzzo in alleanza col Partito Democratico, cioè anche col Partito del cemento (oggi potremmo dire col Partito della sabbia) e, dopo l’arresto di Ottaviano Del Turco, presidente della Regione ed esponente del PD, per uno scandalo legato alla sanità, ha confermato la propria partecipazione al centrosinistra, coprendo questa sua decisione con la foglia di fico di una campagna sulla questione morale. La migliore risposta a questa manfrina non si è fatta attendere. Il giorno stesso delle elezioni il segretario regionale del PD “moralizzato dalle lamentele di Di Pietro e di Ferrero”, veniva arrestato con l’accusa di corruzione. E il centrodestra stravinceva e andava al Governo dell’Abruzzo (mentre solo il PRC perdeva il 40% dei propri voti rispetto alle scorse elezioni regionali). Ancora una volta la sinistra o fa gli interessi dei lavoratori e dei ceti popolari, scontrandosi con gli interessi delle lobbies politiche e affaristiche oppure decide di giocare il ruolo di utile idiota e correndo verso l’autodistruzione. Alle regionali un abruzzese su due non è andato a votare. Evidentemente mancava una forza politica riconosciuta come “pulita”, cioè compiutamente estranea e antagonista a quegli interessi. Se si votasse oggi forse l’astensione salirebbe forse al 70-80%. Sono i brillanti risultati di una sinistra moderna e ragionevole, scevra dagli estremismi che sono stati rimproverati a Controcorrente, quando, unica voce a livello nazionale e locale, dicevamo che la sinistra non doveva allearsi coi portavoce dei comitati del mattone e della sanità delle bustarelle e definivamo l’accordo elettorale “un irrealistico tentativo di risuscitare un centro sinistra sepolto sotto le sue macerie” (Alì Ghaderi su Il Messaggero, 1 novembre 2008). Vediamo se nei prossimi mesi chi ha sostenuto quelle scelte avrà la franchezza di farsi un esamino di coscienza e di proiettare le stesse riflessioni a livello nazionale, o se ancora una volta dovremo imbarcarci in un’altra infornata di alleanze elettorali col partito del malaffare alle amministrative di giugno, per poi accorgerci delle conseguenze soltanto quando è già troppo tardi.

Marco Veruggio
Direzione Nazionale Rifondazione Comunista

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