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Il progresso della pace

Il progresso della pace

(8 Luglio 2010) Enzo Apicella
Di accordo in accordo... il muro della vergogna avanza nel territorio palestinese

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La guerra sotterranea d’Israele

(19 Febbraio 2010)

La politica del crimine occulto, incarnata dalle proprie Intelligence (Mossad, Shin Bet, Aman) o dall’interazione con quelle dei Paesi alleati, è una delle radici della nazione israeliana. Un operato mai marginale e intrinseco a ogni mossa politica anche quando la mano passa ai carri e jet dell’Idf. Seppure alcune strutture, l’Aman appunto, rappresentano l’organismo segreto di Tsahal, il Mossad, big dei Servizi d’Israele che s’occupa dello scacchiere internazionale e lo Shin Bet, preposto per lo spionaggio interno, hanno sempre attuato una linea delittuosa che vive sul conflitto perenne. Numerosi gli agguati mortali degli ultimi mesi di cui sono rimasti vittime alcuni nemici: uno dei fondatori delle Brigate Qassam Mahmoud Mabhouh, trovato morto il mese scorso in un hotel di Dubai con un’inspiegabile folgorazione alla testa; due militanti sempre della fazione islamica vittime di un’esplosione a fine anno nella periferia di Beirut; il generale siriano Mohammed Suleiman ucciso in agosto in una località balneare. E ci sono ulteriori uccisioni di militanti di cui Hamas tace per non evidenziare la sua vulnerabilità.

In una fase in cui Israele sembra impossibilitato, come ha sottolineato il capo di Hezbollah Nasrallah, a fare sia la pace sia la guerra aumentano sensibilmente quelle esecuzioni mirate con cui il Mossad aveva caratterizzato il periodo fra le due Intifade palestinesi. Fu quella l’epoca in cui vennero eliminati esponenti militari e politici di tutte le organizzazioni attive nella resistenza. Uno dei primi fu Fathi al-Shikaki della Jihad Islamica, assassinato nel 1995 a Malta. Quindi Yehia Ayyash, l’abilissimo artificiere che vendicava la strage ebraica della Moschea di Abramo confezionando ordigni per attentati a pullman e ristoranti israeliani. Pur esperto della materia rimase vittima d’un congegno dinamitardo inserito in un telefono cellulare fornitogli da un palestinese reclutato da agenti israeliani. Nel novembre 2000 fu colpito Jamal al-Razek di Fatah, nel 2002 il comandante militare di Hamas Saleh Shehada moriva con familiari e vicini sotto le macerie della sua abitazione squarciata da una bombardamento aereo mentre a Beirut un’auto al plastico sventrava Jibril, figlio del leader del Fplp. Impressionarono i missili sparati nella primavera del 2004 da F16 sullo sheik paraplegico Yassin e poco dopo sull’auto di Aziz Rantisi che aveva preso il suo posto a Gaza.

I leader di Hamas, Haniyeh nella Striscia, e Meshal a Damasco rischiarono di morire colpiti rispettivamente da missili e veleno. Quest’ultimo caso, accaduto nel settembre del 1997 ad Amman, sembra una trama di spy story. Il politico e la sua guardia del corpo vennero aggrediti da due uomini che spruzzarono sulla testa di Meshal liquido velenoso. Dopo un rocambolesco inseguimento gli aggressori furono arrestati e si dichiararono agenti del Mossad, si erano aggregati a una comitiva di turisti diretti a Petra esibendo passaporti canadesi. Inizialmente il governo giordano, con cui Tel Aviv aveva preso contatti, cercò di nascondere la notizia dell’attentato, ma poiché il capo islamico rischiava paralisi e morte re Hussein intervenne direttamente avvertendo il presidente statunitense Clinton. Si rischiò la crisi diplomatica, alla fine il premier Netanyahu si preoccupò di far giungere l’antidoto e gli agenti dei Servizi d’Israele vennero scambiati con illustri prigionieri politici come Yassin. Passaporti canadesi, e stavolta europei, ricompaiono per le undici persone sospettate dell’omicidio di Dubai, anch’esso perpetrato senza uso di armi da fuoco, per il quale il capo della sicurezza degli Emirati Arabi Khalfan ha avanzato ampi sospetti su Israele.

Le esecuzioni sommarie, lo stato di guerra rivolto a militanti e civili, è una prassi mai abbandonata dal sionismo, che fra prima e seconda Intifada ha eliminato oltre quattrocento resistenti solo nelle file islamiche. Indispensabile risultò una rete amplissima d’infiltrati e collaboratori. Il noto giornalista Zaki Chehab, nato nel campo profughi di Burj El-Shamali presso Tiro, che ha narrato molte storie di palestinesi che combattono e di quelli che si vendono, sostiene come quest’ultimi in alcune fasi abbiano raggiunto le 25.000 unità allettati da denaro, promesse di lavoro, cure mediche o altro elargiti dai Servizi di Tel Aviv. Le sacche di povertà e disperazione dei campi profughi costituiscono un eccellente terreno di caccia. Ma alcune spie sono reclutate in ambienti colti e insospettabili, come Walid Hamdaieh, membro del reparto Da’wa di Hamas che s’occupava della propaganda. Aveva studiato all’Università Islamica seguendo l’indottrinamento dello sceicco Yassin ma non bastò a forgiarlo. Le minacce della tortura comminategli dopo un arresto lo spinsero verso il ruolo d’informatore. Una strada che il Mossad ripropone per tenere sempre viva la sua guerra sotterranea.

17 febbraio 2010

Enrico Campofreda

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