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La Corte Suprema USA sentenzia: 'lavorare per il dialogo è terrorismo'

(19 Luglio 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

Dialogare è un crimine di Antonio Marafioti, Peacereporter

Invitare il PKK o le Tigri Tamil al dialogo di pace equivale a fornire loro soldi e armi? Per la Corte Suprema degli Stati Uniti la risposta è "sì". Sei magistrati su nove del tribunale più importante degli States hanno respinto l'istanza avanzata da diversi gruppi umanitari rappresentati in giudizio dall'organizzazione no-profit Humanitarian Law Project.

Il verdetto redatto dal giudice capo John G. Roberts Jr., conferma quanto stabilito dalla legge federale: fornire "supporto materiale" a ogni organizzazione straniera che il governo indica come un gruppo terrorista è un crimine. Il dato peculiare di questa pronuncia dei togati è quello in virtù del quale dentro il grande calderone di "supporto materiale" i giudici della Corte, esclusi Ruth Bader, Sonia Sotomayor e Stephen G. Breyer, hanno fatto rientrare ogni genere di contatto fra i gruppi umanitari e quelli considerati "criminali". Il che conferma di fatto la dottrina della tolleranza zero inaugurata all'indomani dell'11 settembre 2001: qualsiasi contatto con un organizzazione iscritta come "gruppo terrorista" sulle liste del Pentagono è da considerarsi un reato. Poco importa per i giudici la differenza sostanziale e profonda fra una fornitura d'armi ai guerriglieri e il tentativo di instaurare un dialogo che possa permettergli di adire le vie legali per vedere tutelati i loro diritti. Tra la violenza delle armi e la non violenza della parola non c'è, almeno per i magistrati e la legge statunitense, alcuna differenza se si tratta con coloro che sono additati come nemici degli USA.

Solo nel 2001 il governo federale ha chiesto l'incriminazione di 150 soggetti sospettati di aver fornito aiuto logistico ai gruppi "fuori legge" e ha ottenuto la condanna di 75 di questi. In realtà molte organizzazioni cercano, nell'alveo del diritto internazionale di fornire gli strumenti di dialogo per la risoluzione pacifica di annose contrapposizioni religiose, etniche e politiche che, altrimenti continuerebbero, come continuano, a restare in balia della violenza. Dalla data della sentenza, 21 giugno, operare per il peacebuilding, perché si diffonda fra i guerriglieri una cultura di rispetto e dialogo, continua ad essere considerato un reato. Non ce l'hanno fatta i tre giudici di minoranza a convincere gli altri per una interpretazione più soft della legge nonostante l'ultimo appello di Breyer che ha sostenuto: "Poiché tutte le attività previste dai ricorrenti prevedevano la comunicazione di idee e legittimo il cambiamento politico - ha scritto il giudice - la legge dovrebbe criminalizzare il diritto di parola e di associazione, altrimenti protetti dal primo emendamento, solo quando l'imputato è al corrente o intende far sì che tali attività finanzieranno le azioni illecite dell'organizzazione terroristica". Cioè, come sembra logico, se lavori per il crimine verrai punito altrimenti sarai tutelato come previsto dalla Costituzione. Non hanno accettato questa interpretazione gli altri sei giudici per cui le intenzioni di aiutare chi conosce solo la lingua del terrore sono sempre e comunque perseguibili per legge. La decisione della Corte, a questo punto, sembrerebbe alzare definitivamente le barriere d'isolamento intorno a gruppi che lottano perché, spesso, non hanno altre alternative o, meglio, perché le alternative non le conoscono.

L'hanno spuntata le politiche di sicurezza varate nel 1996 dall'amministrazione guidata dal presidente Bill Clinton che vietavano di fornire "sostegno materiale" ai terroristi stranieri e l'ha spuntata l'inasprimento di tale legislazione entrato in vigore col Patrioct Act che George W. Bush ideò nel 2001 dopo gli attentati alle Twin Towers. Un altro ex presidente, Jimmy Carter, si è invece detto contrariato per una decisione che potrebbe compromettere gli sforzi del Carter Center per l'instaurazione di trattative pacifiche tra Israele e i gruppi palestinesi fra i quali Hamas. Questa decisione, ha dichiarato l'ex coinquilino della Casa Bianca, "minaccia il nostro lavoro e il lavoro di molte organizzazioni pacificazione altri che devono interagire direttamente con i gruppi che si sono impegnati in azioni di violenza".

www.radiocittaperta.it

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