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(7 Febbraio 2010) Enzo Apicella
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Omsa, la produzione in Serbia. 350 dipendenti senza lavoro di Alessandro Fioroni

(28 Luglio 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.contropiano.org

Omsa, la produzione in Serbia. 350 dipendenti senza lavoro

di Alessandro Fioroni


Sarà la crisi ma il processo di delocalizzazione dell'industria manufatturiera italiana continua inarrestabile, la Serbia poi è diventata una delle mete preferite per piccole e grandi aziende che cercano un basso costo del lavoro e forse anche regole un po' più permissive. Non fa eccezione un marchio famoso come la Omsa.
Una fabbrica storica che produce calze per donna di proprietà della Golden Lady Company. Il gruppo è di proprietà dell'imprenditore Nerino Grassi, a cui fanno capo oltre alla Omsa, anche Sisì, Philipe Martignon e Filodoro. Si tratta di un colosso del settore con circa 7000 dipendenti e 15 impianti di produzione ( 9 in Italia, 4 in Usa e 2 in Serbia).
L'azienda di Faenza, in provincia di Ravenna, si prepara a traslocare lasciando senza lavoro almeno 350 dipendenti, di cui 320 donne. E' anche certo che è già stato stilato un accordo con il ministero economico serbo.

In questa maniera la fabbrica faentina sarà il terzo stabilimento ad aprire in Serbia.
In realtà come spiega all'Ami, Marvi Masazza Gal della segreteria Filtea Cgil, già ad Ottobre scorso «l'azienda annunciò la sua volontà di delocalizzare il suo stabilimento di Faenza in Serbia, il 20 luglio abbiamo avuto un incontro importante presso il ministero dello Sviluppo economico perchè nel frattempo, nonostante ci sia ancora un'attività nella fabbrica di Faenza, i lavoratori sono in regime di Cassa integrazione straordinaria di 24 mesi. Così nel tavolo con il Ministero si è parlato dell'obiettivo della ricollocazione dei dipendenti e della reindustrializzazione del sito. In questo senso il ruolo delle amministrazioni locali è cruciale»
Si tratta di uno snodo fondamentale della vicenda Omsa poiché una volta che le amministrazioni locali e il Ministero hanno dato il via libera al trasferimento, il personale rischia concretamente di restare senza tutela con gli ammortizzatori che finiranno a Marzo. Se poi non si trova un imprenditore disposto ad investire sul sito produttivo l'esito è la disoccupazione. C'è poi un'ulteriore difficoltà derivata dalla struttura del mercato del lavoro che rende più difficile la collocazione delle lavoratrici.
«Bisogna lavorare - continua Marvi Masazza - affinchè una nuova attività possa occupare il maggior numero di lavoratori, dopodichè il sindacato si è impegnato a mettere in piedi piani di riqualificazione professionale delle persone. Noi dal 25 febbraio 2010 abbiamo aperto un tavolo con le istituzioni proprio sulla situazione dell'Omsa, questo perchè non ci accontentiamo della Cassa integrazione ma vogliamo che ci si faccia carico della situazione provocata dalla decisione dell'azienda».

* Agenzia Ami

www.contropiano.org

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