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La Gelmini ha ragione

La Gelmini ha ragione

(26 Novembre 2010) Enzo Apicella
Manifestazioni studentesche contro la "riforma" Gelmini in tutte le città.

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    (La controriforma dell'istruzione pubblica)

    La vecchia talpa lavora... e scava il terreno sotto la Riforma!

    (2 Febbraio 2011)

    anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.caunapoli.org

    La vecchia talpa lavora... e scava il terreno sotto la Riforma!

    foto: www.caunapoli.org

    Questo antagonismo fra l'industria moderna e la scienza da un lato e la miseria moderna e lo sfacelo dall'altro; questo antagonismo fra le forze produttive e i rapporti sociali della nostra epoca è un fatto tangibile, macroscopico e incontrovertibile […] Nei segni che confondono la borghesia e i meschini profeti del regresso riconosciamo la mano del nostro valente amico, Robin Goodfellow, la vecchia talpa che scava tanto rapidamente, il grande minatore: la rivoluzione.
    K. Marx, Discorso per l'anniversario del People's pape

    Ma la rivoluzione va fino al fondo delle cose. Sta ancora attraversando il purgatorio. Lavora con metodo [...] Essa spinge alla perfezione il potere esecutivo, lo riduce alla sua espressione più pura, lo isola, se lo pone di fronte come l'unico ostacolo, per concentrare contro di esso tutte le sue forze di distruzione. E quando la rivoluzione avrà condotto a termine questa seconda metà del suo lavoro preparatorio, l'Europa balzerà dal suo seggio e griderà: “Ben scavato, vecchia talpa!”
    K. Marx, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte

    Ok, ok: niente esagerazioni né trionfalismi. Ma se leggete fino alla fine questo post capirete che c'entrano Marx, le talpe e persino la rivoluzione (con la minuscola, perché non è un Mito ma qualcosa che è accaduto ed accade tuttora) con la nostra “piccola” lotta nelle scuole e nelle università... E vedrete anche come questa lotta c'entri davvero con quello che succede oggi in Italia e nel resto del mondo.

    Che questa mobilitazione autunnale fosse diversa dalle precedenti lo si era capito da subito, ed il 14 dicembre del tumulto ne aveva fornito la dimostrazione irrefutabile. Gli effetti profondi della crisi, con il restringimento di spazi di mediazione politica e di redistribuzione economica, combinati con il lavoro sotterraneo dei collettivi nati dall'Onda e con la rabbia di tanti soggetti colpiti dall'offensiva padronale e dalla speculazione sui territori, avevano da subito prodotto un rinnovato interesse per la politica, un'inedita unità, una forza d'azione da molti mai percepita. Era quindi lecito aspettarsi che, finite le vacanze, gli studenti non sarebbero tornati a fare la solita vita universitaria, ma avrebbero continuato a partecipare, a contestare.

    Restando alla lotta contro la Gelmini, è infatti vero che la Riforma è passata in Parlamento; quanto alla sua applicazione, è ancora tutto da vedere. E di questo se ne sono accorti tutti: come abbiamo segnalato qui, le decine di decreti attuativi, alcuni in palese contraddizione fra loro, le perplessità più o meno forti di molte componenti del mondo accademico, un quadro politico ancora instabile, rendono difficile l'attuazione in tempi brevi di tutto il provvedimento, o almeno di molte sue parti. Basti segnalare le tensioni che in questi giorni si sono create con le nomine del consiglio direttivo dell'Anvur ad opera del Governo, che ha di fatto escluso da un luogo-chiave tutti gli studiosi delle discipline umanistiche e l'intero Mezzogiorno, non figurandovi nessun rappresentante delle facoltà collocate a sud di Roma. O ancora l'esito delle elezioni del Consiglio Universitario Nazionale, che ha strapremiato i ricercatori della Rete 29 Aprile, contraria alla Riforma. D'altronde gli effetti dei provvedimenti che da anni mortificano la formazione e la ricerca sono già sotto i nostri occhi, con meno ragazzi all'università, più fughe all'estero, meno diritti e qualità... E questo quadro a dir poco pietoso resta uno stimolo all'azione.

    È dunque a partire da questa condizione oggettiva – fatta di debolezza della decisione governativa e irritabilità del corpo studentesco, in un quadro di agitazione sociale e di echi di rivolte mediterranee – che abbiamo deciso di portare avanti la lotta contro la Riforma Gelmini. Non per chiuderci in un ambito universitario proprio quando la realtà dimostra che la lotta va generalizzata, portata sul complesso delle condizioni di vita e dei rapporti di forza nella società, unendola con quella delle altre categorie colpite dalla crisi... Tutt'altro: proprio per rafforzare quelle lotte, dando continuità alla mobilitazione autunnale, rompendo quel cliché che vuole gli studenti in occupazione a novembre e a casa a preparare gli esami a gennaio. Perché quella partita è tutt'altro che chiusa, perché la lotta contro lo smantellamento del sistema formativo pubblico ed il suo assoggettamento alle logiche aziendali (con la conseguente diffusione sul medio e lungo periodo di ancora più ignoranza, indifferenza, autoritarismo), deve essere una priorità per tutti, e non riguarda solo chi oggi è studente.

    Sono questi i motivi che ci hanno portato lunedì e martedì scorso a fare irruzione nei senati Accademici della Federico II e dell'Orientale di Napoli, dichiarando ancora una volta che:
    - questa Riforma deve essere ritirata;
    - gli organi accademici non devono riscrivere i loro statuti per recepire le nuove norme;
    - le commissioni che devono provvedere all'attuazione della Riforma non devono essere nominate;
    - i rappresentanti degli studenti e chiunque si dichiari a parole contro la Gelmini si deve immediatamente dimettere.

    Qual è il senso di quest'azione, che proponiamo come iniziativa generalizzabile a tutti i collettivi ed assemblee universitarie italiane? Non certo aspettarsi dagli organi accademici, da sempre complici dello smantellamento del sistema pubblico, che la Riforma grazie a loro non venga applicata. Tutt'altro: scavargli il vuoto sotto i piedi. Infatti, scegliendo ancora una volta la strada della lotta e della partecipazione da basso intendiamo:
    - coinvolgere gli studenti nella preparazione delle iniziative, e farli intervenire senza delegare a nessuno la loro rappresentanza;
    - sfruttare le possibili contraddizioni nel campo avverso: spingere gli incerti a schierarsi, prima che l'ennesima riforma passi per manfrine e accordi sottobanco...
    - prendere tempo in vista di un possibile cambio di governo che possa ancora una volta confondere il quadro;
    - dimostrare soprattutto che ormai, per funzionare, la catena del comando ha bisogno sempre di più di irrigidirsi e di escludere. Infatti, se gli Atenei non riscrivono gli statuti, questi vengono scritti dal Ministero, reintroducendo modalità di esplicita provenienza fascista. Ma se ci siamo noi a invalidare le sedute o a dare la sponda a qualche “scontento” per invalidarle, gli statuti non verranno scritti... A meno che i Senati accademici non vengano svolti di nascosto – come ci hanno appunto detto che avrebbero fatto. Il che è possibile, ma dimostra quanto ormai l'istituzione ci sia estranea, non riuscendo manco più a reggere il confronto della dimensione pubblica.

    Una strada del genere ci convince molto di più di quella referendaria. In mancanza di una soggettività politica autonoma, forte ed organizzata, il referendum (che prevede tempi lunghi ed ha bisogno di sponsor istituzionali, oltre a rischiare di non raggiungere il quorum, e ridurre l'esercizio della democrazia ad una firma o ad un'urna), illude che il “sistema” sia tutto sommato riformabile e che la volontà popolare sia in ultima istanza rispettata grazie alla Carta Costituzionale, mistificando così il fatto che la Riforma obbedisce ad esigenze di lungo periodo che vedono un accordo a livello europeo ed un accordo trasversale agli schieramenti che non ha proprio nulla a che vedere con la democrazia.

    È in questo senso che ci permettevamo di citare Marx. Non solo perché il lavoro di un collettivo è sempre il lavoro di una talpa che quotidianamente scava sotto la superficie, sotto la soglia di visibilità dei media, sbriciolando il terreno su cui si fondano le politiche del dominio, e facendole crollare d'un tratto, come s'è visto nei riots europei e nordafricani... Ma anche perché nell'Italia di fine-Berlusconi, con la sua “borghesia confusa” ed i suoi “meschini profeti” del regresso politico, dobbiamo iniziare a porre la questione centrale: quella di un agire rivoluzionario. Un agire che va “fino al fondo delle cose”, un agire che, pure se sta attraversando un lunghissimo “purgatorio”, di certo è uscito dall'inferno in cui l'89 sembrava averlo condannato, un agire che deve darsi “metodo”. E che, per la prima volta da tanto tempo, sta evidenziando la distinzione cruciale che c'è mancata, quella fra amico/nemico; costringendo il “potere esecutivo”, fosse pure quello misero dei rettori-manager all'interno degli Atenei, a blindarsi e “isolarsi”, separarsi. Smettendo la sua maschera dialogante e “civile”, e tirando fuori il suo vero volto, quello feroce e servile.

    Per questo continueremo a tenere aperti canali di democrazia dal basso, come gli spazi occupati e le assemblee pubbliche: non solo per fare in modo che questa legge non venga attuata, ma anche per dimostrare che l'incompatibilità con il sistema vigente non è stato un sogno di un pomeriggio di mezzo inverno a Piazza del Popolo.

    Collettivo Autorganizzato Universitario – Napoli

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