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Difendere i bisogni dei lavoratori contro il sistema Marchionne

I sindacalisti dell’Usb spiegano le ragioni dello sciopero generale

(10 Marzo 2011)

sciopero 11 marzo 2011

Quel volto di Marchionne usato come maschera carnascialesca è il logo dello sciopero generale indetto dal sindacalismo di base. Un po’ serve a esorcizzare il rischio che il modello introdotto dal manager Fiat può ulteriormente apportare in un mondo del lavoro già da tempo tartassato da ogni sorta di deregulation. Ne parliamo con un rappresentante nazionale e due di settore dell’Unione Sindacale di Base, la maggiore sigla fra quelle che hanno organizzato la giornata di protesta.

Fabrizio Tomaselli cosa vi aspettate da uno sciopero generale?
Non pensiamo che lo sciopero generale abbia un potere taumaturgico, può però dare fiato a tutte le vertenze in corso perché ogni categoria palesa situazioni esplosive in molte aree del Paese. In questa fase tanti lo considerano una risposta adeguata ai provvedimenti del Governo e al ruolo giocato dalla Confindustria. Le lotte animate dal sindacalismo di base e dalla Fiom sono rivolte alla difesa dei contratti nazionali contro gli accordi sottoscritti negli ultimi tre anni da Cisl, Uil, Governo e Confindustria. Non crediamo invece agli scioperi generali esclusivamente politici, abbiamo criticato la tardiva e parziale scadenza di maggio indicata dalla Cgil che si colloca a ridosso delle amministrative.

Si può difendere l’occupazione in tempo di crisi?
L’occupazione si deve difendere in tempo di crisi, ciò vale sotto l’ottica sindacale e da un punto di vista economico. La nostra economia va a rotoli perché i consumi sono ridotti a zero, i conti correnti dei lavoratori sono in rosso e se non c’è reddito la crisi s’avvita. Conservare l’occupazione e i salari diventa uno stato di necessità per l’intera nazione.

Ma i salari, già bloccati, sono martoriati dal carovita, come difenderli?
E’ difficile parlare di difesa coi contratti ufficialmente bloccati nel Pubblico Impiego e di fatto anche nei settori privati. Non è solo coi salari che è possibile rimettere in moto l’economia né si possono offrire certezze ai lavoratori con un’inflazione in salita e aumenti delle spese di base come affitti e beni di prima necessità. Noi non parliamo solo di salario ma di riconquista del reddito. Su questo terreno si devono inserire vertenze specifiche che soddisfino bisogni, ad esempio attraverso la riconquista del diritto all’alloggio.

Dopo il caso Mirafiori quali categorie rischiano il contratto nazionale?
Tutti i settori rischiano di perdere i contratti nazionali, gli accordi di tre anni or sono fra i maggiori sindacati e l’Esecutivo li mettevano in discussione. Mirafiori ha acuito la crisi.

La deregulation è l’anticamera di una totale precarizzazione nel mondo del lavoro?
La deregulation nel mondo del lavoro non sta passando prioritariamente con l’attacco al contratto nazionale. La deregulation c’è già, prodotta dai numerosi accordi degli ultimi anni stilati dai Confederali, in parte con la presenza della Cgil in parte no, e anche dalle norme introdotte dai Governi di centrosinistra. Ormai il precariato rappresenta l’80% del lavoro degli assunti e dei giovani. E’ evidente che la perdita del contratto nazionale diventa un ulteriore danno e la beffa finale. Ma com’è accaduto per Alitalia dietro l’angolo c’è di peggio: la contrattazione individuale.

Chi peggiora le condizioni dei lavoratori, il Patto sociale fra i Confederali e il Governo che voi denunciate, o le leggi votate in Parlamento?
Le due cose non sono in contrasto: parti sociali che s’accordano coi Governi e Parlamento che legifera possono rendersi tutti attori d’un quadro regressivo. Nel 2008 e precedentemente è stato così. Poco importa sapere se viene prima un patto oppure una legge, il risultato finale è quello che abbiamo sotto gli occhi. Per il presente e il futuro noi poniamo questa domanda: il sindacato dev’essere colui che s’accorda a ogni costo con aziende e Governo o conformemente alla sua storia tratta ma fa del conflitto un elemento portante del suo agire?

L’attuale rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro è garantita a tutti?
Denunciamo da vent’anni la carenza di democrazia rappresentativa nei posti di lavoro. Oggi qualcuno si sta rendendo conto che questo è un tema reale perché alla Fiat è accaduto quel che è accaduto. Quando si mettono in discussione i diritti questi possono venire meno per tutti. C’è bisogno d’una nuova regolamentazione da creare col contributo non solo dei diretti interessati ma di lavoratori e cittadini. Servono norme che rimettano in discussione le modifiche apportate a metà anni Novanta allo Statuto dei lavoratori, servono meccanismi trasparenti che non regalino quote fisse come accade ora.

Fra le limitazioni a taluni servizi vitali per i cittadini quelle di Sanità e Trasporti risultano eclatanti in ogni regione. Sentiamo due responsabili di settore dell’Usb.

Sabino Venezia: “Sulla Sanità pubblica s’incrociano tutta una serie d’interessi funzionali all’attuale momento di crisi. Subiamo tagli governativi, quelli operati dalle regioni e l’attacco al welfare attuato dall’Esecutivo Berlusconi, così il bene salute riceve un’offensiva senza pari. Il disagio per utenti e operatori si traduce nella continua riduzione di posti letto pubblici e nell’impossibilità di offrire risposte concrete ai bisogni della popolazione. Questa condizione produce un’elevata frustrazione fra gli stessi lavoratori. Solo con la piena ricomposizione di un tessuto operativo si potrà tentare di arginare il danno di chi ritiene questo servizio una merce e incentiva la speculazione privatistica. Ma pur seguendo logiche mercatili applicate sulla salute non esiste nessun mercato dove la domanda aumenta e la risposta diminuisce. Sarebbe fra l’altro auspicabile liberare il sistema dai vincoli della politica che lo sta trasformando in qualcosa d’incomprensibile all’utenza“.

Roberto Cortese “Mai come in questi anni il trasporto locale ha riscontrato una vera aggressione per carenza d’investimenti economici. In tante province che animano il pendolarismo da lavoro il trasporto pubblico dovrebbe essere preso in massima considerazione perché può produrre risparmio energetico e sostenibilità della vita con recupero del tempo e limitazione dell’inquinamento. Un simile piano nazionale dovrebbe essere garantito per legge, invece nella rete ferroviaria si è garantita l’Alta velocità a discapito del trasporto regionale e nei trasporti urbani la gestione ha ovunque imboccato strade opposte. Ha applicato risparmi su voci essenziali per il miglioramento del servizio come gli investimenti su mezzi e personale, ha imposto ragionamenti da contabile guardando solo al bilancio sostenendo caro biglietti con aumenti anche del 30%. Il record spetta al Veneto che ha le tariffe bus più care d’Italia (1,50 euro) ma fra le grandi città anche Bologna segue questa tendenza. La beffa è che spesso agli aumenti non segue nessun miglioramento del servizio”.

9 marzo 2011

Enrico Campofreda

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