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(14 Giugno 2012) Enzo Apicella

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Siria: Assad ribadisce strada delle riforme

Ma pesa il bilancio di vittime a Deraa, 26 negli ultimi giorni, e anche oggi ci sarebbero stati morti, almeno tre a Banias, durante nuove proteste.

(11 Aprile 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.nena-news.com

Bashar Assad

foto: www.nena-news.com

della redazione con reportage di Martina Iannizzotto

Damasco, 10 aprile 2011, Nena News - Bashar Assad, attraverso l’agenzia siriana Sana, ha confermato oggi che «la Siria va avanti sulla strada delle riforme» e, ha aggiunto, non esclude di poter attingere «alle esperienze dei Paesi europei». E’ stata la prima dichiarazione pubblica del presidente dopo il discorso in Parlamento del 30 marzo. Il leader siriano nei giorni scorsi ha concesso la cittadinanza a 2/3 dei residenti curdi e ha dato disposizione ad una commissione statale di studiare tempi e modi per la revoca parziale o totale dello stato d’emergenza in vigore da decenni nel paese. La buona volontà del leader tuttavia si scontra con l’atteggiamento delle forze di sicurezza che non esitano ad aprire il fuoco, mentre la televisione di stato addossa la responsabilità dei massacri ai «infiltrati».

Nena News vi propone il racconto fatto da Martina Iannozzotto della giornata di venerdì, segnata da manifestazioni con migliaia di persone in diverse città siriane.

A fine giornata, per il quarto venerdi’ di fila, in Siria si contano i morti ed i feriti nelle manifestazioni di protesta. Il bilancio piu’ pesante e’ ancora a Daraa, la cittadina del sud al confine con la Giordania epicentro della protesta, dove le vittime sono state 26 secondo l’agenzia di stampa ufficiale Sana 19, di cui 15 appartenenti alle forze dell’ordine. Le fonti di informazioni ufficiale accusano della carneficina bande armate, mentre secondo gli attivisti a sparare sarebbero state forze di sicurezza speciali. La TV di stato mostra filmati di ragazzi con il volto coperto che sparano, dietro si nota una SUV con targa visibile. Gli attivisti su twitter fanno notare che il filmato sembra poco credibile, i ragazzi, dicono, sembrano attori ed e’ girato in alta risoluzione. Secondo gli attivisti i feriti avrebbero paura di recarsi presso gli ospedali ufficiali per timore di essere identificati ed arrestati. il punto di raccolta dei feriti e delle vittime continua ad essere la moschea al Omari nella parte vecchia della citta’.

Il venerdi’ si tratta di decidere all’uscita di quale moschea recarsi per sentire il termometro della situazione. La moschea degli ommaiadi, nella citta’ vecchia, sara’ probabilmente super controllata visto i gli eventi dei venerdi’ precedenti.

Un attivista tramite email avverte che ci si aspetta un grosso raduno a Duma, ma che sara’ impossibile entrare nel sobborgo dopo le 10, l’ingresso sara’ chiuso dalle forze di sicurezza.

Duma e’ un sobborgo a venti km di distanza al nord di Damasco, una volta villaggio agricolo autonomo, come testimoniano i campi di ulivi secolari in mezzo alle case grigie senza intonaco e alle strade polverose, ora tipico insediamento popolare. Siamo arrivate a Duma in taxi il il giorno dopo le manifestazioni e le vittime del venerdi’ dei martiri. Nella piazza centrale sono parcheggiati un pullman carico di soldati e macchine della polizia. Appena scese dal taxi di fronte alla moschea centrale ci sentiamo tutti gli occhi dei proprietari dei pochi negozi aperti puntati addosso. Siamo le uniche donne senza velo sulla strada, visibili come mosche bianche. Non c’e’ niente da visitare a Duma per un turista, se non mangiare la carne di cammello. Saliamo subito su un altro taxi. Il tassista e’ di Duma. Mentre ci mostra la citta’, la rabbia scioglie la sua bocca, ha voglia di raccontare, ed e’ piu’ sicuro parlare con stranieri. “Venerdi’ scorso a Duma hanno manifestato migliaia di persone. La polizia segreta, mohabarat, ha sparato uccidendo venticinque persone”. Secondo organizzazioni per i diritti umani le vittime accertate sarebbero 15 provenienti da Duma e villaggi limitrofi. Ci mostra un gruppo di uomini seduti di fronte ad un negozio chiuso, sono i parenti di una delle vittime in lutto. “Duma e’ unita, migliaia di persone manifesteranno il prossimo venerdi’. Io non voglio cacciare Bashar al Asad, ma e’ circondato da corrotti. Il popolo vuole le riforme.” Ci mostra gli odiati agenti della polizia segreta.”A Duma ci sono almeno cinquemila agenti della polizia segreta che controllano la popolazione. Bisogna stare attenti, Damasco e’ piena di polizia segreta. Spesso si tratta di finti venditori ambulanti che riferiscono tutto cio’ che osservano. In Italia c’e’ la polizia segreta?” chiede. No, l’Italia ha molti problemi ma si possono esprimere le proprie opinioni senza paura di essere denunciati. “Voi siete giornalisti? Ho bambini, non scrivete cio’ che dico.” Lo rassicuriamo. Scatta quando gli diciamo che siamo stati a Daraa, la cittadina da cui tutto e’ inziato. “Cosa avete visto? Com’e’ Daraa? A Daraa hanno vinto, perche’ hanno allontanato le forze dell’ordine dalla citta’.”

Scegliamo di andare a Kfar Souse, dove venerdi’ scorso circa duemila persone hanno gridato “liberta’” dentro la grande moschea Al Rifati, sono rimaste assediate per ore da bande di civili armate di manganelli e bastoni elettrici che hanno picchiato i fedeli all’uscita. Quartiere della classe media damascena, dentro la citta’, palazzi con appartamenti, negozi, qualche donna senza velo, la distanza tra Kafar Souseh e Duma non e’ solo fisica. Segno che la protesta non e’ confinata solo a comunita’ povere e conservatrici, ma che gruppi diversi per etnia, religione, appartenenza sociale ed anagrafica convergono nella richiesta di maggiore liberta’. Il tassista si mostra visibilmente interdetto quando chiediamo di andare nella piazza Al Rifati, della moschea. Ci facciamo allora portare al centro commerciale Damasquino, vicino alla moschea Al Rifati, negozi di griffe occidentali, come in una qualsiasi citta’ europea. Gruppi di uomini si dirigono verso la moschea all’ora della preghiera. L’ingresso e’ aperto, anche se annunciato che sarebbe rimasta chiusa per “restauro”, ma la piazza antistante trabocca di poliziotti in tenuta anti-sommossa. Passiamo velocemente sotto gli sguardi dei poliziotti prima che lo stupore si trasformi in sospetto, di nuovo uniche donne nei paraggi e al volo saliamo su un taxi. “Allah u akhbar”, dice preoccupato il tassista alla vista di tale dispiegamento di forze, “inshalla kher”, speriamo che vada bene, che non ci siano vittime. Da twitter sapremo qualche ora piu’ tardi che circa duecento fedeli sono stati picchiati e qualcuno arrestato all’uscita dopo la preghiera dopo aver di nuovamente urlato “liberta’” dentro la moschea.

Come il venerdi’ precedente, commentiamo la giornata con Munir, mentre Al Jazeera, Al arabya, e altre emittenti satellitari fanno scorrere immagini di video amatoriali sulle manifestazioni a Daraa, Banyas, Turtus, Dabayya ed intervistano testimoni oculari.

Le informazioni sulle manifestazioni che per il quarto venerdi’ consecutivo, “il giorno dello resistenza”, vedono scendere in piazza migliaia di persone in varie citta’ della Siria giungono da testimoni oculari, attivisti e filmati girati con il cellulare, poiche’ ai giornalisti, anche regolarmente accreditati, e’ impedito di entrare a Deraa.

A Deraa si notano migliaia di persone che gridano “sacrificheremo il nostro sangue e le nostre anime per te, Duma”, riferendosi al sobborgo intorno a Damasco dove venerdi’ scorso quindici manifestanti sono stati uccisi, e “Maher, codardo, manda le tue truppe nel Golan”, chiara accusa a Maher Al Assad, fratello del presidente Bashar Al Assad, capo delle guardie repubblicane, un corpo speciale dell’esercito ritenuto responsabile della sanguinosa repressione delle manifestazioni.

Altri filmati mostrano raduni significativi di persone a Banyas, cittadina costiera multi religiosa (Sunniti ed Alauiti), dove i manifestanti gridano “il suono della verita’”, “vogliamo liberta’, musulmani e cristiani”, a Tartus, altra cittadina costiera dove finora non si erano tenute manifestazioni, a Latakia, ad Homs, terza citta’ del paese dove lo scorso venerdi’ ci sono state due vittime, tra cui una bambina, ed oggi 45 persone sono state ferite, a Darayya, sobborgo di Damasco. Manifestazioni anche a Qameishi, cittadina del nord-est dove i curdi sono scesi in piazza nonostante la concessione tramite decreto presidenziale della cittadinanza siriana ad almeno 100.000 curdi (ma non a tutti i 300.000, vedere articolo accanto), gridando “non basta la cittadinanza, vogliamo liberta’”.

“Sono quarant’anni che aspetto questo momento” dice Munir, che ha trascorso 17 anni della propria vita in prigione in quanto membro del partito socialista dei lavoratori, illegale. Munir era un soldato dell’esercito siriano dal 1973 al 1976, quando la polizia segreta ha scoperto che era un marxista ed è stato cacciato. Tutti i suoi fratelli ed alcune delle loro mogli sono stati arrestati, calcola che hanno trascorso 55 anni in prigione in totale. “Il popolo chiede liberta’, vuole liberarsi dalla paura”.

Nena News

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