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(8 Dicembre 2010) Enzo Apicella
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    Regione Siciliana, ennesima farsa sui precari.

    (12 Luglio 2011)

    L’ARS ha votato un emendamento privo di ogni fondamentale sostegno tecnico, nel tentativo di farlo passare inosservato anche agli occhi di persone esperte, inserendovi un passaggio generico e surrettizio, dissimulando il cogitato interesse a non mutare la prospettiva di precarietà occupazionale di migliaia di lavoratori siciliani. Così, il provvedimento è stato impugnato dal Commissario dello Stato per la Regione Siciliana.

    Basta leggere attentamente l’argomentazione dell’impugnazione, per capire come i politici regionali, dopo analoghe vicende, abbiano ulteriormente preso in giro i lavoratori precari dell’isola, con un atteggiamento consapevole, e quanto buon senso il Commissario dello Stato per la Regione Siciliana abbia usato nell’impugnare l’emendamento sul precariato inserito nel ddl 729/2011.

    Non si può non ricordare a tutti i lavoratori precari della Sicilia, ed in particolare a quelli degli enti locali, che la loro condizione di instabilità occupazionale è frutto delle alchimie politico-sindacali costruite ad arte nel corso dell’ultimo ventennio dai partiti, dalla triplice sindacale e dall’Anci. Non è casuale il fatto che l’ARS abbia votato un emendamento privo di ogni fondamentale sostegno tecnico, nel tentativo di farlo passare inosservato anche agli occhi di persone esperte, inserendovi un passaggio generico e surrettizio (…..alla lettera e) del comma 1 dell’articolo 25 della legge regionale 29 dicembre 2003, n.21, sono aggiunte le seguenti parole:”nonché le stabilizzazioni effettuate ai sensi dell’articolo 17, commi 10, 11 e 12 del decreto legge 1 luglio 2009, n.78, convertito con modificazioni della legge 3 agosto 2009, n.102”) e dissimulando il cogitato interesse a non mutare la prospettiva di precarietà occupazionale di migliaia di lavoratori siciliani.

    Nel testo di legge emendato, infatti, vengono a mancare i più elementari, quanto però essenziali, presupposti giuridico-economici, che servono a giustificare l’impegno legislativo ed a sostenere la variante reddituale verso la definitiva stabilizzazione dei lavoratori con contratto a termine.

    Nel 2009 presso l’Assessorato al Lavoro fu costituito un tavolo tecnico, del quale facevano parte tutte le organizzazioni sindacali, che doveva servire per studiare la fattibilità di un provvedimento, che consentisse di chiudere la pagina del precariato, mediante una proficua attività di concertazione tra le parti sociali ed i tecnici regionali. Ma come al solito, la prepotenza della confederazione triplicina impose al Governo regionale l’istituzione di un altro tavolo, definito poi consultivo, composto da un funzionario regionale e dalle organizzazioni sindacali non allineate e minori, in pratica le sigle autonome in rappresentanza di tutte le categorie di lavoratori (Csa, Rdb Cub, Mgl, Diccap, Silpol ed altre) con le quali Cgil, Cisl, Uil e persino l’Ugl non volevano confondersi.

    Ma fu proprio in questo tavolo che la questione precariato venne sviscerata con forza e propositività, mentre nel tavolo tecnico attorno cui sedevano le confederazioni, i dirigenti e i politici regionali illustri si tergiversò, fino al punto di inibire in maniera tombale un importante spazio di democrazia partecipativa, nel quale i precari potevano essere realmente rappresentati.

    Cosicché i lavori ebbero ben presto fine e la problematica immanente del precariato rimase irrisolta. Ecco dunque manifestarsi il divario tra il paese reale dei lavoratori e della necessità ed il paese politico dei dirigenti, delle centrali sindacali politicizzate e del libero arbitrio. Di fatto, nei recenti incontri con il Governo regionale è stata chiara la posizione di Cgil Cisl e Uil all’unisono con l’Anci (la parte datoriale rappresentativa degli Enti locali) in contrasto con il progetto dei sindacati autonomi.

    Tra l’altro, sembra proprio che Confederali ed Anci non si siano spazientiti più di tanto a tutela dei lavoratori precari, allorquando il Governo regionale ha dettato le sue regole.

    In una recente assemblea tenutasi presso un Comune siciliano, un apostolo triplicino ha persino accusato i lavoratori precari di essere il male di se stessi, affermando che avrebbero dovuto associarsi a Cgil Cisl e Uil, invece di affidarsi alle varie associazioni professionali ed ai sindacati autonomi (quelli non allineati e minori per capirci), richiamando la logica della maggiore rappresentatività, data dal superamento della soglia del 5% degli iscritti, con cui la triplice continua a stritolare i lavoratori e le rappresentanze sindacali di categoria in una morsa liberticida. Miseria dell’autocelebrazione sindacale! ma quando i contrattisti manifestavano in piazza o organizzavano assemblee per comunicare il loro disagio e la loro rabbia e per proporre un percorso fattibile di occupazione e di consolidamento dei livelli salariali, la triplice dov’era? solo il movimento sindacale autonomo è stato al loro fianco, instancabile e combattivo ad oltranza come sempre.

    Ebbene, bisogna respingere una tale provocazione, poiché essa è la manifestazione del conclamato protagonismo triplicino, che riporta alla memoria una certa pratica avanguardista, specie alla luce dell’ultima scelta fatta dalla triplice in campo nazionale, tanto irresponsabile nel definire gli accordi di politica contrattuale e sindacale con la Confindustria, quanto prevaricatrice dei bisogni effettivi dei lavoratori, che estende i suoi tentacoli anche nel lavoro pubblico, dove gli effetti saranno sempre più devastanti. Non solo sul piano dell’occupazione e della democrazia sindacale, ma su quello dei servizi già carenti, che in maggior modo diverranno ancora più inefficenti.

    La Regione Siciliana, dunque, è divenuta matrigna dei tanti sottoccupati nel lavoro pubblico, che per venti anni sono stati mantenuti con le promesse e con le proroghe dai vari governi alternatisi da destra a sinistra, dai politici vecchi e nuovi, da una classe dirigente silente e compiacente.

    Tutto secondo la logica dell’assistenzialismo tout court, che sicuramente non da scandalo, più di quanto lo dia il comportamento del sindacalismo confederale, con cui esso mira ad accentrare il controllo del mercato del lavoro ed a monopolizzare le scelte organizzative dei lavoratori nei luoghi di lavoro, a discapito della capacità contrattuale di tanti dipendenti pubblici e privati, che diminuisce esponenzialmente rispetto a quella dei datori di lavoro, che stanno assumendo un potere quasi esclusivo.

    Il lavoro precario è il fenomeno di una precisa strategia dell’economia politica borghese e post industriale e nel corso dei tempi esso ha assunto forme diverse, adattate di volta in volta ai bisogni del capitale e del mercato, plasmate in armonia con la cultura imprenditoriale dominante o con assetti organizzativi abnormi, sulla scia dell’equazione delle plusvalenze.

    Tuttavia chi cerca di imporre la logica del profitto nel rapporto tra prestazione del lavoro e produzione dei servizi persino nell’ambito della pubblica amministrazione, mercificando ogni cosa, non può che essere in malafede o essere un fanatico visionario. Ma questa è un’altra storia, argomento di una nuova riflessione.

    Nello Russo

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