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La classe operaia va in fumo

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(8 Settembre 2011) Enzo Apicella
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La manovra che cambia un'epoca

(9 Settembre 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

La manovra che cambia un'epoca

foto: www.radiocittaperta.it

Questa non è una «manovra finanziaria» sui conti pubblici, è un cambiamento di regime politico. Chi punta l'attenzione solo su alcune misure, sull'«iniqua distribuzione» del carico dei «sacrifici», è un complice attivo di questo cambiamento di regime.

Niente di quello che è stato conquistato in secolo di lotte è più al sicuro.

Non lo è la struttura del salario, perché la preponderanza degli accordi aziendali – da chiunque sottoscritti, foss'anche un passante pagato per questo – potranno andare in deroga ai contratti nazionali e alle leggi dello stato. Già questo, da solo, è un golpe. Che – accordandosi tra loro - «i privati» (tali sono, da questo punto di vista, sia l'azienda che il sindacato o anche il singolo lavoratore) possano «derogare alla legge» è una formula inascoltabile in qualsiasi consesso che si pretenda democratico.

Potete provare a immaginare decine di situazioni abnormi, fino allo schiavismo, che in tal modo vengono rese perfettamente legali. I caporali di tutto il Mezzogiorno ringraziano. Finalmente potranno uscire dal cono d'ombra dall'illegalità mafiosa e acquisire un posto alla tavola dei «legittimi imprenditori». In fondo, tra loro e i migranti portati nei campi è «dimostrabile» l'esistenza di un «accordo tra privati». Idem per la prostituzione, magari.

Il modo lurido e menzognero con cui questo cambiamento di regime viene auspicato sui media padronali merita attenzione: «la necessità di rimodulare la disciplina legislativa del rapporto di lavoro, per superare il dualismo che caratterizza un diritto del lavoro troppo generoso con gli insider e troppo avaro con gli outsider», recita la canzone finto-egualitaria.

Come si potesse davvero «dare qualche diritto in più a chi ne è privo» togliendone qualcuno a «chi ne ha troppi». Non c'è bisogno di lunghi discorsi per capire che l'unico effetto pratico che si vuole raggiungere è la possibilità – per le imprese – di licenziare gli ultraquarantenni con un salario appena sufficiente (ma in qualche modo «garantito» contrattualmente e legislativamente) e sostituirli con giovani da pagare come apprendisti, senza contratti «pesanti», senza diritti sindacali certi e quindi senza possibilità di autodifesa.

Non è più al sicuro dunque l'associazione dei lavoratori, la si voglia ancora chiamare sindacato o in altro modo. Quando un accordo può essere siglato da chiunque, il ruolo chiave del sindacato – la contrattazione – semplicemente scompare. Né può essere considerata un argine quella dizione «organizzazioni maggiormente rappresentative», che fin qui ha identificato Cgil, Cisl e Uil. La pratica degli «accordi separati», nei metalmeccanici come nel commercio o nel pubblico impiego, ha dimostrato che persino l'»unità concertativa» era sentita come una costrizione troppo grande dalle imprese. E che quindi devono poter bastare pochi «complici» per chiudere un accordo. E chi se ne frega se rappresentano l'azienda, invece che la «naturale controparte».

Non lo è la struttura dei diritti individuali. Dalla salute alla «esistenza dignitosa», dal cibo alla casa, dall'istruzione all'informazione. La «filosofia» omicida di questa manovra vede i singoli esseri umani come animali che debbono «arrangiarsi», dalla mattina alla sera, senza soste e senza certezze, per tutta la vita. L'eliminazione delle pensioni è l'obiettivo finale di un'offensiva che pretende esplicitamente di ridurre l'attesa di vita all'età lavorativa.

E' un cambiamento di regime che accomuna – con tempi e modi diversi – tutta l'Europa. Ma è più rapido nei paesi deboli, come Italia, Grecia, Spagna o Portogallo. Più lento in quelli forti, come Francia e Germania. E' la fine del «modello sociale europeo» immolato sull'altare di una «competitività» al ribasso oltretutto irrecuperabile. Il costo complessivo del lavoro (salario più welfare più diritti) dei paesi arretrati o «emergenti» è troppo più basso per poter essere raggiunto in tempi brevi.

E' un cambiamento che scassa la democrazia anche sul piano formale, l'unico che fin qui era stato faticosamente realizzato. Quando Trichet chiede con forza l'istituzione di un «ministro delle finanze europeo», per esempio, bisognerebbe immediatamente chiedersi chi lo nomina, a chi risponde, con quale mandato, per quale politica economica e in quale modo determinata e decisa. Sono gli architravi della politica in regime democratico. Se si bypassano, si può avere soltanto un governo europeo delle lobby: elitario, socialmente irresponsabile, istituzionalmente incaricato di risolvere interessi privatistici sotto la finzione dell'«interesse pubblico». Agli Stati nazionali non resterebbero che le competenze attualmente in carico alle regioni o alle province. E con identici vincoli di agibilità finanziaria (forti limiti alle spese, nessun tetto al prelievo fiscale).

Questo è l'avversario che abbiamo davanti. Questo è l'avversario da battere per la mobilitazione che è iniziata ieri e non potrà fermarsi mai.

Dante Barontini - Contropiano

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