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(17 Marzo 2011) Enzo Apicella
150° anniversario della costituzione del Regno d'Italia. Cosa c'è da festeggiare?

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Esercito e Patria. Militarismo e repressione nell'Italia post-unitaria.

Giulio Bechi, scrittore e soldato, Capitolo II

(5 Dicembre 2011)

“...a primos de aprile/l'hana mortu a Gentile/a urtimos de martu/l'hana mortu a Onoratu/sa die 'ebinti nòe/dae coro no mi mòe/diapèrini su frore/canzilleri e duttore/a Onoratu apèrini/duttore e canzilleri/cuddos membros pintàos/su pessare bi tenzo/son tottu revistàos/cuddo pintàos membros..”
“...ai primi di aprile hanno ucciso Gentile/agli ultimi di marzo hanno ucciso Onorato/il giorno ventinove/è infisso nel cuore/aprono il fiore/il cancelliere e il dottore/aprono Onorato/il cancelliere e il dottore/quelle membra bellissime/il mio pensiero torna a quel momento/son tutte rovistate/quelle membra bellissime...”
“Attitidu”, lamento funebre per la morte del Bandito Onorato Succu, 1929.

“...La grande forza che la razza esercita nella dinamica criminosa, intanto è più potente in Sardegna rispetto all'omicidio, in quanto in quell'isola ricchissimo è l'elemento africano...”
Alfredo Niceforo, La delinquenza in Sardegna, 1897.

Capitolo II: I Banditi. O delle occupazioni militari dello Stato italiano in terra di Sardegna.

Tra la primavera e l'estate del 1899 il 67mo Reggimento di Fanteria del Regio Esercito sbarca nel porto di Golfo Aranci. I militi mettono piede sul suolo della terra di Sardegna a scaglioni, in sordina; nulla a che vedere con l'atmosfera festante che pochi giorni prima ,12 aprile, aveva accompagnato la visita di Stato nell'Isola dei sovrani regnanti Umberto I e Margherita, svoltasi tra le salve dei cannoni, nella cornice di una città di Cagliari vestita a festa, con tanto di inaugurazione, nel capoluogo sardo, del monumento al Padre della Patria, Vittorio Emanuele II.
Alla spedizione militare partecipa, non ancora trentenne, il giovane tenente Giulio Bechi, classe 1870, fiorentino, militare di carriera e futuro romanziere di fama.
E' lui l'autore del romanzo “Caccia grossa-scene e figure del banditismo sardo”, pubblicato l'anno successivo (1900) con l'eloquente pseudonimo di Miles (“il Soldato”), e destinato a suscitare, negli anni e decenni successivi, lodi entusiaste e feroci polemiche. Sono molte, infatti, le voci che dal mondo culturale italiano si levano a difesa o a condanna del libro-resoconto degli oltre quattro mesi di occupazione manu militari di una vasta parte dell'Isola-decretata dal Governo Pelloux in un momento di decisa deriva autoritaria del giovane Stato unitario-rastrellamenti, scontri a fuoco tra militi e banditi...
“...La quistione del contegno del Bechi nella repressione del cosidetto brigantaggio nuorese, con misure da stato d'assedio, illegali, e d'aver trattato la popolazione come negri, arrestando in massa vecchi e bambini, risulta dal tono del libro e dallo stesso titolo...”
Così l'Antonio Gramsci dei Quaderni, circa trent'anni dopo; il Gramsci si era già interessato all'opera, fustigandone forma e sostanza, sull'Avanti! nel 1920.
Ci siamo già occupati del Bechi su queste pagine, narrando le imprese (di penna e di moschetto) del Nostro, alle prese con “Lo spettro rosso” e con la repressione dei moti popolari nell'Italia del 1898; degno esponente, al tempo stesso, della borghesia italica e della casta militare sabauda, Egli ci comunica la propria visione razzista e classista del ruolo istituzionale che si prepara a svolgere, sin dalle battute del libro in cui annuncia la partenza per la Sardegna al proprio padre-il quale ha un altro rampollo in Cina, tra i ranghi della spedizione militare italiana, inviata a schiacciare la rivolta anticolonialista dei boxers :”...Se vale la pena, domando io, di aver due figliuoli, per vederseli sbalzare uno tra i Cinesi, l'altro tra i briganti...”
Gran parte del racconto si svolge nei paesi del Nuorese, segnatamente a Dorgali, dove il Tenente-scrittore risiede, e incontra, nella propria camera ammobigliata, al tavolo del caffè, per la strada principale, una piccola folla di personaggi improbabili, quanto “tipici” nelle intenzioni dello scrivente. Si va dai più umili ( il banditore, la lavandaia, il becchino...) e dalle loro processioni questuanti, al funzionario comunale pigro, alla guardia meridionale esperto nell'”arte di arrangiarsi”. Non mancano accenni alle difficili condizioni di vita quale causa della diffusione dell'”attitudine criminale”, né alla bellezza selvaggia ed esotica dell'Isola:
“Se riuscissi almeno a convincere quanti mi leggono, come Lei, Marchese, n'è già convinto, che senza traversar l'Oceano per colonizzare una fantastica Patagonia, abbiamo una Patagonia vera in casa nostra?”... Dalla prefazione alla I Edizione, dedicata “Al Marchese Giovanni Cassis, ex-prefetto di Sassari e Senatore del Regno”.
Altrove, nelle pause tra una “azione” e l'altra, esplicita il proprio fermo proposito di “liberare” le umili e laboriose genti barbaricine dal flagello rappresentato dagli onnipresenti ed invisibili banditi, salvo pronunciare, in altri passaggi, la propria indignata, biblica codanna, collettiva e senza distinzioni, per una popolazione che si ostina a sussurrare riferimenti ai latitanti e loro complici-o, nel linguaggio da caserma ottocentesco, manutengoli-, chiamandoli sos Zigantes, sa Reina, sos Senatores (I Giganti, la Regina, i Senatori).
Lo sguardo impietoso da colonialista dello scrittore entra nelle povere case, fruga tra sguardi, visi, oggetti, abitudini, alla continua ricerca di una conferma dei propri sospetti e pregiudizi, in maniera non molto dissimile da come il ruvido tatto degli uomini in uniforme dovette fare tante volte nel corso della storia dell'Italia moderna e contemporanea e del suo rapportarsi al popolo sardo:
“...Degli uomini vivono là dentro, mi guardano passare con aria stupita.Accovacciata per terra una vecchia mamma di venti anni, bella ancora negli occhioni neri, dolcissima ma scheletrita, seminuda in un lembo di camicia, stringe al petto avvizzito una specie di cadaverino lattante. Altre donne filano sulle porte:taluna esplora la selva di un capo posato sul suo grembo.E mi vien l'idea che quelle teste non abbian mai sentito il morso del pettine, che molti di quei visi non sentiranno mai la carezza dell'acqua dalla culla alla tomba”...
Ciò che più caratterizza il punto di vista del Bechi, in questo come in altri Romanzi Militari dovuti alla sua opera di scrittore e soldato che Egli, evidentemente, intende come vera e propria “missione civilizzatrice”-tra i “selvaggi di casa” in terra sarda come, altrove, tra gli operai tumultuanti di Firenze e Milano, o gli Eritrei, beneficiari recalcitranti della italica Civiltà- è la visione dell'Esercito e del suo ruolo “pacificatore” quale unico antidoto alla degenerazione, quanto dell'indole dei popoli -”barbarica” per definizione-tanto della compagine istituzionale;
“..Intanto arrivavano i dispacci da tutte le Stazioni del Nuorese:a Bitti 33, a Lula 27, a Dorgali 40;e sono sindaci, segretari, parroci, consiglieri, il fior fiore della camorra e del manutengolismo...quattrocentocinquanta!”...
La citazione di cui sopra è uno dei più inquietanti riferimenti all'operazione di polizia dal nome eloquente di “Notte di S.Bartolomeo”: l'arresto di massa di quasi mille “sospetti”, avvenuto nella notte tra il 14 e 15 maggio 1899. Narreranno le cronache, a contingente militare ormai reimbarcato per il Continente, di una cifra scesa a 600 trattenuti in arresto, di cui solo 323 non prosciolti in istruttoria ed incriminati: 145 banditi e 177 manutengoli; di questi, saranno assolti per insufficienza di prove, rispettivamente, 125 e 114...
La punizione collettiva non risparmia i beni materiali dei sospetti: “...Chi è ormai famoso per queste razzie è il brigadiere di Oliena. Si è rifatto dalla madre del latitante Pau.Va là col suo bravo bollo e:-Dimmi un pò, o che aspetta tuo figlio per costituirsi? -Mah, che ne so io? -Ah, si?Allora guarda. E tac, tac, si mette a bollare tutto ciò che gli capita sotto.Va all'ovile, fa una razzia di tutti i porci (…). Poi sgranando due occhiacci spiritati e levando il terribile arnese sul muso sbigottito della vecchia:-E se in settimana non mi fai costituire il tuo figliolo...quanto è vero Dio ti bollo anche te!”...
Le vicende più significative del romanzo si sviluppano, interrotte da divagazioni di macabro folclore e di dubbio gusto, nell'arco dei mesi che vanno dalla Notte di S.Bartolomeo di metà maggio, al sanguinoso e “decisivo” scontro a fuoco del 10 agosto, che vede l'annientamento della banda dei Serra Sanna. Restano sul terreno quattro dei cinque banditi, un fante ed un carabiniere.
L'impresa è presentata al lettore nei modi che giustificano la scelta del titolo dell'Opera;
“...(il Capitano): -Vuol venire con me a far due colpi? Siccome la caccia non è ancora aperta, ho pensato subito ad una Operazione; e, strizzando l'occhio:- Caccia grossa?-Pare. Ma, oh! Silenzio con tutti.”...
Nella sua conclusione, il dramma annunciato assume i toni del trionfo della giustizia sommaria:
“Pietade!-gridava lo sciagurato.-Non vedete che son morto! (...)Eccolo il Capaneo ribelle, implora, e già stringe la pistola dell'ultimo tradimento.-Crepa, cane arrabbiato! Un'altra scarica gli fa saltar via il cervello. Non è più che un mostro boccheggiante, un brindello sanguinolento, su cui continuano ad infuriare i colpi.”...
“...Ecco là nel letto secco di un torrentello l'Elias Serra Sanna, seduto a ridosso di un macigno, il capo reclinato sul petto, nell'atto di chi dorme.Dorme per sempre, il terribile bandito. Non par vero. Non solleverà più quel capo, non lampeggerà più con gli occhi.”...
Giulio Bechi sconterà la pubblicazione di Caccia grossa con due mesi di carcere militare, in seguito ad una condanna per diffamazione ed una sfida a duello; commenterà il Gramsci nel 1920, che Egli “...dichiara lo stato di assedio, cattura come ostaggi vecchi, donne, bambini e lattanti, e viene punito dalle autorità militari perché ha offesa la suscettibilità degli intellettuali sardi scrivendo cose perverse sul colore del cielo, sul paesaggio e sulla castità delle donne.”...
Terminati i mesi di “fortezza”, sarà sollevato da ogni ruolo operativo- avrà invece seguito la sua carriera letteraria- fino alla scelta di partire volontario durante le radiose giornate del 1915, destinato ad una morte sul fronte del Carso nel '17, ad una medaglia d'oro al V.M.
Ma tutto ciò ancora non riguarda il giovane tenente, il quale, al momento della conclusione del romanzo, ci illumina ancora una volta con la sua fede nel ruolo di Stato ed Esercito in terra sarda, in Italia, nel mondo:
“...Il brigantaggio nel Nuorese è domato: e nella fosca leggenda che scompare, carabiniere e soldato gettano ancora uno sprazzo di luce purissima, olocausto ad un'era nuova di civiltà e di pace.”...
La Storia di tutto un secolo si incaricherà di sottoporre le parole del nostro romanziere-soldato al vaglio della più severa critica.

Leonardo Donghi

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