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Dopo port said: rivoluzionari uniti contro regime

EGITTO. La cronaca della seconda giornata di scontri al Cairo dopo il massacro dei tifosi della squadra locale dell’Ahly a Port Said mercoledì scorso.

(4 Febbraio 2012)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in nena-news.globalist.it

Dopo port said: rivoluzionari uniti contro regime

foto: nena-news.globalist.it

ALESSANDRO ACCORSI

Il Cairo, 04 febbraio 2012, Nena News - Gia' nel pomeriggio di giovedi' si erano formati in Piazza Tahrir alcuni cortei, con gli ultras del Ahly e dello Zamalek che univano le loro bandiere e si apprestavano a marciare insieme. I tifosi di queste due squadre sono noti per aver supportato dal Gennaio scorso la rivoluzione e per aver difeso Tahrir dagli assalti di polizia e esercito. Abituati a confrontarsi con le forze dell’ordine, sono diventati le “teste di cuoio” della piazza. Il vero “braccio armato” degli attivisti e, quindi, difficili da fermare. Non importava a nessuno se gli incidenti di Port Said fossero stati causati da una fatale non curanza da parte delle forze dell’ordine o se fossero la conseguenza di una premeditata strategia della tensione.

Da Tahrir il corteo principale si è diretto verso Mansour Street, in direzione del Ministero degli Interni presidiato dalle forze dell’ordine in tenuta anti-sommossa. Dopo i primi leggeri tentativi di rimuovere il filo spinato, si è diviso nelle altre strade parallele per cercare di prendere d’assedio la polizia ed evitare una sanguinosa concentrazione a Mohamed Mahmoud Street come nello scorso Novembre.

La situazione rimaneva calma ma tesa fino a quando un gruppo di Ultras arrivati dalle retrovie si lanciava in colonna verso il blocco delle forze di sicurezza. Questi tifosi, ben più arrabbiati e intenzionati ad andare allo scontro, hanno tentato di sfondare in ogni strada che portava al Ministero, incontrando però gli inviti alla calma e i fischi degli altri manifestanti presenti. Ultras contro ultras in un fitto dialogo sulle modalità della protesta e sulla necessità di evitare il più a lungo possibile un’escalation pericolosa e che avrebbe favorito l’infiltrazione di altri gruppi rivali.

Il caos è scoppiato nel momento in cui alcuni manifestanti hanno preso d’assalto il muro di protezione costruito dalle forze dell’ordine in Mohamed Mahmoud. Da quel momento il cielo è stato oscurato dal lancio di lacrimogeni. Ai canti si sono sostituiti fino a notte inoltrata il rumore delle ambulanze e delle staffette in moto per portare fuori i feriti.

Ieri Piazza Tahrir e le zone circostanti erano notevolmente più piene e variegate nella composizione sociopolitica. Nelle prime linee rimanevano però loro, i ragazzi, i tifosi, gli attivisti. Pochi i Fratelli Musulmani, presenti soprattutto in piazza e impegnati in accese discussioni su opportunità e svantaggi di una nuova escalation della violenza.

Parecchi gli uomini che formavano catene umane all’imbocco di Mahmoud per impedire ai ragazzi di gettarsi nella mischia. Per impedire di versare altro sangue, dato che laggiù si sparava. Non solo lacrimogeni e proiettili di gomma, ma anche cartucce caricate a pallini da caccia.

Il vero confronto si giocava, però, su Mansour Street dove i manifestanti avevano costruito delle barricate, incendiate per deviare i fumi dei lacrimogeni. I giovani avanzavano lentamente, guadagnando un po’ di terreno fino a quando le forze di sicurezza non rispondevano con raffiche di lacrimogeni che lasciavano isolata la testa del corteo e costringevano gli altri a retrocedere.

Piazza Hurriya si trasformava in un grande ospedale da campo, con punti per il pronto soccorso improvvisati dove aiutare i numerosi feriti per intossicazione e fratture. Molti quelli travolti nel caos della ritirata.

Mentre giungevano i rinforzi, alcuni giovani tentavano di sfondare dalla vicina Fahly Street, dove l’aria era ancora respirabile. Gli scontri sono andati avanti così fino a sera, con lente avanzate e veloci ritirate non appena la polizia incrementava l’uso dei lacrimogeni o, sopraffatta nel numero, sparava pallini da caccia.

Tahrir, ancora strapiena, fungeva da bacino di raccolta, dove lanciare discussioni politiche, cercare ristoro o organizzare nuovi cortei. Nelle strade vicine al Ministero degli Interni, i ragazzi continuavano a gettarsi nel buio della mischia, noncuranti dei lacrimogeni, del conto dei feriti che aumentava e dei bossoli di proiettile mostrati da qualcuno.

Alcune persone più adulte s’infervoravano cercando di fermarli, tentando di spiegare loro che raggiungere il palazzo del Ministero era un gesto assurdo. Inutile, se non per far aumentare il numero delle vittime e la reazione delle forze dell’ordine. Vani, però, anche i tentativi di arginare i cortei verso le prime linee. Alla fine, molti di questi adulti erano trascinati nel buio della strada per una solidarietà generale che prevale sulla logica politica. Per quel sentimento che un manifestante ha chiamato “Tahrir Brotherhood”.

È questo il dato politico di cui tenere conto nei prossimi giorni. Come fermare gli ultras e i giovani intenzionati a continuare e come convincere gli altri a proseguire l’impegno nella lotta? Mentre Tahrir si pone questa domanda, gli scontri si allargano agli altri motori di questa rivoluzione incompiuta. Ad Alessandria sono incominciati i disordini, mentre a Suez testimoni riferiscono di un intervento dell’Esercito che avrebbe sostituito la polizia. Nena News

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