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Ventiquattro ore senza di noi

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(1 Marzo 2010) Enzo Apicella
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I migranti sikh della provincia di Latina. Una comunità NON di sole braccia

(21 Gennaio 2013)

sikhlatina

18 gennaio 2013

Sono circa 30 mila gli indiani di religione sikh presenti in provincia di Latina. Una comunità giunta nel territorio pontino intorno alla metà degli anni Ottanta, insediatasi soprattutto nelle città di Sabaudia, Latina, San Felice Circeo, Terracina e Fondi.

Originariamente erano solo uomini, riconoscibili per le lunghe barbe e i capelli raccolti sotto turbanti colorati. Oggi la comunità è crescita, gli uomini si sono fatti raggiungere dalle mogli, mentre le seconde generazioni di migranti sikh sono una realtà consolidata e innegabile.
La maggior parte di loro, oggi come trentanni fa, lavora in agricoltura come braccianti. Un lavoro faticoso che svolgono con abnegazione, nonostante i ripetuti episodi di violenza subiti.

I loro racconti lasciano tradire solo in pochi casi la realtà dei fatti. Spesso, per dignità, nascondono le violenze che subiscono, le ruberie di cui sono vittime, le discriminazioni continue, il caporalato pontino che li obbliga a subire gli ordini dei padroni italiani.


L'unico modo per accertare le loro reali condizioni di lavoro è di frequentarli quotidianamente, infiltrarsi nel sistema criminale di reclutamento e sfruttamento pontino sin dal mattino, quando all'alba, in bicicletta, si dirigono verso i campi agricoli, rischiando sistematicamente la vita. Le auto sfrecciano veloci, la luce non è ancora alta, il freddo fa sbattere i denti ed è difficile tenere la bicicletta in perfetto equilibrio sul bordo della strada, dove le piste ciclabili sono un vero miraggio.


Appena giunti sui campi, il datore di lavoro impartisce gli ordini e i sikh iniziano a lavorare. Raccolgono ortaggi, incassettano, usano prodotti chimici che irrorano senza le opportune protezioni anche in serra, dove per il caldo si respira con grande fatica. Non possono sbagliare. Se non eseguono un ordine, magari perché non capiscono perfettamente la lingua, un misto confuso di italiano e veneto o napoletano, allora vengono aggrediti pubblicamente. Il datore di lavoro si fa chiamare con orgoglio padrone e mentre impartisce gli ordini al sikh, lo obbliga a fare due passi indietro e a guardare in terra.

Molti braccianti lavorano senza un regolare contratto e vedono il salario mensile decurtato sistematicamente dell'ultima settimana di lavoro, senza alcuna spiegazione. Dovrebbero essere pagati 8 euro l'ora ma ne ricevono solo 3 per anche 15 ore di lavoro quotidiano. Alcuni migranti sono stati pagati 0.50 centesimi l'ora. Se per malattia saltano una giornata di lavoro, perdono la retribuzione della settimana, se non anche il posto. Vale a poco ricordare al padrone che si ha famiglia in India, che i figli chiedono soldi per andare a scuola e che il padrone di casa in Italia vuole il pagamento dell'affitto senza ritardi. È il padrone che comanda ed è lui che fa le regole.


I controlli sono rarissimi. Tutto sembra accondiscendere a questo sistema di sfruttamento sistematico. Anche quando si verificano fatti particolarmente gravi, nulla cambia. Un ragazzo sikh che aveva trovato riparo in una panchina della stazione ferroviaria di Anzio, è stato svegliato da alcuni ragazzi italiani che dopo averlo picchiato, hanno versato su di lui della benzina e gli hanno dato fuoco, riportando ustioni sul corpo e il ricovero in ospedale. Lo stesso è accaduto ad un giovane bracciante indiano che di ritorno da una faticosa giornata nei campi agricoli, da San Felice Circeo verso Sabaudia, in sella alla sua bicicletta, è stato avvicinato da un'auto che gli ha gettato addosso una tanica di benzina con il chiaro intento, anche in questo caso, di dargli fuoco. Per sua fortuna è scampato al pericolo riportando solo lievi ustioni agli occhi.


Di approfittatori ce ne sono in abbondanza e tutti vigliaccamente trovano nei braccianti sikh l'occasione propizia per fare affari. Un ragazzo indiano, bracciante anch'egli, non sapendo a chi rivolgersi per rinnovare la sua carta di identità, ha pensato di chiedere aiuto all'unica persona con la quale aveva un rapporto diretto, il suo padrone, il quale gli ha chiesto per il servizio ben 800 euro. Si tratta dell'intero stipendio mensile del giovane bracciante. L'affare si è concluso. Il padrone ha ricevuto gli 800 euro ma della carta di identità neanche l'ombra.

Un altro giovane migrante, per aver chiesto al padrone il pagamento del salario dopo un ritardo nel pagamento di circa sei mesi, è stato selvaggiamente picchiato e abbandonato per strada. Molti migranti lavorano senza contratto e ricevono quindi il magro stipendio in contanti. Il lavoratore sikh diventa, con i soldi in tasca, un'ambita vittima per alcune bande di giovani delinquenti italiani che attendono sul ciglio della strada il malcapitato passare in bicicletta. Con una spinta e qualche ceffone si impadroniscono del salario mentre al lavoratore non resta che tornare in sella e dirigersi verso casa, con le tasche vuote e tanta rabbia nel cuore.


La realtà è dunque drammatica. Possiamo raccogliere le loro storie, anche quelle di riscatto che pure lentamente si stanno facendo spazio, e raccontarle mentre alla politica e alle forze dell'ordine spetterebbe il compito di intervenire per risolvere il problema. In questa provincia, però, è meglio guardare altrove e continuare a raccontare la favola del Duce che ha regalato la terra e vinto la malaria e dell'assenza delle mafie. Della redenta terra pontina non resta davvero che solo una diffusa e sterile retorica ideologica.

Marco Omizzolo, Zeroviolenzadonne

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