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L'Italia tripudia la guerra

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Il movimento per la pace ed il dramma delle due simone

(26 Settembre 2004)

La situazione irachena ha raggiunto in questi giorni i massimi livelli dell’odio e dell’orrore divenendo un focolaio di estremo pericolo per le sorti dell’intera umanità. Ma non sembra che i signori della guerra e del terrorismo se ne rendano conto, gli uni e gli altri pervasi e sospinti verso disastrose derive dalla folle ricerca di impossibili vittorie. Il dramma delle due Simone, che si consuma in questo quadro di disumane violenze, dovrebbe essere vissuto, anche da noi italiani che ne siamo particolarmente colpiti, con la consapevolezza che esso fa parte di una immane tragedia, di un disastro che si allarga giorno dopo giorno e di un dolore diffuso che si sta trasformando in una vera e propria sofferenza universale. Con una consapevolezza quindi che ci dovrebbe spingere a fare unità per chiedere con più forza la fine dei bombardamenti e degli atti terroristici, il ritiro delle truppe di occupazione, il rispetto dei diritti umani, la liberazione dei sequestrati e l’avvio di un autonomo cammino di pacificazione e di ricostruzione da parte del popolo iracheno favorito dalle Nazioni Unite e senza interferenze delle forze occupanti.

Così però non è per consistenti settori del mondo politico e molti commentatori. La dolorosa vicenda delle due volontarie italiane sta infatti fornendo ai sostenitori della guerra preventiva l’occasione per mettere una pietra sulle responsabilità di chi ha voluto l’insensato intervento armato i cui effetti di allargamento e di potenziamento del terrorismo sono sotto gli occhi di tutti. Ma c’è di più e cioè che disinvoltamente si continuano ad accantonare le voci di dissenso ed anche le dure (pur se tardive) parole del segretario generale dell’Onu Kofi Annan sulla illegalità della guerra irachena perché si vuole perseverare nell’errore rievocando lo scontro di civiltà, disconoscendo che la guerra ed il terrorismo sono le tragiche facce di una stessa medaglia, cercando di far passare le ragioni della guerra attraverso pretese unità nazionali per la lotta contro il terrorismo e riducendo il disastro iracheno ad una questione militare fino alla richiesta, da taluno disinvoltamente avanzata, di portare da trecentomila ad almeno un milione di uomini la forza dei contingenti di occupazione per stroncare (con un genocidio?) la ribellione locale. Un escalation di follia che non sembra davvero avere fine.

C’è però una speranza ed è quella che il mondo non è solo nelle mani dei guerrafondai e dei terroristi perché ci sono crescenti moltitudini di uomini e donne che «ripudiano» la guerra, che rifiutano la violenza comunque etichettata, che guardano al diritto come ad una irrinunciabile conquista che ha illuminato il cammino della civiltà dal codice di Hammurabi di 3.000 anni fa (citato da Kofi Annan) fino alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e alle più avanzate costituzioni moderne. Donne e uomini che rilanciano il principio del diritto all’autodeterminazione dei popoli e sono convinti che la democrazia si costruisce con la giustizia e la si esporta non con le bombe per impossessarsi del petrolio ma col confronto e nel rispetto delle diverse culture per stabilire rapporti di solidarietà e di collaborazione.

C’è allora una sola via che può dare speranza e futuro all’umanità ed è quella indicata dal movimento per la pace e da tutte le forze che in esso si riconoscono. Il mondo non ha bisogno di coloro che lo vogliono dominare col neo-colonialismo economico, con la globalizzazione del profitto, con le guerre preventive, i protettorati camuffati ed i governi fantoccio. Così come non ha bisogno degli strateghi del terrore che aggiungono ingiustizia ad ingiustizia ed orrore ad orrore finendo così per fare il gioco dei loro pretesi nemici. Gli uni e gli altri si somigliano perché disattendono i dettami della ragione, feriscono i più elementari sentimenti di umanità, distruggono la politica, calpestano il diritto, globalizzano la barbarie. E si somigliano anche perché né gli uni né gli altri mettono in discussione l’attuale assetto dell’economia mondiale nel quale ci guazzano, un modello che sta facendo crescere la ricchezza dei ricchi e la povertà dei poveri, sempre più destinati questi ultimi a dilatare l’aria dell’emarginazione sociale e ad infoltire, gli uni contro gli altri armati, gli eserciti di guerra e le formazioni terroristiche.

Sono queste le ragioni per le quali i pacifisti - ne prenda nota l’on.le Fini - non si lavano le mani alla Pilato ma lottano con rinnovata energia contro la guerra e contro il terrorismo, due nemici della civiltà che si alimentano a vicenda, che puntano tutte le loro carte sulla violenza e che hanno interesse a lasciare il mondo così com’è perché sanno bene che un «altro mondo possibile» segnerebbe la fine dei loro nefasti poteri. Ecco perché gli uomini di pace, i pacifisti o comunque li si voglia chiamare sono oggi ovunque nel mirino di guerrafondai e di terroristi, con attacchi certo di gravità diversa e rapportati ai diversi contesti sociali e politici e alle diverse situazioni ambientali.

Brindisi, 25 settembre 2004

Michele DI SCHIENA

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