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Morti bianche

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(1 Settembre 2011) Enzo Apicella

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    (L'unico straniero è il capitalismo)

    Lettera aperta al Presidente della Camera dei Deputati,
    on. Laura Boldrini

    (30 Aprile 2013)

    On. Presidente della Camera dei Deputati,
    ci rivolgiamo a Lei che ha sempre avuto un percorso di vita e d’impegno sociale a favore degli “ultimi”, iniziato anni fa, in Venezuela, accanto ai “campesinos”, lavorando in un’azienda di produzione di riso, poi, negli anni più recenti come portavoce dell’Unhcr, con i migranti, i rifugiati e i richiedenti asilo, di cui Lei ha sempre denunciato lo stato di sofferenza umana in Italia e in molte periferie del mondo.
    Le sue parole, al riguardo, hanno ricevuto un applauso corale di tanti deputati durante il suo discorso d’insediamento alla Camera.
    Siamo certi che quel suo intervento, che ha suscitato una grande emozione nel Paese, non ha voluto essere un esercizio di pura retorica, ma voleva essere il segno di una sua particolare attenzione sia al problema generale che a casi specifici di acclamate prevaricazioni nel lavoro e nella vita dei migranti.

    Ci permettiamo di segnalarLe un grave caso di sfruttamento di braccianti accaduto a Castelnuovo Scrivia, in Bassa Valle Scrivia, provincia di Alessandria, proprio sul confine con la Lombardia, in quel profondo “Nord” d’Italia che si riteneva immune da certe situazioni.
    La campagna della Bassa Valle Scrivia è molto fertile, coltivata in gran parte ad ortaggi, rifornisce i mercati di Torino e Milano, oltre ad importanti aziende della grande distribuzione commerciale.
    Gli agricoltori della zona, da anni, affidano l’attività di raccolta ortaggi a lavoratori stagionali, provenienti soprattutto dal Marocco e dall’Africa subsahariana.

    Verso la fine del giugno scorso, quaranta braccianti marocchini – trenta uomini e dieci donne – impiegati presso l’azienda agricola “Bruno e Mauro Lazzaro” di Castelnuovo Scrivia, hanno detto “basta!” alle condizioni in cui venivano costretti a lavorare: hanno proclamato lo sciopero ed hanno iniziato a presidiare i campi in cui lavoravano.

    Le condizioni di vita e di lavoro di queste persone erano tra le più disumane, una sorta di schiavismo senza catene. Orari di lavoro impossibili: si iniziava alle 6.30 del mattino, si faceva una pausa di mezz’ora alle 14.30 e, poi, si tornava a raccogliere verdure, sotto il sole cocente, fino al tramonto, per sette giorni alla settimana, sabati e domeniche compresi.
    Erano spesso costretti a dissetarsi bevendo l’acqua dei canali d’irrigazione, acqua che arrivava direttamente dal torrente Scrivia!
    Alcune donne erano alloggiate nell’azienda agricola in condizioni spaventose, dormivano in quattro, una sopra l’altra, tra rifiuti ed attrezzi di lavoro.
    Tutto questo per un salario che è eufemistico definire “da fame”: prima prendevano 5 euro all’ora, poi 4, poi solo sporadici acconti, infine più nulla. Da ciò, dovevano detrarre anche le spese per il materiale che usavano per lavorare, come, ad esempio, i guanti, gli stivali, il vestiario..
    Dieci di questi migranti erano irregolari e senza permesso di soggiorno; gli altri, al momento del rinnovo del permesso, erano costretti a versare direttamente al padrone fino a 2.500 – 3.000 euro!
    Il tutto sottolineato con una vena di razzismo, in puro stile ottocentesco.
    Infatti, nessuna di queste persone veniva chiamata con il proprio nome, ma solo con sprezzanti soprannomi: Hamid era Grosso; un altro Hamid era Occhi di Gatto; Mohammed era Saddam Hussein; Hamed veniva chiamato Magro; Mustafà, Serpente; Kassem, Cassetta; poi c’era Arbi che era Vigo, il nome del cane del padrone.

    Sei, otto, dieci anni di superfruttamento, di lavoro degradante, senza che nessuna autorità preposta o istituzione si accorgesse di loro. Invisibili.
    Venerdì 22 giugno dello scorso anno, questi braccianti senza paga, per la prima volta, si ribellano e decidono lo sciopero.
    Lungo i bordi della strada statale, davanti all’azienda agricola, allestiscono un presidio di tende e frasche che durerà per tutto il periodo estivo – 74 giorni – istituiscono una Cassa di resistenza per continuare la lotta, chiedono aiuto al sindacato, alle associazioni, ai partiti, alle cooperative sociali.
    Serve tutto: cibo, vestiario, aiuti.

    Seguono giorni di forte tensione tra picchetti degli scioperanti, interventi dei carabinieri della zona, denunce.

    L’azienda fa arrivare, da Brescia, una cooperativa di raccoglitori indiani – la Work Service – per sostituire i braccianti marocchini. E alla data del 31 luglio, i primi quattordici lavoratori marocchini vengono licenziati. Licenziamento verbale. Motivazione ufficiale: scadenza del contratto. Ma il contratto non esiste: quello prodotto dal padrone all’Ispettorato del Lavoro reca firme false, come pure le buste paga dell’anno in corso.

    A metà agosto, compare un cartello incollato con nastro adesivo ad un palo della luce, sulla strada, davanti al luogo in cui i lavoratori avevano allestito il presidio: “Dal 17 agosto, i marocchini dipendenti dell’azienda agricola Lazzaro Bruno e Lazzaro Mauro cessano l’attività presso la suddetta azienda e non lavorano più”.
    Tutti licenziati, con un tocco di discriminazione razziale!

    Oggi, a circa dieci mesi dall’inizio della lotta dei braccianti della “Lazzaro”, la vicenda rimane aperta e, per alcuni aspetti, si è pure aggravata.

    La soluzione trovata allora - ricollocazione di alcuni lavoratori sull’intero territorio provinciale, attraverso borse lavoro della durata di tre mesi, per venti ore settimanali, a 530 euro mensili, interamente pagati dalla Provincia di Alessandria, ma senza alcuna garanzia di continuità occupazionale da parte delle aziende che avevano usufruito di tale beneficio - non ha dato i frutti sperati: al termine del periodo dei tre mesi, sono rimasti tutti a casa!
    Ad oggi, solo tre su quaranta lavorano ancora presso una cooperativa di logistica di Rivalta Scrivia. E questo, mentre Work Service di Brescia, continua “tranquillamente” a far lavorare i suoi lavoranti indiani, presunti cottimisti, nei campi dei “Lazzaro”.

    Il sindacato ha impugnato i licenziamenti verbali ed avviato le vertenze per il recupero dei salari arretrati. I lavoratori aspettano che vengano fissate le udienze, sapendo che – dal 22 giugno, giorno di inizio della protesta – gli stessi non hanno più percepito salari arretrati, se non due irrisorie una tantum di 250 euro medie cadauno.
    Ancora oggi, a loro serve tutto, dal cibo a vari aiuti.
    Tutte cose che, nei limiti del possibile, noi del Presidio permanente abbiamo fornito loro, con l’aiuto dei Comuni, della Croce Rossa, della Caritas, dei singoli cittadini solidali.

    Oggi, nonostante le vertenze aperte contro i licenziamenti, i salari non corrisposti e i diritti calpestati, i braccianti della “Lazzaro” rischiano di trovarsi difronte agli sfratti esecutivi e al “taglio” delle utenze, loro che, per ironia della sorte, avevano denunciato il padrone per grave sfruttamento e riduzione in schiavitù!

    L’unico dato positivo finora emerso è costituito dal fatto che per i lavoratori irregolari e privi di permesso di soggiorno dell’azienda “Lazzaro” è stato riconosciuto, dalla Procura della Repubblica di Torino, il nulla osta per un permesso di soggiorno umanitario e che è tuttora in corso un’indagine condotta dal giudice, Raffaele Guariniello, per gravi reati connessi alla violazione delle leggi sull’immigrazione, all’intermediazione di manodopera, alla riduzione in schiavitù.

    Il velo di silenzio calato su questa vicenda, dopo l’eco nazionale avuto l’estate scorsa, è grave e non aiuta nessuno.
    Abbiamo bisogno che ci sia un intervento coordinato di istituzioni, sindacati, associazioni imprenditoriali, enti locali interessati, associazioni di solidarietà che affrontino il problema per risolverlo, in una zona che ha sempre utilizzato lavoratori stranieri nelle campagne, mutuando in tal modo esperienze che altrove sono già fatti consolidati.
    Se così non sarà, prima o poi, scoppierà un'altra vergogna simile a questa.
    Già se ne sono viste le avvisaglie.

    Alcune settimane fa, sono comparsi sui giornali della zona, articoli che parlavano di un intervento della Guardia di Finanza di Tortona, unitamente alla Direzione provinciale del Lavoro, nei confronti di un’azienda agricola della zona, dove metà dei lavoratori – 15 su 30 – erano irregolari.
    Questi lavoratori erano adibiti alla lavorazione e al confezionamento degli ortaggi, probabilmente per aziende della grande distribuzione.
    Ovviamente, l’azienda in questione ha immediatamente regolarizzato i lavoratori – così come precedentemente avevano fatto i “Lazzaro” - ed ha evitato la chiusura dell’attività lavorativa: un’interpretazione molto “sui generis” della legge!

    Continue segnalazioni e denunce in questo senso arrivano puntualmente al nostro Sportello legale attivo a Castelnuovo Scrivia, segnalazioni e denunce che parlano di una situazione di estrema gravità in tutta la plaga della Bassa Valle Scrivia.

    Abbiamo chiesto, come Presidio permanente, un incontro, in data 21 gennaio, con la Prefettura di Alessandria, che ci ha risposto qualche giorno dopo, con una lettera, in cui si dice che “la situazione costituisce oggetto di costante attenzione e monitoraggio da parte di quest’Ufficio attraverso il coinvolgimento degli Enti e dei soggetti istituzionali preposti all’analisi e al superamento delle situazioni di criticità che si presentano sul territorio”.
    Nessun incontro e, dopo di allora, più nulla.

    Abbiamo interessato i sindaci e gli amministratori dei Comuni della Bassa Valle Scrivia, che, dopo aver effettuato un incontro con noi e con una rappresentanza di lavoratori, hanno inviato una lettera alla Prefettura di Alessandria, datata 14 febbraio, chieden-do la convocazione di “un tavolo di lavoro con le associazioni agricole per verificare un’eventuale ricollocazione degli stessi presso aziende che potrebbero usufruire, così, di personale in possesso di adeguata specializzazione”.

    A tutt’oggi, non ci risulta che siano stati coinvolti i sindaci della zona in un incontro, né tantomeno, sia stato istituito un tavolo di lavoro con le caratteristiche richieste.

    Per concludere, Le chiediamo che voglia informarsi sul caso specifico, per confortarci con un suo intervento ispirato a giustizia, ripristino della dignità di questi lavoratori migranti, riconoscimento dei loro diritti.

    La invitiamo, qualora i suoi impegni lo permettessero, a venire a conoscere direttamente questa situazione e a parlare con i lavoratori coinvolti in questa vicenda.

    In attesa, ringraziamo.

    Presidio permanente cittadini solidali della Bassa Valle Scrivia e lavoratori migranti dell’azienda “Bruno e Mauro Lazzaro”

    Fonte

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