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(5 Ottobre 2013)

È morto a 102 anni il generale Giap, personificazione della lotta contro l'imperialismo. Con Ho Chi Minh sconfisse Giappone, Francia e Stati Uniti, con una strategia militare e rivoluzionaria che coinvolgeva l'intero popolo vietnamita

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«Non siamo mai stati pessimisti. Mai. Mai». Parole di Vo Nguyen Giap, il Generale Giap, eroe nazionale vietnamita, comandante autodidatta che seppe sconfiggere giapponesi, francesi e americani. In una vita sola, terminata venerdì all'età di 102 anni, secondo Associated Press che ieri ha diffuso la notizia della sua morte in un ospedale di Hanoi, dove era ricoverato per una malattia. Definito il «Napoleone rosso» per le sua abilità strategico- militari, in realtà Giap tra i personaggi storici francesi, ammise sempre di preferire la contrastata figura di Robespierre, perché «lottò fino all'ultimo per il suo popolo».

Giap ha legato il proprio nome, sapendo fare breccia nell'immaginario occidentale degli anni Sessanta, alla battaglia di Dien Bien Phu nel 1954 con cui il Vietnam sconfisse la Francia, dando un colpo definitivo al colonialismo di Parigi in Indocina e per l'offensiva del Tet nel 1967, battaglia decisiva nella lotta di liberazione vietnamita contro gli Stati Uniti. Giap è la storia passata del Vietnam, da sempre terra di conquista, orgoglioso della propria identità e oggi alle prese con il travaglio neoliberista. Una nazione capace di sconfiggere avversari sempre più equipaggiati e potenti, attraverso la costanza, l'orgoglio e le tante vite umane pronte a sacrificarsi, in grado di assurgere al ruolo di simbolo della lotta all'Imperialismo. Giap ne divenne la leggendaria personificazione.

Quello vietnamita fu un nazionalismo ribelle, all'interno del quale Giap nacque e venne cresciuto. Nato nel 1911 nel villaggio di Anxa, zona di risaie e giungle, vicino a quella che quarant'anni dopo sarebbe diventata la linea di divisione tra di due Vietnam, già a 13 anni nella vecchia capitale imperiale di Hue, Giap comincia a ragionare in termini politici. Come raccontò in un'intervista a Stanley Karnow (autore di Vietnam, a history ) lì apprende la storia del suo paese e la volontà di «cancellarne le umiliazioni». Un maestro vietnamita gli consiglia le opere di Marx, che Giap legge consumandosi gli occhi. Ho Chi Minh nel 1930 fonda il Partito Comunista Indocinese.

Giap aderisce al Partito e diventa un agitatore, arrestato e condannato a tre anni di prigione, viene rilasciato. Si trasferisce ad Hanoi, prende un diploma e infine una laurea in giurisprudenza e comincia a insegnare tramite lezioni private («insegnavo il patriottismo», racconterà). Ho Chi Minh e Giap - espulsi dal paese - si incontrano nel 1940 a Kunming, Yunnan, Cina: Ho chiede a Giap di recarsi nei campi di guerriglia comunista cinesi e di allestire una forza rivoluzionaria, ma il deteriorarsi della situazione a causa della sconfitta francese contro la Germania, cambia i piani anche in Vietnam. Tornano in patria, presso Pac Bo, dove fondano la Lega Indipendente del Vietnam, meglio conosciuta come Vietminh. Giap comincia la sua carriera militare - «sebbene fino ad allora mi fossi occupato d'altro» - dimostrando un talento innato, geniale, per la tattica di guerra: i primi a cadere furono i giapponesi. Nel 1945 viene dichiarata l'indipendenza del Vietnam, con Giap nominato Generale (e ministro dell'Interno).

Poi tocca alla Francia, tornata a controllare il paese: nel 1953 Ho Chi Minh tenta l'avvio di un tavolo di trattative con i francesi, ma ha bisogno di una vittoria sul campo. Giap gli regala quella più importante a Dien Bien Phu, la battaglia finale per definizione, che pone fine alla presenza francese nell'allora Indocina. Secondo molti analisti militari il merito principale di Giap fu di scegliere una zona nella quale l'atroce sconfitta dei francesi ebbe un effetto propagandistico dirompente. Si dirà di Giap stratega di guerriglia, ma quella di Dien Bien Phu, così come poi la resistenza contro gli americani che contribuì ancora di più al mito Giap, fu una guerra di popolo. Un generale americano nel libro di Karnow ricordava infatti la forza vietnamita: «più ne ammazzavamo, più ne spuntavano fuori». E del resto, come affermato dallo stesso Giap, i vietnamiti anche contro gli americani, alla loro prima clamorosa sconfitta militare in seguito all'offensiva del Tet, non sapevano quanto sarebbe durata la guerra, ma erano disposti ad andare avanti «anche per vent'anni se ce ne fosse stato bisogno».

Alla morte di Ho Chi Minh nel 1969 rifiutò la carica di Presidente, contribuì alla caduta del regime di Pol Pot in Cambogia e nel 1980 si ritirò a vita privata. Giap è morto in un Vietnam molto diverso da quello che lo ha visto diventare un eroe nazionale. Hanoi, con i suoi 4 milioni di motorini con il clacson sempre in funzione, e Ho Chi Min City (Saigon) sono due città, pur nella loro diversità, ormai moderne e affacciate sul mercato globale. Non sono pochi quelli che considerano il Vietnam una nuova e piccola Cina pronta a sfruttare la propria manodopera e una popolazione straordinariamente giovane (il 65% ha meno di 34 anni), per diventare una nuova zona di produzione a basso costo. Un Vietnam per altro che rimane forte nelle sue rivendicazioni territoriali, come dimostrano le contese territoriali proprio con Pechino, per le isole del mare cinese del sud (e proprio contro il governo e la Cina ha combattuto Giap, che ha condannato le concessioni vietnamite a Pechino per l'estrazione di bauxite, appoggiando le lotte ambientaliste).

Una «piccola Cina» anche politicamente, dato che il Partito Comunista locale controlla l'economia e la politica, con recenti strette anche sull'internet, come testimoniato dal Decreto 72, creato per difendere la proprietà intellettuale, ma visto da tutto il mondo dell'attivismo digitale come un potenziale strumento repressivo contro la libertà di espressione. Il Vietnam dal 2007 è all'interno del WTO, il BusinessWeek l'ha definito una «futura tigre», con una crescita che ha toccato anche il 7% e che potrebbe raggiungere il 10 entro il 2025. Un paese dalle contraddizioni evidenti: mancano infrastrutture, esiste una corruzione dilagante e come in altri paesi asiatici gli investimenti finiscono spesso in bolle speculative e le imprese statali accumulano debiti rischiando fallimenti clamorosi.

Simone Pieranni, il manifesto

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