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(8 Giugno 2010) Enzo Apicella
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    SCRITTI SULLA QUESTIONE NAZIONALE
    E COLONIALE

    (raccolta di articoli tratti da
    "il programma comunista)

    (8 Ottobre 2013)

    UN’IMPORTANTE INIZIATIVA EDITORIALE
    DEL NUCLEO COMUNISTA INTERNAZIONALISTA

    scrittisulla

    Il nostro piccolo Nucleo ha dato alle stampe un... mastodontico volume intitolato Scritti sulla questione nazionale e coloniale nel secondo dopoguerra in cui si raccoglie una massa di scritti apparsi, nel corso di lunghi anni, sul Programma Comunista ad opera dell’allora Partito Comunista Internazionalista (poi Internazionale) sotto l’impulso di Amadeo Bordiga, per il quale questa questione costituiva un anello essenziale della prospettiva comunista internazionale.
    Nelle quasi 600 pagine in grande formato di questo volume sono raccolti ben 146 testi divisi per sezioni e con un indice cronologico a conclusione che danno la misura dell’impegno dei compagni della Sinistra “italiana” sul tema e la sua stretta aderenza ad un quadro teorico-programmatico ben preciso, in netta opposizione ad ogni “indifferentismo” in materia così come ad ogni forma di esaltazione romantica sui fatti in oggetto secondo la moda “terzomondista” (oggi di ritorno in vesti peggiorate, se possibile) tipica di certi ambienti “rivoluzionari” che badano al “concreto”.
    A semplice presentazione del volume riportiamo qui di seguito un breve testo di richiamo al problema pubblicato sul n° 6 del Che Fare, giornale dell’OCI, del giugno-agosto 1986.
    Il volume può esserci richiesto direttamente al sito dietro versamento anticipato sul nostro conto corrente di 25 euro (cifra considerevole, lo sappiamo, ma che non copre neppure le spese editoriali sostenute).

    La liberazione dei popoli oppressi
    Uno dei temi meno “popolari” nel movimento operaio ufficiale delle metropoli imperialiste è certamente quello delle lotte antimperialiste di liberazione nazionale. Ed è spiegabilissimo: come si potrebbe impostare il tema di una effettiva solidarietà con le lotte dei popoli oppressi dal proprio capitalismo senza rimettere in causa la propria stessa collocazione all’interno di esso?
    Alla soluzione unitaria in senso controrivoluzionario proposta dal “riformismo” imperialista i marxisti oppongono una controproposta egualmente unitaria: il problema è per essi uno, quello della rivoluzione comunista internazionale, cui vanno riconquistati entrambi i fili della matassa, ovvero le lotte del proletariato delle metropoli e quelle dei popoli schiacciati dall’imperialismo.
    Per questo il movimento comunista rivoluzionario ha da sempre seguito con attiva partecipazione l’“incandescente risveglio delle genti di colore”, assunto come anello dell’unita-ria catena della lotta per il socialismo internazionale. Su questa linea Lenin ha analizzato le “sostanze infiammabili” del risveglio rivoluzionario nazional-borghese, vedendone il dialettico collegamento con il 1905 russo e il futuro... 1917, russo e mondiale. Su questa linea sta la classica sistemazione della questione nazional-coloniale nell’ambito della strategia comunista internazionale delle Tesi del 2° Congresso dell’IC (1920) e del congresso dei Popoli d’Oriente tenutosi, sempre nello stesso anno, a Bakù.
    Con il trionfo dello stalinismo nell’IC questa linea s’inverte completamente: in nome del “socialismo in un solo paese”, il proletariato russo è sottomesso alle esigenze della costruzione di un moderno impianto capitalista in Urss; il proletariato d’Occidente è chiamato a fare da supporto alle esigenze dello Stato “socialista”, rinvigorendo la socialdemocrazia socialsciovinista precedentemente aggredita come forza di conservazione capitalista all’interno della classe operaia; le classi lavoratrici dell’area delle lotte “nazional-rivoluzionarie” sono consegnate, in nome delle stesse esigenze, alla direzione imbelle delle borghesie nazionali antiproletarie sino al massacro dei comunisti in Cina da parte dell’“alleato progressista” Kuomintang nel ’27, cui farà da riscontro il macello di proletari nella guerra di Spagna e nella seconda guerra mondiale imperialista. Dovunque il sangue delle classi oppresse corre a fiumi a favore della conservazione capitalista sotto la bandiera dell’interclassismo fronte-popolarista qui, del “blocco delle quattro classi antimperialiste”...
    Chi, come il Trotzkij del ’27 cinese, si attestò nella difesa dei punti fissati dall’IC a proposito della questione nazionale e coloniale non difese un punto del programma comunista, ma la sua integralità, conducendo una classica battaglia a tutto campo, come mai ci stancheremo di sottolineare.
    Questo diciamo in piena tranquillità, anche se sulla scrittura di questo o quel paragrafo, di questa o quella ipotesi tattico-strategica, di questa o quell’analisi possiamo, a posteriori, non trovarci pienamente concordi, perché i classici del marxismo non si fucinano in biblioteca né si giudicano dall’accessorio di astratte linearità formali, ma dall’essenziale dell’ade-renza ad un campo di battaglia che, se e solo se strettamente mantenuta, può permettere “migliori definizioni” e più accurate analisi ulteriori.
    Sul campo di battaglia, e per esso!
    Nel secondo dopoguerra, caratterizzato dall’ulteriore approfondirsi della controrivolu-zione, il “testimone” è stato preso in mano da Amadeo Bordiga, cui dobbiamo non una semplice “ribattitura di chiodi”, ma la dialettica prosecuzione di tutto lo sforzo teorico e militante del movimento comunista precedente.
    La battaglia di Amadeo comincia con la dimostrazione nel vivo che, ad onta del trionfo controrivoluzionario, la rivoluzione non è morta. Soffocata nelle metropoli imperialiste, essa torna a premere testardamente dalla periferia dell’area storico-politica dei popoli coloniali o semicoloniali, dominati e controllati dall’imperialismo. Anche in assenza delle condizioni soggettive di giuntura tra metropoli e periferia che si erano affacciate nel primo dopoguerra, questa spinta va nella tendenza ineliminabile del futuro, decisivo scontro di classe tra borghesia e proletariato internazionale. In primo luogo perché essa fa entrare nel circolo vitale della lotta di classe masse sterminate di oppressi sin qui condannate al letargo. In secondo luogo perché l’attuazione dei compiti oggettivi inerenti a questa lotta si scontra acutamente con la stabilizzazione borghese, nell’area direttamente interessata ad essa come nel cuore metropolitano contro cui essa necessariamente si dirige. In terzo luogo perché, in corrispondenza a ciò, la lotta dei “colorati” è destinata a reimportare l’antagonismo di classe nel suo centro decisivo, nelle metropoli imperialiste. La rivoluzione è in atto ed è la nostra rivoluzione: questo il messaggio che Amadeo lancia alle sparute schiere di militanti rimasti sulla breccia, controcorrente; e non è un messaggio consolatorio, ma la lettura puntuale di un corso storico determinato cui devono ancorarsi ferreamente i marxisti, per le battaglie presenti e quelle future. Non c’è numero quasi del giornale di Amadeo di allora, “Battaglia Comunista” prima (sino al ’52) e “Programma Comunista” poi, che non segua questo cammino con la “divorante passione” del militante che non ha bisogno di “immaginarsi” la rivoluzione a venire, perché la rivoluzione vive ed opera con metodo.
    Ed è una battaglia che deve indirizzarsi contro un’insidia interna allo stesso campo “rivoluzionario” metropolitano nella misura in cui esso risponde all’insorgenza dei “colorati” con l’indifferentismo.
    C’è chi dice, credendo di porsi all’altezza massima della purezza rivoluzionaria: le lotte di liberazione nazionale rientrano nel quadro della strategia mondiale dell’imperialismo, per cui parlare di appoggio ad esse significa ricadere di fatto nell’appoggio all’imperialismo o russo o americano.
    La replica di Amadeo è bruciante: forse che milioni di uomini che si mettono in movimento (e che movimento, perdio!) lo fanno ubbidendo ai giochi prefissati dall’impe-rialismo mondiale?, o non lo fanno invece spinti irresistibilmente dall’insieme delle con-traddizioni economico-sociali e politiche suscitate sul loro stesso suolo dalla penetrazione imperialista? L’“indifferentista”, sottolinea Amadeo, “si preoccupa innanzitutto di togliere di mezzo, nell’interpretazione delle cause della rivolta anticoloniale, il proletariato occidentale e le masse lavoratrici dei paesi arretrati”, cancellando, come per incanto, la lotta di classe cui si riconnettono e i movimenti dell’imperialismo e quelli delle classi ad esso antagoniste nelle metropoli come nella periferia.
    Il problema che sfugge agli indifferentisti è “come l’imperialismo si introduce nella compagine del paese arretrato, come reagisce alle condizioni economiche e sociali che vi trova, con quali classi solidarizza e con quali classi entra in inconciliabile contrasto”. Ed è esattamente dall’opposta comprensione di questi nessi che deriva ai comunisti la convinzione che “i rivolgimenti che sono accaduti e stanno accadendo nelle ex colonie (siamo già nella fase dell’acquisita indipendenza formale, n.) costituiscono una rivoluzione sociale, sia pure circoscritta entro i limiti della rivoluzione nazionale borghese”.
    L’indifferentismo è ancor più micidiale nell’epoca dell’imperialismo, allorché la rivoluzione borghese, “condotta sino in fondo”, per dirla con Lenin, diventa compito che sfugge alle prerogative della borghesia nazionale dei paesi dominati e controllati per passare direttamente nelle mani del proletariato.
    “Novità”? No, questa è la vecchia questione della “rivoluzione in permanenza” (alla Marx, o “rivoluzione ininterrotta” alla Lenin), campo di battaglia ieri dei bolscevichi russi, oggi dei “giovani” bolscevichi iraniani (per riferirci all’elemento soggettivo determinante per imprimere al corso delle contraddizioni oggettive la sua direzione non borghesemente, non nazionalmente limitata, ma internazionalista proletaria).
    “Esiste – insiste Amadeo – uno stretto legame fra il movimento rivoluzionario nazionale nelle colonie e l’evoluzione della lotta di classe nelle metropoli imperialiste”. Un legame di natura non politica, nel momento in cui non esiste ancora l’elemento soggettivo di ricongiunzione tra i due fili della matassa rivoluzionaria, ma comunque di natura materiale, economica, che questa ricongiunzione postula. Spetta ai comunisti rivoluzionari lavorare affinché in primo luogo la lotta dei “colorati” si estenda e si radicalizzi, recidendo qui nelle metropoli le manovre dell’imperialismo per isolarla e schiacciarla grazie al contributo della passività del proprio proletariato, e in seconda istanza per riproporre il collegamento organico tra lotta indipendente del proletariato metropolitano, affrancato dalla direzione riformista, e quella del suo naturale compagno di lotta, l’insieme delle masse lavoratrici oppresse dall’imperialismo.
    Con quale faccia di bronzo – accusa Amadeo – osate chiedere alle masse lavoratrici dei paesi oppressi quello che dipende da voi, dal proletariato delle metropoli? L’indifferentismo nei confronti della questione nazionale e coloniale non è, a questo punto, che l’altra faccia, speculare, dell’influenza materiale esercitata dall’imperialismo sul “proprio” proletariato. Questa insidia va spezzata con decisione, perché nessuna autentica rivoluzione internazionale si darà al di fuori del ritorno alla strategia unificante delineata dal 2° Congresso dell’IC e dell’incontro di Bakù.
    Mai come oggi, allorché si stanno concretamente riannodando questi fili, la lezione che Amadeo ci ha consegnata risulta di bruciante attualità. Mai come oggi – allorché l’indiffe-rentismo, diffamando le lotte rivoluzionarie “impure” della periferia imperialista, diffama il senso stesso della lotta rivoluzionaria del proletariato come classe mondiale, lasciando spazio o alle deformazioni “tattiche” dell’opportunismo di stampo trotzkista o terzomondista o, per dirla in una, alla propaganda ed all’azione controrivoluzionaria dell’imperialismo!

    nucleocom.org

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