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Addio compagne

Addio compagne

(23 Febbraio 2010) Enzo Apicella
Il logo della campagna di tesseramento del prc 2010 è una scarpa col tacco a spillo

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    Il necessario nuovo inizio

    (18 Ottobre 2013)

    Questo congresso di Rifondazione è profondamente diverso dai precedenti. Nel 2005 il congresso di Venezia ruotò attorno a una scelta immediata di linea politica: rientro nel centro-sinistra di Prodi o costruzione di un polo indipendente?

    Prevalse la prima ipotesi che portò il Prc nel secondo governo Prodi, Bertinotti sullo scranno di presidente della Camera e, nel giro di due anni, il partito a sfracellarsi con la sconfitta elettorale dell’Arcobaleno dopo essersi profondamente screditato per la sua corresponsabilità nelle politiche del centro-sinistra.

    Alla sconfitta segue un congresso straordinario (Chianciano, luglio 2008), nel quale la contrapposizione fu ancora più radicale: scioglimento del partito in un “nuovo soggetto della sinistra” o suo rilancio sulla base del conflitto? Prevale questa volta la seconda posizione, con una coalizione interna che generò la cosiddetta “svolta di Chianciano” con la successiva scissione guidata da Vendola. La svolta dura tuttavia pochi mesi prima di venire riassorbita nell’eterno risucchio elettoralistico. Comincia una stagione di aggregazioni e proposte improvvisate, sancita nel congresso di Napoli (dicembre 2011). In quel congresso le proposte centrali di Ferrero e Grassi sono il “Fronte democratico contro Berlusconi” (ossia un’alleanza elettorale col Pd) e la Federazione della sinistra. Berlusconi cade ancor prima che si celebri il congresso nazionale, il Pd governa con Monti (e Berlusconi), la Fds viene mantenuta fittiziamente per qualche mese prima di fallire miseramente, resta ancora lo spazio per l’operazione trasformista della lista di Rivoluzione civile capeggiata da Ingroia, che sprofonda ingloriosamente nelle elezioni.
    Oggi non basta una scelta di linea (tantomeno di linea elettorale) per aprire la strada al rilancio del partito. Occorre una rottura molto più netta e profonda.
    Il segretario uscente Ferrero si presenta con un documento la cui sintesi potrebbe essere “squadra che perde non si cambia”. Si parte da pagine scarlatte sulla crisi del capitalismo con tanto di citazioni di Marx, per approdare alla centounesima proposta di “costruire la sinistra di alternativa”. Una “rivoluzione democratica” senza contenuto di classe, una utopica “rifondazione dell’Europa” (capitalista?), la “ricostruzione di margini di sovranità popolare”… Il programma economico è quello di sempre: un po’ di redistribuzione della ricchezza, un po’ di intervento pubblico, un po’ di riconversione ambientale, e se proprio necessario, “disobbedire ai trattati europei”.
    Le 24 pagine del documento Ferrero non rispondono a una domanda semplice ma decisiva: la linea seguita fin qui era giusta o è da cambiare? E se è da cambiare, in cosa deve consistere il cambiamento?

    Una disgregazione politica

    Come è noto il congresso doveva tenersi all’indomani della sconfitta elettorale ed è stato pretestuosamente spostato di sei mesi. Il tempo “guadagnato” ha avuto principalmente l’effetto di fare definitivamente implodere la maggioranza che ha guidato il partito dal 2009 ad oggi. Alle tesi originarie sono stati contrapposti due emendamenti avanzati dall’area Essere comunisti ma sostenuti anche da altri compagni della maggioranza, i quali all’eterno ritorno della linea di Ferrero hanno opposto l’eterno ritorno della linea Grassi: bisogna unificare rapidamente Prc e Pdci, aprire a Sel, gettare ponti verso il Pd e il centro-sinistra. A questa proposta si aggiunge una seconda tesi alternativa che rivendica il radicale ricambio del gruppo dirigente. Le due tesi sono chiaramente collegate dall’implicita deduzione che un’altra linea (l’apertura a Sel e al Pd) necessiti un altro gruppo dirigente (e segretario). Spaccatura quasi a metà della maggioranza, che nel Cpn del 6 ottobre ha respinto le tesi alternative per 42 voti a 38.
    Al Cpn è stata formalizzata la presentazione della terza mozione (intitolata “Per la rifondazione di un partito comunista”) con il sostegno di 11 componenti del Cpn che però hanno dovuto raccogliere 500 firme fra gli iscritti per poterla presentare come mozione congressuale nazionale. I compagni che si sono fatti promotori della mozione tre sono partiti dicharando la loro volontà di emendare le tesi di Ferrero a condizione che venisse mutato il regolamento per garantire loro la rappresentanza proporzionale nel percorso congressuale; una proposta sbagliata che avrebbe di fatto trasformato ogni emendamento in una mozione mascherata.
    Respinta tale proposta, è partita fra grandi proteste e proclami la raccolta di firme “per un documento di base” (come se non esistesse anche una base che sostiene Ferrero, una che sostiene Grassi o una che sostiene le nostre posizioni…), raccolta che ha superato la soglia necessaria ponendo 500 firme in calce a un documento che, comunque lo si giudichi, si distingue per la sua radicale contrapposizione, almeno nelle intenzioni, alle tesi di Ferrero. Domanda: se il livello delle divergenze era questo, che senso aveva proporre dei semplici emendamenti?
    La terza mozione godrà del sostegno di diversi dirigenti compreso più di uno che ha sostenuto fino a febbraio le posizioni della segreteria, magari conducendo la battaglia per migliori collocazioni negli organismi e nelle liste elettorali di Rivoluzione civile, o compagni che si erano dichiarati d’accordo col rinvio del congresso. Un’operazione trasformistica che tenta di fare leva sulla sacrosanta indignazione di tanti compagni stufi di un gruppo dirigente irresponsabile, per farne trampolino di nuove carriere. Chi ricorda il congresso del 2008 sa che una mozione che aveva pretese “basiste” (autodenominatasi “dei 100 circoli”) deflagrò poco dopo il congresso nazionale e si frantumò in vari pezzi: una parte andò nel Pdci, un’altra si raccolse attorno al responsabile Enti locali Gianluigi Pegolo (da allora in poi su una posizione indistinguibile da quella di Ferrero), i restanti promuovono oggi questo revival. È fin troppo facile prevedere che l’esito sarà analogo.
    È un quadro disgregato, sul quale sarebbe infantile chiudere gli occhi. La crisi di Rifondazione si riflette non solo nei dati organizzativi o elettorali, ma in questa vera e propria babele politica, alla quale si aggiungono ulteriori emendamenti scaturiti da compagni dell’area ferreriana (Boghetta, Forenza, Mainardi).

    Il necessario nuovo inizio

    Chi dice che il “correntismo” sia la causa di questa disgregazione commette un profondo errore. Per dirla nel modo più chiaro: il Prc potrà svolgere un ruolo significativo nel movimento operaio solo se le “correnti” che hanno proposto analisi sbagliate e praticato politiche fallimentari verranno sconfitte da una “corrente” che abbia analisi corrette e pratichi una linea efficace. Pensare che si possa aggirare questo nodo “unendosi dalla base” o “incontrandoci su ciò che ci unisce mettendo da parte ciò che ci divide” (queste sono le parole alla moda) vive nel mondo dei sogni. La verifica verrà dal dibattito, ma più ancora dalla pratica.
    Per questo il nostro appello a discutere e a sostenere la mozione due “Sinistra classe rivoluzione” è più che mai un appello al sostegno attivo al nostro progetto. Non solo a votare, ma a partecipare in prima persona alla costruzione della nostra tendenza, a sostenere l’intervento che stiamo costruendo nei luoghi di lavoro, nel sindacato, nelle scuole e università, unendosi alla nostra battaglia politica nella sinistra italiana e a livello internazionale.

    Claudio Bellotti - FalceMartello

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