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(Lotte operaie nella crisi)

Alla Fincantieri di Marghera cade la maschera della Fiom

(29 Novembre 2013)

fincantmarghe

Quando, il 23 maggio 2011, l’azienda annunciò 1.500 esuberi e la chiusura degli stabilimenti di Castellammare di Stabia e Sestri Ponente, la Fiom proclamò di voler lottare conducendo una unica trattativa per tutti i siti produttivi. Dal principio invece fece scioperare i lavoratori divisi per stabilimento. Scrivemmo: «Gli operai dei cantieri da chiudere si impegnavano in molte ore di sciopero, ma restavano isolati rispetto ai cantieri più produttivi (Marghera e Monfalcone) dove si facevano scioperi simbolici di poche ore e dove più efficace sarebbe stato lo sciopero per il maggiore danno all’azienda. In questo modo i delegati Fiom facevano bella figura là dove gli operai lottavano di fronte alla minaccia del licenziamento, mentre laddove il cantiere risultava “sicuro” assecondavano l’interesse egoistico e miope dei lavoratori meno coscienti a non perdere salario scioperando».

Al solito la Fiom giustifica questa condotta scaricandone la responsabilità sui lavoratori che – secondo quanto dicono i suoi delegati – nei cantieri più redditizi non sarebbero disposti a scioperare in solidarietà coi loro compagni minacciati dalla chiusura. È il solito trucco di nascondersi dietro i pregiudizi degli operai più arretrati per demoralizzare gli altri. Per altro la responsabilità della grave inconsapevolezza della necessità dell’unione di classe – non certo una novità ma un dato che si trascina ed aggrava da decenni – va imputata innanzitutto alla dirigenza dei sindacati di regime. Cosa fa la Fiom per combattere gli atteggiamenti dei lavoratori più arretrati? Nulla, perché le serve a giustificare la sua inazione ed il suo collaborazionismo.

Ad esempio, nella vicenda Fincantieri, la Fiom nazionale avrebbe dovuto proclamare soprattutto scioperi di tutto il gruppo, lasciando minimo spazio all’autonomia dei suoi delegati nei singoli cantieri. Ha agito invece in modo opposto e in tal modo non ha contrastato ma assecondato la propensione dei lavoratori più arretrati a chiudersi dentro il cantiere.

Una trattativa unitaria è possibile solo sulla base di una lotta unitaria. Il risultato dell’azione lasciata in mano alle Rsu è stata quindi una sequenza di accordi stabilimento per stabilimento: Monfalcone (20 settembre 2011), Muggiano e Riva Trigoso (5 ottobre), Palermo e Ancona (17 gennaio 2012), Sestri Ponente (15 febbraio), Castellammare (1 gennaio 2013) e di nuovo a Sestri Ponente (5 aprile).

Gli ultimi due accordi hanno peggiorato le condizioni di lavoro in modo particolarmente grave:
- hanno esteso la base di calcolo dell’orario plurisettimanale da 12 mesi – stabilita sia dal Ccnl unitario del 2008 sia da quello separato del 2012 – a 24 mesi. Ciò determina una riduzione salariale venendo computate come orario normale quelle di straordinario;
- è stata rafforzata la polivalenza delle prestazioni (lo stesso lavoratore svolge più mansioni oltre quella cui era assegnato), con la massima mobilità all’interno delle officine e la riconversione del personale;
- è stata introdotta la turnazione 6x6 (sei ore al giorno per sei giorni fino al sabato, pagato non più come straordinario) con la mensa a fine turno;
- è stata introdotta la misurazione individuale della produttività.

Gli accordi, firmati senza un’ora di sciopero, hanno mostrato bene la pasta di cui sono fatte le opposizioni “di sinistra” interne alla Cgil:
- a Castellammare l’accordo è stato firmato dal delegato Rsu, segretario provinciale e membro del Comitato centrale Fiom, appartenente alla Rete 28 Aprile;
- a Sestri Ponente dal delegato Fiom appartenente a Lotta Comunista, gruppo politico che si dichiara rivoluzionario e a sinistra della corrente riformista e socialdemocratica dei dirigenti della Rete 28 Aprile, ma che in pratico, nel campo sindacale, si schiera alla sua destra, alleato nella Fiom con la maggioranza di centro del segretario generale Landini.


A Marghera

Marghera e Monfalcone sono i cantieri più attivi dell’azienda, in cui – al contrario di Castellammare, Sestri Ponente, Palermo ed Ancona – non vi sono stati vuoti produttivi. Da metà giugno a Marghera sono in lavorazione due navi, la Costa Diadema, con consegna prevista a ottobre 2014, e una nuova commessa per la Viking. Gli operai sono perciò in posizione di maggior forza rispetto a quelli degli altri stabilimenti, ma sono ormai isolati da quelli in cui l’accordo peggiorativo è già passato. Non è un caso che l’azienda, nel procedere a imporre i peggioramenti, abbia lasciato quei due cantieri per ultimi, assecondata dalla firma della Fiom per gli altri.

Così il 6 giugno Fincantieri comunica di voler applicare a Marghera, a partire dal 1° luglio, i contenuti degli accordi di Castellammare e Sestri Ponente, di non pagare il premio di programma (circa 600 euro) e di non riconoscere la nuova Rsu, prendendo a pretesto una diatriba aperta da Fim e Uilm, presumibilmente a questo scopo, sul numero di delegati spettanti a ciascun sindacato.

Infatti nel cantiere di Marghera il 22, 23 e 24 aprile si erano svolte le elezioni per il rinnovo della Rsu. La Fiom aveva conseguito, con l’86,3% di votanti sui 1.000 dipendenti diretti, il 64,9% dei voti (il 77,7% fra gli operai) con un miglioramento del 12% rispetto alle precedenti elezioni. Essendo le Rsu un organismo aziendale non avevano diritto al voto i lavoratori delle ditte in appalto, che sono la maggioranza della forza lavoro del cantiere. I candidati Fiom si erano affermati facendo leva proprio sul loro rifiuto ad accettare a Marghera accordi analoghi a quelli di Castellammare e Sestri Ponente. La Fiom rivendicava cinque delegati nella Rsu – di cui i tre maggiormente votati appartenenti alla Rete 28 Aprile – il che le avrebbe dato la maggioranza assoluta nella Rsu. L’azienda si è appoggiata alla disputa di Fim e Uilm – e Fim e Uilm all’azienda – per non riconoscere la nuova Rsu. Fincantieri ha infine riconosciuto una Rsu con un numero inferiore di delegati Fiom, con una maggioranza Fim e Uilm. Questo aspetto è importante in ragione dell’accordo del 31 maggio scorso fra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria il quale prevede che un accordo approvato dalla maggioranza Rsu obbliga anche la minoranza a non promuovere azioni di lotta contro i contenuti dell’accordo.

L’11 giugno la Rsu Fiom proclama un primo sciopero di poche ore per tenere un’assemblea interna allo stabilimento cui seguiranno alcune brevi fermate produttive organizzate unitariamente da Fim, Fiom e Uilm per un totale, al 26 giugno, di circa 20 ore di sciopero, due giornate e mezza, in 12 giorni lavorativi e due sabati.

Già in questi brevi scioperi – ed anche sulla base dell’andamento delle elezioni Rsu – azienda e sindacati di regime registrano un clima più caldo fra gli operai e mettono in moto tutto il sofisticato meccanismo volto a soffocare ogni loro reazione: repressione aziendale, pressione delle strutture dei sindacati di categoria (Fim, Fiom, Uilm), finte divisioni fra i tre sindacati, propaganda della stampa borghese.

Il 14 giugno Fincantieri ricatta gli operai dicendosi pronta a spostare le lavorazioni per la Viking a Monfalcone nel caso di altri scioperi. La Fiom nazionale proclama allora due ore di fermata dei lavoratori di tutto il gruppo. Questa parodia di sciopero non serve certo a sostenere gli operai di Marghera con la mobilitazione a loro sostegno gli altri cantieri – cosa che, non essendo stata fatta prima per Palermo, Castellammare, Muggiano, Riva Trigoso, Sestri Ponente ed Ancona, non si vede come potrebbe ottenere ora – ma a nascondere la sua azione di isolamento della lotta a Marghera.

Infatti a queste due misere ore di sciopero nazionale non ne seguono altre. Basterebbe questo dato, a fronte dell’incrudirsi della lotta nelle settimane seguenti, a dimostrare il reale significato dell’azione della Fiom. Ma questo sindacato di regime, degno compare di Fim e Uilm, fa di più:
- il 25 giugno sigla ad Ancona un accordo fotocopia di quelli di Castellammare e Sestri Ponente, aumentando così l’isolamento di Marghera;
- il 10 luglio, a Roma, sottoscrive con Fim, Uilm, Uglm e Failms, un accordo nazionale che proroga la cassa integrazione straordinaria per 12 mesi, stabilendo per ciascun cantiere il numero di lavoratori in cassa.

Così, mentre a parole la Fiom sostiene gli operai di Marghera in lotta, nei fatti lavora per isolare loro e gli stessi delegati Fiom e sottoscrive la cassa integrazione per 325 lavoratori e 115 esuberi, a fronte di due navi in costruzione e della maggior produttività richiesta.

Il 14 luglio – quattro giorni dopo l’accordo nazionale con Fim, Uilm e Fiom – l’azienda passa alle vie di fatto: fa entrare nel cantiere agenti della digos per “assistere” al trasporto di alcune lamiere a ditte esterne. Questa azione non intimidisce i lavoratori che scendono in sciopero e per due giorni, picchettando lo stabilimento, impediscono l’uscita dei camion.

I delegati Fiom partecipano attivamente ai picchetti ma il 17 luglio, al Comitato Centrale Fiom, il segretario generale Landini e l’ex segretario provinciale di Genova, di Lotta Comunista, attaccano la lotta di Marghera presentandola come una azione voluta dalla Rete 28 Aprile per strumentalizzare gli operai ai fini della sua battaglia di minoranza interna alla Cgil e alla Fiom.

Il 19 luglio scende in campo contro i lavoratori il “Corriere della Sera”, quotidiano per eccellenza della borghesia italiana, reclamizzando l’iniziativa di Fincantieri di far sottoscrivere a 132 fra dirigenti, capisquadra, tecnici e impiegati, una lettera in cui si attaccano gli operai e la Rsu descrivendo «uno stabilimento ripiombato all’improvviso nelle tensioni degli anni settanta quando l’essere in disaccordo con la classe operaia e il comportarsi da crumiri poteva essere punito anche con azioni violente».

Il 25 luglio si scioglie l’unità della Rsu. Fim e Uilm firmano un accordo che accoglie le richieste aziendali, i delegati Fiom non lo firmano.

Lunedì 29 luglio l’azienda mette in cassa integrazione 31 lavoratori. Questo scatena la accesa reazione degli operai che scendono finalmente in sciopero compatto e a oltranza per tre giorni, abbandonando le deboli azioni articolate di poche ore organizzate da Fim e Uilm ma anche dalla Fiom. La lotta degli operai travalica le intenzioni degli stessi delegati Fiom, che però vi partecipano. Martedì 30 luglio un corteo di 400 operai marcia fino al centro di Mestre.

Invece di dar forza agli operai finalmente mobilitatisi e disposti alla lotta, la Cgil conferma il suo ruolo di sindacato di regime e accorre in soccorso dell’azienda proponendo il 1° agosto una tregua di 48 ore. Questo è quanto appare dall’esterno, mentre dietro le quinte si può ben immaginare l’intenso lavorio teso a spezzare lo sciopero.

Alla fine il 2 agosto, ultimo giorno lavorativo prima della chiusura estiva del cantiere, si giunge all’accordo con la firma dei delegati e della struttura provinciale Fiom. La pausa estiva avrebbe potuto essere utilizzata per preparare la ripresa con più vigore della lotta alla riapertura del cantiere. Probabilmente i delegati Fiom temevano il trasferimento all’esterno delle lavorazioni per la nuova commessa, possibile visti i precedenti tentativi. Tuttavia restava in cantiere la Costa Diadema, quindi un’arma potente in mano ai lavoratori, se si fosse stati disposti e determinati ad utilizzarla, cioè a interromperne la costruzione.

Ma qui subentrano i limiti dei delegati Fiom che, anche quando combattivi, non possono non subire le conseguenze dell’appartenenza a questo sindacato di regime, siano essi persuasi dei suoi principi anti-classisti, ovvero costretti con intimidazioni organizzative tendenti ad isolarli. La Rsu Fiom di Marghera, infatti, non si è distinta da quelle degli altri cantieri sui principi messi a base della sua azione: ha rigettato il peggioramento delle condizioni di lavoro non in quanto tale, ma perché non concordato con la Rsu e perché «non risponde a specifiche esigenze produttive del cantiere» (Comunicato Fiom provinciale e Rsu Fiom del 10 giugno). Una posizione debole perché non è il riconoscimento del diritto alla trattativa della Rsu a garantire la difesa dei lavoratori, ma la loro forza, che si misura nella capacità di scioperare a lungo, unitamente ed estesamente.

Ma che la Rsu Fiom così argomenti la sua opposizione alle pretese aziendali vuol dire che se si dimostrassero «rispondenti alle esigenze produttive del cantiere» sarebbe pronta ad accettarle. Ciò significa abbracciare l’idea che il bene dei lavoratori coincide con quello dell’azienda, cioè del Capitale. Cioè legare gli operai al carro dei loro sfruttatori, avallare la concorrenza fra lavoratori che divide la loro classe e garantisce il suo assoggettamento. Significa inculcare nei lavoratori idee e principi che li conducono alla rassegnazione ed alla sconfitta.

Ma all’unità dei lavoratori non basta il perimetro della fabbrica, al contrario vi trova il suo più grave ostacolo! La forza operaia si moltiplica solo se trova la solidarietà fattiva dei lavoratori delle altre aziende, non a parole ma con lo sciopero e la partecipazione ai picchetti. Il “ruolo negoziale della Rsu” è una duplice truffa: perché è un guanto vuoto senza gli operai che lo riempiono col pugno della loro forza, e perché la Rsu, organismo aziendale, chiude i lavoratori entro quei limiti che garantiscono la loro debolezza. La Rsu Fiom della Fincantieri di Marghera ha ottenuto, come vedremo, un risultato migliore rispetto alle Rsu Fiom di Castellammare e Sestri Ponente proprio sulla base della forza degli operai, che si è dispiegata a prescindere dal riconoscimento della Rsu da parte dell’azienda!

La Rsu Fiom di Marghera persegue la “unità sindacale” con Fim e Uilm, esattamente come la Fiom nazionale. Parte dei suoi cedimenti sono giustificati per addivenire a documenti ed azioni unitarie con Fim e Uilm. Queste “trattative”, dalle quali i lavoratori niente hanno da attendersi, costituiscono un altro imbroglio, una divisione del lavoro all’interno del sindacalismo di regime, con la Fiom che si atteggia a “meno peggio” per inseguire e riportare all’ordine le spontanee mobilitazioni operaie, come nel caso dello sciopero a oltranza di tre giorni a cavallo fra luglio e agosto.

L’azione sindacale classista persegue l’unità del movimento e denuncia la pratica degli scioperi separati fra diverse organizzazioni in concorrenza, che dividono e indeboliscono la lotta. È una prassi adottata invece – con grave danno – anche dalla maggior parte dei sindacati di base. In senso diametralmente opposto a quello della unità nella lotta va la prassi della unità sindacale fra Fim, Uilm e Fiom.

Un comunicato unitario della Rsu della Fincantieri di Marghera del 15 luglio recitava: «La Rsu e il sindacato, per superare le difficoltà del cantiere di Marghera, hanno dato ampia disponibilità ad affrontare tutti i problemi produttivi e di programmazione del lavoro per consentire lo sviluppo delle commesse e la consegna dei prodotti secondo le date e i tempi stabiliti nei piani». Come dovrebbe conciliarsi questa affermazione con lo sciopero contro il piano aziendale!? Ancora: «Per utilizzare maggiormente gli impianti ed accelerare le operazioni di taglio delle lamiere delle nuove navi, i lavoratori sono disponibili ad introdurre il 3° turno notturno alle macchine con un miglioramento della prestazione settimanale fino a 12 ore per addetto, a concordare di fronte ad esigenze verificabili, l’orario plurisettimanale e i relativi recuperi, a rafforzare la turnistica in atto, a concordare le eventuali prestazioni straordinarie». Cioè la Rsu, unitariamente, è disponibile a permettere sacrifici per i lavoratori se questi sono utili a migliorare la competitività del cantiere, cioè a renderlo più efficiente rispetto agli altri stabilimenti navalmeccanici, naturalmente a discapito dei loro operai!

Su queste basi sindacali non classiste ma collaborazioniste, cui si aggiunge il lavoro della Fiom e della Cgil teso a isolare e indebolire i suoi delegati più combattivi, è scaturito un accordo un poco migliore di quello firmato il 25 luglio dalle sole Fim e Uilm, nonché di quelli di Castellammare e Sestri Ponente, ma che segna comunque un ulteriore arretramento delle condizioni di lavoro degli operai e che non corrisponde alle forze messe in campo nella lotta. Non a caso, al referendum sull’accordo svoltosi il 29 agosto, in cui non hanno votato circa 250 lavoratori perché in ferie, 202 hanno dato parere negativo e 228 positivo.

I delegati Fiom, che si erano affermati alle elezioni Rsu col rifiuto intransigente dei contenuti del nuovo accordo e che su questa base avevano costruito un rapporto di fiducia con gli operai più combattivi, hanno così indebolito sia questo rapporto sia soprattutto la combattività degli operai.

Questo risultato è più importante dei risultati parziali ottenuti, che non vanno negati, perché è foriero di conseguenze. Come sempre in ogni lotta ciò che più conta non è il risultato contingente sul piano normativo e salariale, positivo o negativo, bensì il maggior grado di forza, unità e fiducia dei lavoratori che ne scaturisce.

Rispetto a quello inizialmente siglato da Fim e Uilm il 25 luglio l’accordo del 2 agosto limita il 6x6 e l’orario plurisettimanale ad alcuni reparti e non a tutto il cantiere, pone come base di calcolo 12 mesi e non 24, il che limita la riduzione salariale, elimina il controllo individuale della produttività. Inoltre sono state ritirate le lettere di cassa integrazione. È stata invece confermata la perdita del premio di programma.

Anche questo ultimo episodio della vicenda Fincantieri conferma, come l’intero corso precedente, la necessità che i lavoratori, intanto i più combattivi, si organizzino fuori e contro la Fiom, e la Cgil tutta, che rappresentano il maggior ostacolo alla unificazione dei salariati al di sopra dei confini di cantiere e di azienda.

Gli operai, alla Fincantieri di Marghera, come ovunque, quando intraprendono una battaglia devono innanzitutto cercare il contatto con gli altri lavoratori, nelle aziende limitrofe, negli appalti dentro il cantiere, negli altri stabilimenti della stessa azienda, per stabilire organismi di battaglia comuni e permanenti e organizzare insieme la lotta: tornare alla partecipazione reciproca nei picchetti davanti le aziende e fino a scioperi comuni. Finché questa strada non sarà intrapresa non potremo parlare di un ricostituito sindacato di classe.

Partito Comunista Internazionale

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