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Incendio a Prato
Fratelli di classe!

(7 Dicembre 2013)

A Prato una esplosione di bombole di gas si è portata via le vita di sette operai cinesi. Abitavano in un dormitorio all’ultimo piano di un capannone industriale situato al centro della zona del “Pronto Moda”, una miriade di piccole e piccolissime aziende di produzione di abbigliamento femminile, attualmente il più grande centro di produzione e vendita di Europa. Da tutte le parti dell’Europa, da est come da nord e sud vengono compratori ad acquistare il made in Italy intriso del sangue e del sudore operaio.

Questo accade non da oggi, sono ormai venti anni che il capitale cinese ha iniziato la penetrazione in questa zona d’Italia. Gli imprenditori cinesi del settore tessile e degli accessori, così come in altre parti d’Italia, Napoli, Milano, Padova, ma a scala minore, hanno investito in capannoni, acquistati o in affitto, macchinari e prodotti greggi, prevalentemente provenienti dalla stessa Cina, e mano d’opera anch’essa importata direttamente dalla Cina, in forma legale o, come in questo caso, clandestina.

Il miraggio della “ricchezza occidentale” spinge ad emigrare questa parte della classe operaia cinese (piccola relativamente alla Cina), costretta a piegare la schiena ai nuovi mandarini, i capitalisti cinesi. Così sono almeno venti anni che la Cina esporta non solo merci ma intere aziende, con tutta la mano d’opera necessaria, ed un sistema di vita e di lavoro esattamente uguale a quello vigente in Cina, fatto di sfruttamento bestiale, bassi salari, uno-due euro l’ora, orari, anche notturni, di almeno 12 ore, impossibilità di qualsiasi autonomia anche individuale: dormire-mangiare-lavorare, questa la vita cui è costretto il proletario cinese.

Oggi, a tragedia consumata, la Unione Industriali di Prato ha dichiarato che loro lo avevano detto, che le aziende cinesi andavano controllate e repressa la loro illegale virulenza capitalistica; che avevano fatto pressioni sulla magistratura, che ha accampato però carenza di organico; e che poi tutti i presunti controllori sono corrotti, prendono soldi, mazzette, compresa la guardia di finanza e tutti gli organi dello Stato. Certo questi non potevano essere da meno degli stessi industriali pratesi i quali, dopo la crisi irreversibile del cardato e dei prodotti di bassa qualità, in parte si sono riconvertiti in proprietari fondiari, affittando o vendendo capannoni, fondi, magazzini, palazzi, negozi, ristoranti, fabbriche intere, tintorie, tessiture, ecc. guadagnando fior di milioni, in parte hanno proseguito la produzione tessile come fornitori delle ditte cinesi a Prato, e di alta qualità, per la penetrazione del made in Italy fra i nuovi ricchi, fra i quali i borghesi cinesi di Cina, che si aggirano ormai sui 100 milioni, un mercato di tutto rispetto.

Chi vuole la ripresa dalla crisi non ha da attendersi che un simile virulento capitalismo, quello di sempre, quello che meglio riesce a produrre il plusvalore. Come il capitale e i borghesi “pratesi” si intendono perfettamente e fanno ottimi affari con il capitale e i borghesi “cinesi”, così non occorre esser cinesi per far parte della mondiale classe operaia, e anche le fabbriche di Italia e del ricco mondo occidentale sono piene di simili supersfruttati operai ed operaie a trattamento “cinese”.

Partito Comunista Internazionale

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