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Israele, colonie in cambio di prigionieri

(26 Dicembre 2013)

Tel Aviv annuncerà nuove unità abitative nei territori occupati domenica, con il rilascio di 26 detenuti palestinesi. Un accordo, mai concluso con l'Anp, diventato realtà

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Bambini palestinesi al freddo la mattina di Natale, dopo la demolizione della loro casa (Fonte: Twitter @Palestine Video)

dalla redazione

Roma, 26 dicembre 2013, Nena News - Una nuova colata di cemento israeliano in Palestina. L'annuncio di nuove unità abitative nei Territori palestinesi occupati verrà fatto domenica prossima, in concomitanza con il rilascio della terza tranche di prigionieri politici palestinesi: a rivelarlo questa mattina è stato un funzionario israeliano anonimo, citato dall'AFP.

Non è ancora noto quante nuove costruzioni saranno approvate in Cisgiordania e a Gerusalemme est "in cambio" del rilascio di 26 detenuti: ad Agosto, quando Tel Aviv aveva liberato il primo quarto dei 104 prigionieri palestinesi promessi nel quadro dei ripristinati colloqui di pace, le unità abitative annunciate erano state 2 mila. Stessa storia lo scorso ottobre, dopo la scarcerazione di altri 26 detenuti: allora le nuove case per coloni comunicate erano state 1.500.

Le nuove costruzioni, a detta del governo israeliano, fanno parte di un accordo raggiunto con l'Autorità palestinese per rilanciare il negoziato: una dichiarazione puntualmente smentita - anche a suon di dimissioni respinte - dal team negoziatore di Ramallah che, seppur sfiancato dalle mosse israeliane, continuerà a sedere al tavolo negoziale fino ad aprile.

Le tattiche "negoziali" di Tel Aviv - volte ad annunciare falsi accordi con la controparte palestinese come il rilascio di prigionieri in cambio di colonie, in modo da spingere Ramallah a lasciare i colloqui addossandole interamente la colpa - hanno provocato le proteste dell'Onu e dell'Unione Europea, ma solo un timido richiamo al contegno da parte del segretario di Stato Usa John Kerry, supervisore dei colloqui di pace: il capo della diplomazia americana ha infatti invitato il premier israeliano Benjamin Netanyahu a "esercitare la massima moderazione nell'annuncio di nuove costruzioni". Non fermarle, insomma: semplicemente non gridarle al mondo.

Che gli Stati Uniti condividessero la visione israeliana di un improbabile stato palestinese era stato ribadito due settimane fa, quando John Kerry aveva presentato il nuovo "piano americano" al tavolo negoziale: presenza militare israeliana nella Valle del Giordano palestinese per dieci anni, fino a quando l'esercito dell'ANP non sarà "pronto", e soldati di Tel Aviv "invisibili" lungo la frontiera tra il futuro stato e la Giordania. Senza fermare in alcun modo l'espansione coloniale israeliana.

A chi crede ancora che la presenza militare di Tel Aviv in Cisgiordania serva per ragioni di "sicurezza" ha risposto direttamente il premier Netanyahu: "Non ci fermeremo, nemmeno per un istante, nella costruzione del nostro Paese e nello sviluppo della nostra impresa coloniale", aveva detto una settimana fa ai membri del suo partito, il Likud.

E mentre Netanyahu coltiva il suo sogno coloniale aiutato da Washington, continuano le demolizioni e le confische nei Territori occupati: qualche giorno fa l'UNRWA aveva condannato "le ultime demolizioni che, in Cisgiordania, hanno dislocato 68 persone, alcune delle quali durante la vigilia di Natale", come aveva spiegato il portavoce dell'agenzia Onu Chris Gunness. Le demolizioni hanno avuto luogo ad Ain Ayoub, vicino Ramallah, e a Fasayil al-Wusta, nella Valla del Giordano. E la foto twittata la mattina di Natale da @Palestine Video lo testimonia.

Nena News

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