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TRACCIA PER UN RAGIONAMENTO SUL PROCESSO DI TRASFORMAZIONE/INVOLUZIONE DEL SISTEMA POLITICO ITALIANO

(14 Febbraio 2014)

Lo sviluppo del processo di trasformazione del sistema politico italiano, iniziato a cavallo degli anni’90 del secolo scorso, non può che essere giudicato negativamente almeno dal punto di vista di chi ritiene di dover star dentro al dettato costituzionale, nello specifico del punto in cui si determina che “la sovranità appartiene al popolo”.
Giusto, quindi, definire l’itinerario fin qui percorso come di trasformazione/involuzione.
Il punto cruciale dell’intera vicenda è stato rappresentato dalle diverse modifiche imposte al sistema elettorale, tenendo conto che è sul sistema elettorale che s’incardina il complesso della vita democratica di un Paese.
La cornice all’interno della quale gli avvenimenti presi in esame sono avvenuti è ovviamente quella della situazione economico-sociale e del peso complessivo del cosiddetto “vincolo esterno”, posto quest’ultimo in specifico riferimento alle vicende riguardanti la costruzione dell’Unione Europea.
Pur tuttavia esiste e resiste, anche in quest’ambito, una specificità di carattere nazionale: ad esempio in Ungheria è al potere un regime fascista, ma l’Unione Europea non intende minimamente – per questo – porne in discussione l’appartenenza alla Comunità.
La crisi evidente della democrazia italiana va quindi assunta in quanto tale come fatto specifico: si tratta di farlo senza alcuna vocazione al provincialismo, ma anzi cercando di inserire il quadro attuale in un contesto ben più ampio anche sotto l’aspetto geopolitico.
La rottura del sistema dei partiti che aveva retto il Paese a partire dalla lotta di Liberazione contro il nazi-fascismo e fino – almeno – alla metà degli anni’80 e che si può considerare quale scaturigine vera dello stato di cose in atto, si realizza, infatti, attorno a 3 spinte concomitanti tutte di natura sovranazionale:
- La ventata neoliberista (assunta in pieno nel nostro Paese fin dal governo Craxi, preciso applicatore dei dettami contenuti nel documento sulla “Rinascita Nazionale” elaborato nel 1975 dalla loggia massonica P2, all’interno della quale – è bene ricordarlo – si ramificavano rapporti importanti con i generali golpisti d Cile e Argentina, paesi nei quali fin dagli anni’70 furono sperimentate le metodologie liberiste dei cosiddetti “Chicago - Boys” poi alla base della”stretta” imposta dai governi Reagan negli USA e Tachter in GB);
- La caduta del muro di Berlino, che diede spunto ad analisi profondamente sbagliate come quelle riguardanti l’immediata apertura di nuovi mercati e foriera, quindi, di una fase di prosperità a livello globale;
- La stipula del trattato di Maastricht, origine dell’accettazione del monetarismo quale base e presupposto per la costruzione europea.
A questi elementi va aggiunto, per non trascurare nulla nell’obiettività dell’analisi, il soffocamento del quadro politico interno derivante dal consociativismo parlamentare (quale risposta ad un sistema bloccato dalla “conventio ad excludendum” e dal peso crescente del debito pubblico).
La risposta che venne fornita, a quel punto, può essere così riassunta: sblocco del sistema politico (parola d’ordine sulla base della quale fu sciolto il PCI: punto d’origine della crisi verticale della sinistra italiana), superamento del quadro multipartitico presente nell’epoca del sistema elettorale proporzionale: primo atto di questa strategia, perseguita per via referendaria, fu l’elezione diretta dei Sindaci e successivamente l’adozione di un sistema elettorale misto, maggioritario per il 75%e proporzionale (con liste bloccate) al 25%.
Le conseguenze dirette di queste scelte, sul piano politico, furono rappresentate da un’abnorme crescita di peso della personalizzazione della politica (fenomeno enfatizzato dalla cosiddetta “discesa in campo” di Silvio Berlusconi), il conseguente eccesso di invadenza della comunicazione televisiva, oltre ad un cedimento sul tema dell’antica contraddizione centro/periferia rimescolata in salsa razzista, esprimendo così sudditanza alle logiche portate avanti dalla Lega Nord, nel frattempo sostituitasi nelle preferenze di settori di ceto medio al neo-corporativismo democristiano.
Risultò decisivo, come già accennato, lo smantellamento dei grandi partiti di massa : un fenomeno al riguardo del quale risultò più importante la caduta del muro di Berlino (anche rispetto alla stessa DC, costruita originalmente “a specchio” sull’anticomunismo verbale) della stessa “Tangentopoli”.
Lo scioglimento del PCI, fatto al quale va comunque riservata anche a questo punto un’attenzione particolare, risultò del tutto decisivo, non essendosi realizzato in quel frangente neppure un processo di piena social democratizzazione del partito cui avrebbe potuto affiancarsi una soggettività in grado di riprendere i temi peculiari portati avanti dalla sinistra comunista.
Si procedette, invece, sia sul versante del PDS, sia su quello di Rifondazione Comunista ad una compiuta omologazione all’interno del sistema politico delineato dall’impianto personalistico/maggioritario: lo stesse fenomeno investì anche i soggetti usciti dal “cupio dissolvi” della DC.
A distanza di molti anni possono essere individuati due esiti, derivanti – appunto – dallo scioglimento dei grandi partiti di massa:
1) L’arroccamento del sistema all’interno di una negativa concezione dell’autonomia del politico e della personalizzazione;
2) La riduzione della funzione politica complessiva, con la conseguente difficoltà ad affrontare le grandi questioni dell’economia, dell’immigrazione, fino al ritorno del tema della guerra portato, per eccesso di “realismo politico” fino al punto di partecipare ai bombardamenti nei Balcani.
Un segnale importante dell’avvio di una fase di degrado della vita democratica del Paese arrivò dalla diminuzione della partecipazione al voto, in particolare al livello delle autonomie locali, sede nella quale ha continuato a svilupparsi l’intreccio corruzione/personalizzazione/autonomia del politico/esasperazione nell’usufruire dei privilegi/costruzione del concetto di casta.
Il fenomeno della diminuzione della partecipazione al voto risultò del tutto sottovalutato e scambiato, anche dai grandi centri di analisi politica, per un progressivo allineamento ai modelli più avanzati di democrazia occidentale.
Si ravvide, in quell’epoca, una responsabilità collettiva, quella dell’illusione dell’alternanza convergente al centro nell’ottica di una “governabilità” intesa quale fattore esaustivo dell’azione politica: mentre veniva meno la possibilità di presenza per una sinistra d’opposizione, in grado di presentare una vera e propria alternativa di sistema.
Si esauriva così, in breve, la stessa funzione storica esercitata per decenni dai comunisti italiani.
Nella sostanza la fase di transizione avviata, come già ricordato all’inizio degli anni’90, si trasformò in un vero e proprio fenomeno di degenerazione del sistema.
Un fenomeno di degenerazione fondato su 3 elementi portanti:
a) Il decisionismo, impersonificato dalla modifica di ruolo del Presidente della Repubblica;
b) Un vero e proprio “sfarinamento sociale”;
c) Quell’idea di governabilità, già espressa in precedenza, e considerata unico e solo “Bene in sé” dell’azione politica.
Intorno al tema della legge elettorale si è comunque realizzato il vero e proprio “precipitare degli eventi” di questi ultimi tempi: in precedenza la vicenda del cosiddetto “Porcellum” giudicato – caso unico davvero nel quadro delle cosiddette democrazie avanzate –illegittimo dalla Corte Costituzionale, fino al cosiddetto accordo “Berlusconi/Renzi” per una proposta di legge liberticida contenente, per di più, gli stessi profili di incostituzionalità della precedente.
L’intreccio tra questo stato di cose potrebbe anche trovare il suo punto di saldatura nel consegnarsi alla protezione di un “uomo forte”: un pericolo da non sottovalutare.
Tornando alla personalizzazione della politica , sono da registrare il totale smarrimento del PD che attraverso l’infausto meccanismo delle primarie (vero momento di solleticazione negativa del fenomeno personalistico) ha plebiscitato l’homus novus Renzi, oltre al ruolo da lungo tempo esercitato da Berlusconi e quello ricoperto, in tempi più recenti, da Beppe Grillo.
Il pericolo vero è così rappresentato, in tempi di “taglio” e “riduzione” della risposta politica alla domanda sociale in forma autoritaria.
Questo contesto ha prodotto gli ultimi avvenimenti che sempre più sembrano allontanare le dinamiche del quadro politico italiano dal dettato Costituzionale.
Siamo alla vigilia di una stretta grave sul piano dell’agibilità democratica.

Franco Astengo

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