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DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA ED EGUAGLIANZA POLITICA

(20 Febbraio 2014)

Molto spesso capita, valutando i progetti di riforma costituzionale ed elettorale in discussione in Italia, di scrivere sul tentativo in atto di cancellare anche il concetto stesso di “democrazia rappresentativa”.
Egualmente da più parti e da molto tempo si tende ad esaltare il concetto di “democrazia diretta”.
Pensiamo alla cosiddetta “strategia referendaria” attraverso la quale, negli anni’90 del XX secolo, si attuò il passaggio dal sistema proporzionale a quello maggioritario e, a livello di enti locali, all’elezione diretta di Sindaci e di Presidenti
Appare essere il caso, allora, di ritornare sul tema della democrazia rappresentativa al fine di delinearne i contorni teorici: una operazione importante se vogliamo davvero entrare con un minimo di cognizione di causa nel merito del confronto tra le due diverse concezioni – appunto – di democrazia rappresentativa e di democrazia diretta.
Nell’occasione, comunque, il “focus” sarà concentrato proprio sulle idee portanti che sostengono l’idea della democrazia rappresentativa.
Un discorso che si può avviare sfatando un mito: non è stata la democrazia diretta a produrre l’eguaglianza politica bensì quella rappresentativa.
In precedenza all’inoltrarsi ne meandri delle definizione teoriche “classiche” è possibile sviluppare un esempio di indubbia efficacia: al momento dell’unificazione del Regno d’Italia il passaggio dei diversi Stati alla sovranità di casa Savoia e alla legislazione piemontese si ebbe attraverso uno dei meccanismi classici della “democrazia diretta”: il plebiscito aperto a tutti, alfabeti, analfabeti, ricchi e poveri .
Il plebiscito che sancì il passaggio del Regno delle Due Sicilie è descritto con pagine mirabili da Tomasi di Lampedusa nel “Gattopardo”: immagini poi tradotte in scene altrettanto eccezionali nel film omonimo per la regia di Luchino Visconti.
Nello stesso tempo però il diritto di voto alle elezioni legislative era appannaggio per censo a meno del 2% della popolazione.
La battaglia per l’estensione del diritto di voto in Italia, come in tutti gli altri Paesi, rappresentò una battaglia per l’estensione del diritto alla scelta in un quadro di democrazia rappresentativa con l’obiettivo proprio di raggiungere l’eguaglianza politica .
Nel nostro Paese debbono essere ricordate le tappe principali di questo difficile passaggio: dal 1882 un primo allargamento, al 1913 il suffragio allargato maschile, poi ulteriormente ampliato nel 1919, per pervenire soltanto nel 1946 al vero e proprio suffragio universale maschile e femminile.
Sarà stato soltanto dopo l’acquisizione dell’eguaglianza politica, realizzata attraverso l’allargamento della possibilità di scelta posto sul terreno della democrazia rappresentativa, che si è potuto parlare di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, come sostrato dei diritti fondamentali e – di conseguenza – di acquisizione dei diritti sociali: salute, abitazione, condizioni di lavoro, assicurazioni sociali.
Considerata la democrazia come competizione tra partiti allo scopo di instaurare nuove procedure di governo si sono così affermate teorie pluralistiche attraverso le quali, anche nei tempi della cosiddetta globalizzazione, si sono espresse le sintesi politiche delle diverse contraddizioni sociali.
Stiamo arretrando, attraverso l’ulteriore introduzione di determinati meccanismi di tipo maggioritario/personalistico (si pensi alle cosiddette primarie) da questo livello del confronto politico per semplificarlo all’interno di meccanismi ridotti al “sì” o al “no” rispetto a personaggi rappresentativi di opzioni sostanzialmente “celate” (una domanda retorica: negli ultimi vent’anni quante elezioni si sono fatte, in Italia, a guisa di referendum per attestare il livello di gradimento di un solo personaggio?).
Un arretramento pericoloso quello dalla democrazia rappresentativa a questo tipo di democrazia diretta.
Un salto all’indietro mistificato, in questi tempi bui, da corifei della personalizzazione della politica e della presunta necessità di sapere “un’ora dopo la chiusura delle elezioni, chi ha vinto”, ma che nascondono in realtà la “voglia matta” di una involuzione autoritaria, in nome della “semplificazione”.
La politica riservata ai più forti, come ai tempi dei baroni della “Magna Cartha”.

Franco Astengo

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