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(17 Agosto 2010) Enzo Apicella
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ITALIA: MANCA IL CONFLITTO

(1 Marzo 2014)

Le condizioni economico – sociali, il malgoverno, la corruzione, l’arroganza e l’incompetenza della classe politica avrebbero dovuto creare le condizioni perché nel nostro Paese si sollevasse un forte moto di protesta capace di suscitare un vero conflitto sociale: è accaduto del resto in Spagna, Grecia, Portogallo e anche Francia soltanto per citare le situazioni per certi versi più simile alla nostra, in particolare al riguardo delle logiche di governo dell’Europa della Troika.
Si tratta, nel caso, di una smentita dell’analisi empirica di Tilly che individua il sorgere di movimenti collettivi nella constatazione dell’esistenza di permanenti squilibri nella distribuzione del potere: ci troviamo, infatti, da questo punto di vista in una situazione davvero di assoluto squilibrio dal punto di vista politico e sociale. Il sindacato non svolge più da tempo una funzione in questo senso, rinunciando addirittura alla contrattazione collettiva in alcune categorie – chiave come il pubblico impiego, non riuscendo a proclamare un compatto sciopero generale di fronte all’operazione Fiat-Marchionne-Chrysler, cedendo ampi margini del proprio diritto di rappresentanza; gli stessi movimenti ufficialmente anti-sistema si raccolgono in partiti personali che fanno dell’emiciclo di Palazzo Madama l’epicentro delle loro lotte destinando le piazze all’ascolto a bocca aperta del verbo del Capo; altri movimenti, specificatamente consolidati su “single Issue” ma molto combattivi in sede locale cedono candidature a soggetti che, verbalmente, appoggiano le lotte sul territorio ma che nelle sedi istituzionali dove sono presenti se ne guardano bene.
Poi un po’ dignitose frattaglie: non esiste nel nostro paese (con la disoccupazione di fascia del 42%) un movimento giovanile degno di questo nome, scuola e università latitano da questo punto di vista.
La ragione di fondo di questo stato cose, all’interno di una società sfibrata dalla crisi e apparentemente non in grado di riacquisire un senso collettivo della proprio dimensione sociale, è stata quella della strumentalizzazione e della spettacolarizzazione del conflitto che si verifica ormai da molti anni, se pensiamo alla deriva davvero drammatica di soggetti che avevano avuto la pretesa di rappresentarlo, in particolare a livello giovanile, senza mai riuscire però a produrre prima di tutto cultura alternativa: si pensi ai centri sociali sede di allevamento per deputati di SeL, ai cosiddetti “disobbedienti del Nord Est” assolutamente conformisti nelle scelte di fondo.
I movimenti sociali in Italia, nel loro complesso, hanno smentito anche un’altra teoria, quella di Alain Touraine che definiva il movimento sociale non come semplice espressione di una contraddizione, ma come generatore del conflitto.
Neppure appare valida la definizione che fornisce Sofia Ventura nell’apposita voce scritta per l’Enciclopedia del Pensiero Politico di Galli ed Esposito: strumento della partecipazione politica.
Forse sta qui il punto se si vuol tentare un’analisi e non semplicemente come pure è giusto descrivere uno stato di cose in atto: l’assenza di una continuità di conflitto sociale in una situazione che pure lo giustificherebbe più che ampiamente come quella italiana deriva essenzialmente dall’impossibilità da parte della “parzialità” dei movimenti di rappresentare anche strumento della partecipazione politica.
Se ci si limita infatti ad improprie ed improbabili candidature elettorali il motivo è quello dell’impossibilità di un transito, di una osmosi, di una ricerca di riferimento, di un interscambio tra il “mouvement” e le soggettività politiche.
L’assenza di soggettività politiche in grado di fornire interlocuzione, proposta, sintesi, rappresentanza, ed anche organizzazione appare del tutto esiziale in questo senso: una “débâcle” storica cui contribuisce la già citata, e apparentemente irreversibile, totale afasia dei sindacati maggioritari.
Sta in questo punto la diversità della situazione nei Paesi d’Europa già citati: in Francia, in Grecia, in Spagna, in Portogallo, pur con contraddizioni stridenti e difficoltà molto importanti, questo “scambio” tra movimenti e soggettività politiche è ancora possibile.
Naturalmente contribuisce a questo stato di cose il tentativo in atto (forse il più importante che sta portando avanti la controffensiva reazionaria in corso, accelerata dall’entrata in carica del governo Renzi) di cancellazione del concetto stesso di “rappresentanza politica” che, in Italia, assume un aspetto molto specifico riguardo alla realtà che, da questo punto di vista, si era sviluppata attraverso l’applicazione del dettato della Carta Costituzionale che oggi si pensa invece di cancellare, soprattutto sotto quest’aspetto legittimando, alla fine, una sostanziale riduzione dei margini di agibilità democratica attraverso il presidenzialismo e lo svuotamento di funzioni, già in uno stadio molto avanzato, dei consessi elettivi, dal Parlamento ai Consigli Comunali (abolendone anche tout court qualcuno: Senato, Consigli Provinciali, consigli circoscrizionali, un bel po’ di consigli comunali andando all’accorpamento delle situazioni più piccole e più deboli, quelle che avrebbero maggior bisogno di rappresentanza politica).
Tutto questo processo, naturalmente scandito nel tempo e sviluppatosi a tappe, ha avuto però, sul versante della sinistra italiana che è quello che interessa in questa sede, un punto di svolta: la partecipazione di Rifondazione Comunista al Genoa Social Forum, in occasione del G8 del 2001 a Genova.
Sotto quest’aspetto le responsabilità del gruppo dirigente di Rifondazione Comunista sono enormi: non tanto per il deficit di analisi attraverso il quale si obliò la specificità del rapporto movimento/politica in Europa per acconciarsi a modelli diversi in nome di una acritica subalternità all’idea della globalizzazione dominante e non solo per l’aver privato, oggettivamente e fin da quel punto, il movimento di quella possibilità di essere strumento di partecipazione politica cui si è già accennato.
Soprattutto però la tragica responsabilità del gruppo dirigente di Rifondazione Comunista è stato quello di coprire, attraverso una mossa che oggi non può che essere giudicata di stampo meramente populista, una operazione di governo che si sarebbe rivelata, attraverso una giusta applicazione della legge del contrappasso, del tutto esiziale per la vita stessa del partito.
Il sistema politico italiano è stato così privato, da una operazione a tavolino, del giusto equilibrio fornito da una opposizione di sinistra coerente sui valori e sui progetti di fondo (lasciando, tra l’altro, spazio agli attuali cascami del “nuovo centro sinistra” e dell’antipolitica attraverso i cui principi basilari si è formato prima il Movimento 5 Stelle e adesso si sta formando la lista Tsipras) e i movimenti sociali di una possibilità di rappresentanza vera e concreta.
Ci sarebbe da meditare a lungo, in ispecie quando si assiste alla sofferenza quotidiana di milioni di persone tutto pare supinamente accettato o ridotto a materia di chiacchiericcio televisivo.
Quanto l’apparire nel chiacchiericcio televisivo abbia poi influito sulla situazione appena descritta potrà essere oggetto di analisi successiva.
Per adesso punto e basta, con grande amarezza.

Franco Astengo

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