">
il pane e le rose

Font:

Posizione: Home > Archivio notizie > Comunisti e organizzazione    (Visualizza la Mappa del sito )

Ricordando Stefano Chiarini

Ricordando Stefano Chiarini

(6 Febbraio 2007) Enzo Apicella
E' morto Stefano Chiarini, un giornalista, un compagno,un amico dei popoli in lotta

Tutte le vignette di Enzo Apicella

PRIMA PAGINA

costruiamo un arete redazionale per il pane e le rose Libera TV

SITI WEB
(Memoria e progetto)

I 99 ANNI DI PIETRO INGRAO (con uno stralcio d’intervista rilasciata a Rossana Rossanda nel 1990).

(30 Marzo 2014)

99pietro

Oggi 30 Marzo compie 99 anni Pietro Ingrao, autorevole esponente della sinistra comunista, protagonista della Resistenza, direttore dell’Unità, Presidente della Camera, Presidente del Centro di Riforma dello Stato, deciso oppositore della “svolta” che portò tra il 1989 e il 1991 allo scioglimento del PCI.
Come ricorda oggi Aldo Garzia, in un articolo pubblicato dal Manifesto: “Il nome di Ingrao, innovatore per eccellenza, conservatore solo quando si trattò di sciogliere il PCI, è spesso legato all’analisi puntuale delle trasformazioni del capitalismo italiano, alla sollecitazione della democrazia partecipativa, allo studio sistematico del potere negli enti locali, alla riforma delle istituzioni e – dagli anni ’80 – alla crisi degli Stati – Nazione e all’affacciarsi sulla scena dell’Europa politica, come ipotesi”.
Più avanti, però, nello stesso articolo Garzia ricorda l’episodio forse più significativo della vita politica di Ingrao, allorquando nel corso dell’XI congresso del partito nel 1966 (il primo dopo la scomparsa di Togliatti) mise in discussione le fondamenta del concetto del “centralismo democratico”: “in quell’occasione Ingrao pose il problema del pluralismo interno e della liceità del dissenso legandolo a un’altra lettura delle modernizzazioni che attraversavano l’Italia: il suo intervento, applauditissimo, è passato alla storia per quel “non mi avete convinto”, contiene però una vera e propria analisi alternativa a quella imperante in quegli anni nel Partito e andrebbe riletto in quella chiave”.
Nell’occasione abbiamo ritenuto utile ripubblicare , partendo dalla premessa, alcune domande dell’intervista rilasciata da Pietro Ingrao a Rossana Rossanda e pubblicata dal Manifesto il 21 Febbraio 1990. Ci troviamo nella fase più acuta dello scontro politico sulla proposta di Occhetto di scioglimento del PCI. Abbiamo scelto, oltre all’introduzione generale scritta da Rossanda, due domande riguardanti proprio il “cuore” di quella battaglia politica e delle valutazioni che lo stesso Ingrao stava sviluppando sulle posizioni maggioritarie favorevoli allo scioglimento.

Da “Il Manifesto” 21 Febbraio 1990
Stanco, ma come ringiovanito, da vero animale politico, per il rientro in campo, Pietro Ingrao è pronto a rispondere a duemila domande, per poi rifletterci, a dubitare, a correggere, a precisare.
Siamo a quattro mesi dalla caduta del Muro di Berlino e poco dopo dalla scelta di Achille Occhetto di cambiare nome al partito.
Il PCI si avvia a un congresso, diviso in tre mozioni, quella di Ingrao è la 2 e rifiuta sia il cambiamento proposto da Occhetto, sia le sue implicazioni.
Parliamo mentre arrivano dalle federazioni gli ultimi dati sulla percentuale ottenuta dalla mozione del “No”; “siamo al 34%, finiremo circa a un terzo dei voti”.
E’ andata meglio del previsto, anche se vede con preoccupazione la scarsa partecipazione al dibattito (“ e la nostra presenza ha allontanato l’emorragia silenziosa).
La sua è una scommessa storica del tutto controcorrente, quella di confermare – ancora un’eccezionalità del “caso italiano” – un’area politica “comunista”.
E non per salvaguardare, come dice Bobbio, dell’utopia o uno “spazio della speranza”; ma perché non crede che ci sia altro modo per guardare in faccia, senza rimuoverla, la storia dei socialismi reali, di riaprire almeno un punto di teoria utile per le contraddizioni “centrali” del capitale, ma soprattutto di coniugare al presente, nel nuovo e in concreto, un far politica non formale.
Non sta salvando il passato e una memoria; è convinto che per capire l’oggi e per starvi dentro occorre leggere da comunista lo sconvolgimento in atto in Europa e proporre da comunista un intervento sulle cose di casa nostra e del continente.
Non lo interessano gli spiccioli della politica.
Fuori dal mondo teme che resti il “suo” partito, tema una “arretratezza, un provincialismo” nel valutare quel che sta accadendo, la tentazione di andare a “gesti salvifici” e a perdere ancor di più il polso della società.
Non è nervoso, non è moralista, non sottovaluta l’importanza delle domande che stanno al fondo di risposte che non condivide…

……..

Rossanda: Che cosa rimproveri di più alla linea della maggioranza di Occhetto?
Ingrao: L’analisi arretrata e tutto sommato provinciale, sia pure con interne differenze. Lo verifichi negli sconvolgenti processi dell’Est: l’essenziale sembra, a questi compagni, cancellare la “macchia dell’abito” come ci chiedono gli avversari. E’ quest’assillo che oscura l’aspetto decisivo, che è capire perché avvengono, o cosa fare, in un’Europa, e non solo all’Est, sconvolta dalle rivoluzioni a Berlino, a Mosca, a Baku. Anche prima di esse l’iniziativa di Gorbaciov ci coglieva sempre impreparati. Guarda la questione tedesca, ma nozione del “Sì” presentata il 20 Dicembre, dice “l’unificazione tedesca non è all’ordine del giorno”. Non m’importa far le pulci a un testo: noto con preoccupazione il ritardo di analisi e la conseguente debolezza delle proposte.
……..
Rossanda: c’è un punto nel quale la proposta di Occhetto mi sembra andare incontro a un’opinione diffusa, incerta nella sua collocazione, ma che non sopporta la degradazione del sistema politico, la sua corruzione e inefficienza, l’affogare di ogni progetto in affarismo e scandalo. “Magari poco, ma con efficacia e trasparenza” è una domanda autentica.
Ingrao: Sì e credo di capirla; ho lavorato per decenni sulle istituzioni nel parlamento e fuori. Ben venga una richiesta di efficienza e di pulizia dello Stato, Ma vedi, anche qui c’è un punto di analisi su cui sarebbe utile confrontarsi. A una lettura del “blocco del sistema politico” tutta interna all’analisi delle forze politiche io non credo. Non ci credo in generale e nello specifico. In generale perché non credo a uno Stato che starebbe “sopra” alla società come “caciocavallo appise” e nello specifico perché in questi ultimi dieci anni il rapporto tra gli oligopoli finanziari e industriali e gli apparati dello Stato si è rafforzato, e l’intreccio va ben oltre il terreno delle politiche strettamente economiche come la finanza pubblica e il fisco, Prendiamo l’informazione, campo decisivo per la modernità: attraverso di essa si definiscono livelli di consenso, immaginario collettivo, consumi, stili di vita. Finanza e industria agiscono in questo campo per vie dirette (sostituendo momenti prima agiti da altri soggetti religiosi, familiari, di Paese, ecc.) per vie statali (condizionando le decisioni pubbliche, vedi lo stallo delle leggi anti-trust malgrado i moniti della Corte Costituzionale) e attraverso il controllo del ceto politico. O ci misuriamo su tutti e tre questi livelli di dominio e non otterremo nulla. Come vincere lasciando muti e assenti milioni di utenti e dispersi gli operatori del settore? Prendendosela con Berlusconi il cattivo, o il cattivo Craxi che lo sostiene, senza mettere in campo attraverso le leggi anti-trust, le forze che essi ledono? Un’iniziativa puramente “politica” è più fragile oggi di ieri. Perché la tanto invocata riforma delle istituzioni sta crollando miseramente? Non solo perché si procede a pezzi e bocconi, ma perché le istituzioni né reggono, né cambiano senza soggetti e attori sociali. Lo stesso vale per la strategia dei diritti: parliamoci chiaro, dare diritti ad alcuni significa togliere poteri ad altri, l’operazione non è a somma zero.
…….
Rossanda: Tutta la tendenza della cosiddetta società civile va verso la frammentazione. Perché subisce la crisi delle ideologie, enfatizzata dall’attacco apparentemente anti-ideologico del neoliberismo dominante, ma anche per buoni motivi per riprendere in mani senza deleghe un’iniziativa concreta. Questo può spiegare l’attenzione a forme di aggregazione più limitate di un partito, come i clubs di cui si parla.
Ingrao: I clubs sono ancora una cosa incerta. Fino a ieri, per quel che ne so, alcuni di essi sembravano formati da gruppi d’intellettuali che si candidavano a essere consiglieri del principe. Oggi, mi pare che da parte di molti il discorso sia diverso. Si pensa a gruppi attivi in politica e in società, protagonisti compartecipanti di una nuova, anche se indefinita, formazione politica. Ma le identità sono molto diverse: c’è chi crede ancora in quella forma di soggettività politica che è stata da noi il partito di massa, rinnovato e chi la respinge in radice. La contraddizione sembra profonda. Ma non la si risolve limitandosi a dire: basta con il comunismo. Nono solo perché il movimento comunista in Italia non è un “cane morto”, e bastano a dimostrarlo le cifre del congresso, ma perché il bisogno di trasformazione, di non rassegnazione sta non solo nella testa dei compagni del “no” ma anche in molte teste che hanno detto “sì” al segretario. E poi, che vuol dire: basta con i fini che ci ponevamo in passato, condanniamoli, separiamoci? In politica l’essenziale non è quel che si smette di essere, ma quel che si sarà domani, con tutti i rischi e i dolori delle scelte.

Redazione Perchè La Sinistra

6697