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UNA RIFLESSIONE: RITORNO DELLA GEOPOLITICA E DELLE CONTRADDIZIONI PRINCIPALI

(7 Aprile 2014)

Nel corso di questi ultimi anni abbiamo verificato l’evolversi di nuove dimensioni dell’agire politico, sviluppatesi in particolare in Occidente, poste in relazione a profondi mutamenti avvenuti sul piano dell’innovazione tecnologica, della struttura della società e della modificazione nel rapporto tra gestione del potere da parte delle classi dominanti e il concetto di rappresentatività politica.
E’ stato analizzato il fenomeno di una globalizzazione economica velocizzata al massimo dall’uso di nuove tecnologie, sono sorti movimenti testi a contrastarne gli effetti più dirompenti al riguardo delle stridenti diseguaglianze sociali che – a livello planetario – questo fenomeno ha provocato, hanno acquistato grande peso quelle contraddizioni definite post –materialiste “in primis” quella ambientale, si è sviluppato fortemente dalla parte della finanziarizzazione il ciclo di gestione capitalistica, la “politica” è stata sempre più esercitata nel segno del “comando” e dell’intervento sulle sfere della vita quotidiana, dando origine a due punti di presunta novità proprio nell’esercizio stesso della funzione politica nel senso della “biopolitica” e della cosiddetta “democrazia del pubblico”.
Appare lontana la possibilità di cimentarci ancora con l’interrogativo di fondo che aveva attraversato gli anni’50-’60 al momento dei più forti fronteggiamenti ideologici: libertà o eguaglianza?
Addirittura, sulla spinta della fine dell’esperienza sovietica, il tema dell’eguaglianza appariva ormai come accantonato e si parlò, da parte di politologi conservatori come Fukuyama e Huntington di “fine della storia” e addirittura di unico confronto possibile quello dello “scontro di civiltà” tra l’Occidente e l’Islam.
Del resto questo esito di trionfo dell’ideologia capitalista travestita da non-ideologia, era apparso possibile grazie all’egemonia assunta dal concetto neo-liberista insito nella ventata conservatrice propiziata dall’offensiva di Reagan negli USA e di Margaret Tachter in Gran Bretagna: USA e Gran Bretagna che si dimostravano ancora una volta dopo la fine della seconda guerra mondiale i paesi-guida nell’economia e anche nella riflessione politica, campo nel quale il sociologismo di marca USA pareva ormai sopravanzare l’idealismo del modello renano
Non si dispone, in questa sede, per evidenti ragioni di economia del discorso della possibilità di analizzare a fondo i punti di contrasto che pure ci sono stati rispetto all’emergere dello stato di cose fin qui descritto: fatto sta però che l’egemonia neoliberista si è imposta modificando profondamente gli equilibri politico- sociali in particolare nell’Occidente (ma spostando anche i termini di confronto politico a livello planetario) e l’opposizione (nell’allineamento fatto segnare dai partiti socialisti europei, da Blair a Schroeder fino, in Italia, allo scioglimento di PCI e PSI) interpretata secondo i canoni globalisti di Porto Alegre o del “popolo di Seattle” via, via è ripiegata nell’ambito di una contestazione “normalizzata”, della quale fanno parte anche gli “Occupy Wall Street” e gli “Indignados” spagnoli, tanto per fare esempi concreti.
In concerto con l’affermazione neoliberista abbiamo avuto lo smarrimento della percezione stessa del persistere del peso sociale di quella che è stata definita come “contraddizione principale”, quella tra capitale e lavoro che la vulgata marxista aveva dichiarato come “contraddizione di classe”.
A contribuire a quest’esito hanno concorso altri fattori come l’emergere, nell’Occidente sviluppato ma con tentacoli ben estesi a livello globale, di un “individualismo consumistico” che ha assunto aspetti frenetici al punto da assurgere quasi a ideologia come “falsa coscienza”; il tema dell’ambiente, non affrontato dal capitalismo, in termini di trasformazione della produzione saltando l’interrogativo degli anni’70 “come produrre e per chi produrre”?, la sopraffazione di qualsiasi idea concreta di decolonizzazione sostituita dalla rapina sistematica di grandi aree dell’Africa, dell’Asia, della stessa America al Centro e al Sud mettendo in moto un gigantesco fenomeno di immigrazione di massa, verso il quale è stato smarrito completamente un altro cardine dell’agire politico della sinistra, quello che- sbrigativamente, per intendersi, può ancora essere definito come “internazionalista”.
Un terzo punto sul quale aprire la riflessione riguarda il mutamento del concetto di guerra dall’epoca del superamento della logica dei blocchi e dell’avvento di una sola superpotenza, gli USA, garante della pace nel mondo in qualità di”superpoliziotto”.
A parte il persistere di guerre locali, alimentate in gran parte per ragioni di approvvigionamento energetico, il fenomeno della guerra ha assunto nel corso dell’ultimo ventennio il carattere della “esportazione di democrazia” e dello “intervento umanitario”: colossali mistificazioni, buone soltanto a mantenere a un livello costante e molto elevato la produzione bellica e a salvaguardare la detenzione del potere tecnologico nelle mani – appunto - dell’’unica superpotenza rimasta, come fa notare Noam Chomsky in uno dei suoi ultimi lavori.
Intanto si cercavano di spostare gli assi di riferimento dell’economia internazionale con la crescita di nuovi giganti nella produzione, dalla Cina al Brasile, all’India che irrompevano così sulla scena dell’esportazione mondiale creando anche l’idea di un contrappeso politico (i cosiddetti BRICS). In realtà il livello di irruzione sui mercati a livello globale da parte di questi paesi non si è realizzato in quanto, per ragioni di origine della produzione, la loro capacità di intervento è rimasta comunque provinciale.
Così come l’Unione Europea costruita su di un rigido meccanismo di tipo monetarista sulla base di successivi trattati (da Maastricht a Lisbona) e priva di un effettivo peso politico, ha finito con il provocare grandi divisioni al suo interno tra Nord e Sud (con la creazione dei cosiddetti PIGS, paesi mediterranei sostanzialmente insolventi rispetto alle regole dell’Unione) ed esaltare le capacità di esportazione della Germania, mentre la Gran Bretagna continua a rimanere isolata rispetto alla “zona euro”.
In questo quadro schematicamente riassunto si sono verificati in Occidente, sul piano più strettamente politico, alcuni fenomeni molto importanti: sul piano generale la messa da parte del concetto di geopolitica (se ne discusse molto negli anni’90 del secolo scorso) aveva fatto accantonare del tutto l’idea internazionalista sopravvissuta soltanto all’interno di gruppi minoritari dalla forte identità ideologica, in Occidente si è verificata la completa dismissione dell’identità da parte dei partiti socialisti e socialdemocratici (compreso il PDS, poi DS italiano, che proveniva da una storia affatto diversa) con un passaggio di questi nel campo liberista (certo con contraddizioni, ma nella sostanza della schematicità di un intervento di questo tipo il giudizio di fondo non può che essere quello appena pronunciato) e la marginalizzazione, non solo elettorale ma soprattutto di radicamento sociale, delle forze rimaste antagoniste, soprattutto di quelle di matrice comunista costrette a nascondersi, in pratica, in Francia, in Spagna, in Italia , in Grecia all’interno di generiche alleanze “di sinistra” (salvo residualità quali il KKE greco legate davvero a uno schema teorico – politico del tutto tramontato).
Si insiste qui a descrivere la situazione in Occidente esprimendo una convinzione di fondo, soprattutto per le ragioni che adesso saranno descritte, è ancora qui, da questa parte del mondo che si giocano i destini complessivi della politica a livello globale e delle giovani generazioni: è una convinzione profonda che si intende esprimere in questa occasione, pur avendo presente e non trascurando ciò che accade a tutte le latitudini.
Una convinzione che deriva da due punti di analisi: 1) la globalizzazione, così com’era stata intesa negli ultimi 20 anni si è arrestata; 2) così come appare in ritardo, rispetto alle previsioni, quella possibilità di cessione di sovranità dello “Stato – Nazione” che pure era stata considerata alla base di ipotesi politiche d grande portata come quella della costruzione dell’Unione Europea.
Nel frattempo, nel corso degli ultimi anni se non degli ultimi mesi, si sono verificati alcuni fatti di grandissimo rilievo:
1) Dalla crisi del sub prime statunitensi del 2008 in avanti la gestione capitalistica del ciclo ha inteso riaffermare per intero la propria egemonia ristabilendo, rispetto alle classi lavoratrici dell’Occidente, rapporti di forza che sbrigativamente possono essere definiti, a livello di intensificazione dello sfruttamento e della precarietà del lavoro, da anni’50. Questo fattore ha portato a un impoverimento generale comprensivo di classi che potevano definirsi come “medie” in un quadro di appiattimento generale nelle condizioni di vita, piuttosto che di antica proletarizzazione. Per questo motivo al riproporsi di condizioni “classiche” di ripresa della centralità della “contraddizione principale” non sono seguite adeguate forme organizzate di conflitto portate avanti nel nome della “lotta di classe”;
2) Si è verificata un’improvvisa (ma non troppo) ripresa dei disegni imperiali da parte della Russia, in conclusione della fase di smarrimento seguita alla fine dell’Unione Sovietica. Questo fattore può riportare rapidamente il globo a una ripresa della logica dei blocchi, fronteggiandosi appunto di nuovo le uniche due superpotenze possibili. I fatti di queste ultime settimane, legata alla crisi dell’Ucraina e all’annessione della Crimea, e le corrispondenti reazioni americane esternate dal presidente Obama nel corso della sua ultime visita in Europa, testimoniano sicuramente di questo stato di cose. E’ così tornata, per dirla in gergo, la “geopolitica” e si stanno spostando gli assi delle relazioni internazionali con il pericolo di esplosione di importanti conflitti locali (Cina/Giappone ad esempio) di ripresa del colonialismo in Africa (con la Francia già osservata alacremente all’opera in questo senso) e di “chiusura” di una certa logica “globale” nei mercati internazionali. Intendendoci bene su questo ultimo punto: gli intrecci affaristici ci sono tutti e molto complicati, non è il caso quindi di affettare giudizi particolarmente asseverativi ma di tentare di individuare concrete e credibili linea di tendenza.
3) E’ radicalmente mutata, come si sosteneva anche all’inizio, la qualità e la determinazione dell’agire politico con uno spostamento di rapporto tra l’economia e la politica stessa, una funzione diversa più immediata e diretta della tecnocrazia nella gestione delle politiche pubbliche, di una nuova esposizione (soprattutto a livello mediatico) del personalismo che punta a svuotare il concetto stesso di rappresentatività politica, e il ruolo dei consessi elettivi, costruendo una sorta di “democrazia diretta” i cui meccanismi appaiono soltanto utili a suffragare, plebiscitariamente, il “leader” annullando la mediazione sociale dei corpi intermedi (primi fra tutti, colpiti in questo modo i sindacati ma anche le stesse associazioni imprenditoriali). Questi elementi risultano essere sicuramente comuni in tutto l’Occidente, ma si sviluppano con particolare efficacia in Italia, data la natura specifica di alcuni punti di partenza, in particolare relativi all’origine del nostro sistema politico all’indomani della seconda guerra mondiale.
Come può essere conclusa questa lunga, eppur affrettata analisi?
Quali indicazioni possibili per una sinistra alternativa,cui pure queste note sono indirizzate, che intenda ancora operare in Italia ponendosi davvero in relazione con le grandi questioni dello scenario internazionale?
Si tratta di prendere atto di alcuni elementi molto precisi:
a) Il rallentamento nel processo di cessione d sovranità dello “Stato – Nazione” e la possibile ripresa sul piano complessivo della “logica de blocchi” portano alla necessità d costruzione di una soggettività politica capace di esprimere anche e principalmente una propria “dimensione nazionale” pur nell’ambito di una Unione Europa all’interno della quale porre non soltanto il tema della rottura dei Trattati (com’è indispensabile fare) ma anche del ruolo rispetto al nuovo quadro geopolitico del mondo. Questioni come quella della pace, del disarmo, della neutralità dell’Europa assumono così una valenza fondamentale;
b) Il riproporsi urgente del tema della “contraddizione principale” e l’estensione della consapevolezza di quest’esigenza a livello internazionale chiamano a due considerazioni: la prima relativa ai riferimenti sociali che non possono che essere – in via prioritaria e senza l’espressione di alcun “settarismo di classe” o di chiusura operaista–quelli del mondo del lavoro dipendente e del gran numero di disoccupati. Questi richiami teorici ci pongono però di fronte, come secondo punto, al tema dell’identità del soggetto di cui intendiamo proporre la costruzione ex-novo, tenuto ben conto in Italia, di un tema che fin qui non è stato affrontato: quello del fallimento, sul piano teorico, politico, organizzativo ma anche ideale e morale dei soggetti che si definiti “sinistra radicale”. Fallimento suffragato dalla partecipazione subalterna a governi borghesi avvenuta proprio in una fase, che continua, nella quale s riducevano gli stessi margini possibili di uno spazio e di un ruolo del riformismo. Si è così smarrita identità, autonomia, consapevolezza politica del proprio “essere”. Per quei soggetti che cercando di rimanere in piedi attraverso improbabili coalizioni elettorali e partecipazione a giunte comunali e regionali è ormai venuto a mancare proprio “l’ubi consistam”. Nella sostanza se l’identità del soggetto non può che essere legato alla prospettiva anticapitalista nella realtà italiana i riferimenti storici e teorici non potranno essere altri che quelli del riferimento all’elaborazione, complessa, da recuperare e innovare, della sinistra comunista italiana, cui nel seguito al processo di scioglimento del PCI non si è riusciti a fornire un minimo di dignitosa continuità. Naturalmente ci sarà bisogno di altri apporti, da altre visuali critiche in particolare legate all’analisi delle cosiddette contraddizioni post-materialiste (pensiamo all’ambientalismo, alla differenza di genere, al tema dei diritti civili e delle libertà individuali). Come ha scritto efficacemente Lucio Magri nel suo “Sarto di Ulm” potrà però essere soltanto all’interno della prospettiva comunista che queste contraddizioni potranno essere risolte in una sintesi di proposta di società alternativa;
c) Infine, il tema spinoso dell’azione politica, dell’organizzazione, della presenza nelle istituzioni. E’ necessario essere chiari su di un punto: è necessario un partito, un partito che tenga conto nelle sue modalità organizzative di tutti gli elementi di novità intercorsi sul piano tecnologico e dell’agire sociale intervenuti nel corso di questi anni (primo fra tutti l’utilizzo degli strumenti di comunicazione di massa, principalmente del web) ma che, indipendentemente dai numeri di partenza, esprima una vocazione verso la dimensione dell’integrazione di massa e si doti di strutture dirigenti e organizzative a livello centrale e sul territorio in quella dimensione, riprendendo anche una capacità di funzione pedagogica, di informazione, di conoscenza strettamente connessa in un rapporto di vero interscambio con la complessa realtà delle lotte sociali, innervandole e ricevendone – al contempo – nerbo. La concezione della democrazia sarà il confine dell’autonomia politica di questo soggetto, rifiutando in toto i concetti della personalizzazione, del presidenzialismo, dell’idea maggioritaria, e della governabilità intesa quale fine esaustivo dell’azione politica. Vale ancora, per questa fase storica il disegno di democrazia repubblicana elaborato dall’Assemblea Costituente . E’ evidente che, a questo punto, l’unica possibilità di posizionamento all’interno del sistema politico italiano è quello di una sinistra d’opposizione per l’alternativa, senza concessione alcuna a idee di ripresa di un centrosinistra che non esiste più comunque ,ed esprimendo per intero la propria identità autonoma nella funzione di esercizio di una vera e propria egemonia, intesa nel pieno senso gramsciano del termine.
Si affidano queste note, sicuramente incomplete e molto confuse, al dibattito tra le compagne e i compagni in un’idea di serio avvio di una fase costituente per quel nuovo soggetto politico per il quale è necessario sentire un kantiano “imperativo categorico” nella necessità di costruzione.

Franco Astengo

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