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ETICA, ESTETICA: LO STRIDERE DELLE CONTRADDIZIONI

(18 Aprile 2014)

Poche sere fa, in una anonima sede politica, lontano, alla periferia dell’impero non si è discusso di liste elettorali o di distribuzione di poteri ma, appassionatamente, dei destini del mondo, del confronto tra le grandi contraddizioni.

Se cioè, al centro non ci fosse ormai la “contraddizione post-moderna” dell’esaurimento dei margini del dominio del genere umano sulla natura oppure permanesse la centralità di quella che è stata definita “contraddizione principale” riguardante lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

E come la risoluzione della prima (dando per scontato il superamento del “classico” schema elaborato da Stein Rokkan) non stesse dentro la risoluzione della seconda, con il superamento del capitalismo e la trasformazione del modo e delle finalità del produrre: da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni.

La discussione si è addentrata nella ricerca dei meccanismi possibili d’intreccio tra le due contraddizioni da realizzarsi attraverso la “politica”.

Allora sono state analizzate tutte le distorsioni della politica fattasi potere e da potere a dominio nella sua forma più evidente: lo Stato.

L’analisi ha così riguardato le varie forme di dominio fattesi Stato attraverso l’azione politica e con grande vigore, è stata criticata, giudicandone impossibile una qualche riedizione, l’inveramento statuale realizzato attraverso alcuni fraintendimenti novecenteschi dell’etica marxiana: quello che è stato, tanto per intenderci al meglio, il cosiddetto “socialismo reale”.

Una critica molto più netta, è il caso di sottolineare, di quella che ha investito, nell’occasione, i cosiddetti regimi liberal-democratici, con le loro deviazioni colonialiste, razziste, totalitarie.

Agli autori di quei “fraintendimenti dell’etica marxiana” che hanno dato origine agli inveramenti statuali del ‘900 forse il rimprovero più severo che, forse inconsciamente, i partecipanti alla discussione (recuperando tra l’altro, termini ormai del tutto desueti come “capitalismo di stato”) rivolgevano era quello del “tradimento dell’Utopia”. Dimenticando che U-topos significa “luogo che non c’è”. Se non c’è, però è soltanto perché non lo si è trovato e, dunque, bisognerebbe continuare a cercarlo, senza far sfoggio di ottimismo ma anche al di fuori dal ripiegamento da un pessimismo passivo.

In esito a questa discussione, preso atto delle grandi difficoltà di espressione delle grandi ideologie che hanno caratterizzato ‘800 e ‘900, forse è il caso di riflettere su alcune categorie probabilmente non analizzate a sufficienza, fin qui, esaminando – appunto – la materialità del crollo di molte parti dell’ “involucro politico” dentro al quale abbiamo vissuto le nostre esistenze di militanti.

“L’agire politico”, ben oltre le regole dettate dalla politologia ufficiale, appare ancora stretto nel confronto tra l’etica e l’estetica.

Da un lato il rapporto tra l’estetica e la politica, che appare oggi – almeno nell’Occidente capitalistico sviluppato – quello prevalente anche in relazione allo sviluppo di una certa innovazione tecnologica destinata a stravolgere l’utilizzo dei mezzi di comunicazione.

L’estetica intesa come “visibilità” del fenomeno politico portato nella dimensione pubblica.

Meglio ancora, nell’esercizio di riti collettivi e consensuali portati alla mostra della scena pubblica.

La prospettiva è quella della teatralità della scena politica e il ruolo di “attori” degli agenti politici.

Si valorizza l’aspetto ludico del politico, nel senso del non utilitaristico, l’agire comunicativo in luogo di quello strategico.

Una “forma del politico” armoniosa e composta nella cornice da un conflitto al più agonistico: laddove anche la più stridente contraddizione rimane “sovrastruttura” e il pubblico può essere oggetto soltanto di un processo di gigantesca “rivoluzione passiva” (altri più pratici scriverebbero: le pecore al pascolo).

Un’estetica il cui obiettivo è quello dell’anestetizzazione del “dolore sociale”.

Il confronto, però, a questo punto non può davvero che essere tra l’estetica e l’etica: l’etica intesa come il termine che designa le regole della condotta umana relativamente alla sfera del dovere, di ciò che è giusto/lecito fare, contrapposto a ciò che è ingiusto e/o illecito.

E’ soltanto l’etica che può consentire di guardare alla politica attraverso un costante confronto critico.

La nostra tradizione ci dice , però, che i rapporti tra etica e politica non sono necessariamente conflittuali, perché l’etica può ricevere una incarnazione teorica nello Stato (Hegel) o nella classe oggettivamente rivoluzionaria (Marx): nelle forme, cioè, che apparivano mature nel divenire storico.

Come abbiamo visto, seguendo anche il dibattito tra quei militanti in quella lontana periferia dell’impero, l’esito del ‘900 ha dimostrato che il nodo teorico non è stato risolto.

Un nodo che riguarda ancora la dimensione etica degli scopi del “governo”, poiché proprio l’esito del ‘900 ha posto il problema di verificare fin dove potesse spingersi l’azione di un governo che volesse salvaguardare non solo i diritti negativi (di non interferenza: si può fare tutto quello che non è vietato) dei cittadini, ma anche i diritti positivi, ossia l’estensione a fasce sempre più vaste della popolazione dei diritti di tutela sociale, salute, istruzione, assistenza, fino all’eguaglianza nell’accesso alle risorse disponibili (salvo il grande interrogativo orwelliano, sugli alcuni più eguali degli altri).

L’interrogativo, allora, riprendendo le fila di quella discussione dalla quale questo intervento ha preso le mosse, sarebbe quello: chi espande e tutela i diritti della natura, già così fortemente compromessi dall’antropizzazione esasperata? Come questi diritti della natura possono intrecciarsi, o restare irrimediabilmente conflittuali, con quelli della tensione all’eguaglianza e alla fine dello sfruttamento umano? Come può la politica trasformare questi interrogativi in una nuova “incarnazione storica”?

Le risposte non possono star dentro al vecchio recinto della ricerca sulla priorità delle contraddizioni ma nella ripresa del confronto tra etica ed estetica.

Ricostruire, perché è il caso di ricostruire, l’idea dell’etica pubblica, dell’idea portante che vi siano dei criteri morali cui l’azione pubblica, l’agire politico, che riguarda la conduzione della vita dei cittadini dovrebbe ispirarsi.

Beninteso, ispirarsi non a ideali generici, ma ad un “progetto di società” che riguarda il rinnovato rivolgersi all’Utopia da ricercarsi attraverso il conflitto, inteso come solo veicolo per l’avanzamento delle idee sulle quali fondare l’identità dei soggetti destinati a tramutarli in azione.

Una riconnessione in sostanza tra principi ispiratori e pratica corrente: ciò che oggi sembra proprio essere venuto a mancare anche nelle stesse proposizioni di una filosofia politica unicamente legata all’estetica.

Franco Astengo

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