">
il pane e le rose

Font:

Posizione: Home > Archivio notizie > Comunisti e organizzazione    (Visualizza la Mappa del sito )

L'angoscia dell'anguria

L'angoscia dell'anguria

(24 Luglio 2013) Enzo Apicella

Tutte le vignette di Enzo Apicella

PRIMA PAGINA

costruiamo un arete redazionale per il pane e le rose Libera TV

SITI WEB
(Memoria e progetto)

PRIMO MAGGIO 2014
Per la Rivoluzione - Per il Comunismo

Ad un secolo dallo scoppio della Prima Guerra imperialista - Contro il capitalismo e i suoi preparativi di una terza

(28 Aprile 2014)

IERI
Nel 1914 l’attentato di Sarajevo dava il pretesto a tutti i borghesi Stati d’Europa per scatenare la loro prima guerra imperialista, prevista con due decenni di anticipo da Federico Engels, il quale aveva ammonito come quella mobilitazione di milioni di uomini in armi si sarebbe risolta, senza alcun risultato, in uno sconfinato orribile macello.
Fedeli alla linea di Marx ed Engels, i socialisti dell’estrema sinistra – Lenin, Luxemburg e la Sinistra italiana – tempestivamente denunciarono che la guerra era imposta dagli Dei del Profitto al fine di distruggere la enorme sovrapproduzione di merci, che anche allora si era accumulata, e ad un fine direttamente controrivoluzionario: sterminare una generazione di giovani proletari che in tutti i paesi, coscienti della loro forza di classe, minacciavano i poteri borghesi.
Nonostante questi ammonimenti, in nessun paese di Europa la classe lavoratrice poté opporsi, e fu costretta a marciare e morire per quella prima guerra controrivoluzionaria, a causa dell’aperto tradimento dei Partiti Socialisti i quali, capovolgendo in una settimana tutta la dottrina e le consegne di guerra sociale di classe, chiamarono i proletari alla difesa della patria (ognuno la “propria”) e del militarismo borghese.
La reazione a questo tradimento, con la scissione dei vecchi partiti traditori, riformisti e social-sciovinisti, e la nascita di nuovi partiti rivoluzionari e comunisti, in Europa non poté aversi che passata la bufera della lunga guerra. Generose e determinate sollevazioni operaie, anche armate ed inquadrate, si ebbero nel 1919, in particolare in Germania e in Italia. Nuovo culmine, fino allora mai raggiunto nella chiarezza programmatica del partito, si ebbe, nel 1920, col Secondo Congresso della Terza Internazionale e, in Italia, nel 1921 con la fondazione del Partito Comunista d’Italia. Tappe queste fondamentali dalle quali il movimento non decamperà mai più. Ma giunte, in quei frangenti, troppo tardi per poter dare una efficace direzione politica rivoluzionaria alla classe, che in Italia, e anche in Germania, non fu sconfitta dal fascismo ma disarmata dal gradualismo della sopravvissuta socialdemocrazia, riformista, elettoralista, social-pacifista.
Solo in Russia, ove esisteva da prima della guerra un forte e ben impostato Partito Comunista, fu possibile per la classe operaia capovolgere la guerra imperialista in guerra civile, abbattere il potere statale, instaurare la dittatura del proletariato.
Negli altri paesi, la borghesia, passata la crisi del dopoguerra e mantenuto il potere, si faceva forte su una classe operaia che aveva visto fallire i suoi assalti. Anche sul potere comunista in Russia premeva il peso della sconfitta in Occidente, e presto il partito che fu di Lenin degenerò, con lo stalinismo, in un partito borghese e nazionalista, nonostante si nascondesse sotto false etichette comuniste, espressione di una società capitalista e di uno Stato imperialista in concorrenza con gli altri.
Da allora, quindi, il resto del secolo oggi trascorso è stato segnato dalla controrivoluzione, che solo la Sinistra Comunista italiana, dal secondo dopoguerra organizzata nel Partito Comunista Internazionale, ha avuto la forza di riconoscere, di denunciarne le forme e i miasmi, e di intravvederne la fine. Fuori del partito, il peso di questa secolare controrivoluzione e del debordante prevalere borghese in ogni campo ha stravolto prima e cancellato poi la memoria non solo dei più elementari postulati della rivoluzionaria dottrina marxista, base propria del partito comunista, ma anche degli stessi fini storici della classe operaia, il comunismo e la società senza classi.
Il capitalismo, frattanto, ha continuato ad ingigantirsi, come non può non fare, e ad esasperare tutte le sue contraddizioni economiche, accumulando sempre più ricchezza ad un polo e miseria all’altro. Un’altra grave crisi di sovrapproduzione l’ha colpito nel 1929, poi nel 1938. Di nuovo è dovuto ricorrere ad una guerra mondiale per azzerare, con la forza delle armi, i suoi ipertrofici conti in rosso. Lo Stato russo, ormai pienamente capitalista, al pari degli altri ha gettato i suoi proletari nella seconda guerra imperialista, spacciata per “democratica”, calpestando l’indicazione comunista rivoluzionaria, che fu di Lenin, del sabotaggio della guerra capitalista su tutti i fronti e della sua trasformazione in rivoluzione sociale, come avevano fatto i partiti socialisti allo scoppio della prima guerra mondiale.
OGGI
Nell’arco del secolo, il Capitale, nella sua corsa sfrenata, ha travolto ogni ostacolo alla sua crescita e, penetrato in ogni angolo della terra, anche con la fine del colonialismo ha abbattuto imperi millenari e società patriarcali, ed oggi le sue insegne monetarie, con i loro riflessi di Libertà (di mercato) e di individuo libero (di vendersi come salariato), sono ovunque accettate come “naturali”. La Cina, nonostante la verniciatura in rosso, ha al potere la borghesia, è già un grande capitalismo e si accinge a divenire il massimo imperialismo mondiale. Il capitalismo di nuovi grandi nazioni incalza da vicino i vecchi centri dell’imperialismo mondiale, che fondano ormai la loro forza più sulla loro residua potenza finanziaria, e per gli Usa sull’apparato militare, e sempre meno sulla produzione di plusvalore e sul dominio commerciale del mercato mondiale.
Una gigantesca rivoluzione è quindi avvenuta nella gran parte del mondo, da un lato con la rovina feroce di classi contadine e piccolo produttive antiche, dall’altro con la loro trasformazione in salariati, concentrati in mostruosi agglomerati urbani. Questo di solito ha comportato un certo progresso nelle loro miserrime condizioni di vita. Anche la classe lavoratrice in Occidente per breve parte di questo dopoguerra ha potuto trarre alcuni effimeri vantaggi dall’espansione universale del capitalismo. Oggi in tutti i continenti il capitale si trova davanti e deve affrontare una sconfinata classe operaia.
Dal 2008 il capitalismo mondiale è tornato a precipitare in una irrisolvibile crisi di sovrapproduzione e si dimostra incapace di continuare la sua espansione, che, mostruosamente, gli è necessaria per poter sopravvivere. Nella contesa per gli asfittici mercati e per sostenere il declinante saggio del profitto al capitale si impone la riduzione dei costi, in particolare quello della forza lavoro. Assistiamo quindi ad un generale attacco economico alla classe operaia, costretta a salari ridotti, orari e ritmi accresciuti, prolungamento della vita lavorativa, con una conseguente crescita della disoccupazione.
In questa guerra sociale, economica e politica, costantemente e quotidianamente combattuta fra le opposte classi, il proletariato si sta rendendo conto che non dispone di alcuna delle sue armi migliori: non ha un sindacato che lo organizzi, non ha un partito che lo diriga. Infatti, la generalità dei sindacati in tutti i paesi hanno ormai accettato e fatti propri i dogmi borghesi della produttività, della concorrenza fra aziende, della solidarietà nazionale; e i cosiddetti partiti operai vantano il loro patriottismo e la fedeltà alla democrazia, che è la maschera della dittatura del capitale. Nessuno proclama la difesa incondizionata della classe operaia, se non all’interno delle “compatibilità” del Capitale. La ripresa in grande della combattività e della forza operaia si manifesterà quindi nella rinascita di veri sindacati di classe e nella riscoperta del programma rivoluzionario, come formulato dal marxismo autentico di sinistra, e in un risorto unico Partito Comunista Mondiale che se ne faccia la vivente espressione.
DOMANI
La crisi economica mondiale di sovrapproduzione, che dopo sei anni non dà veri segni di soluzione, esaspera quella concorrenza, che l’euforia produttiva sembrava aver attenuato, fra i vecchi imperialismi, e fra i vecchi e i nuovi. Le manovre più o meno lecite del gioco in borsa e della finanza tendono solo ad una ripartizione fra borghesi del plusvalore prodotto dai lavoratori, non possono quindi risolvere la crisi ma solo rimandarla, accrescendo il debito dei privati, delle banche e degli Stati, che però, prima o poi, viene ad esplodere in nuove e peggiori crisi finanziarie.
I regimi borghesi sanno che solo la guerra può permettere al loro modo di produzione di perpetuarsi per un altro ciclo storico con immani distruzioni di beni e di lavoratori. E alla guerra si preparano. Ne è una prova recente la contesa sul posizionamento del fronte militare Usa/Russia in Ucraina. Lo scontro in armi e armati sembra quindi riavvicinarsi alla vecchia Europa, culla insanguinata del capitalismo, della sua ideologia, delle sue rivoluzioni e delle sue prime forme statali, del colonialismo e dell’imperialismo; ma anche della classe operaia, della sua originalissima e folgorante dottrina marxista e delle sue prime, seppur non ancora definitive, vittorie.
La crisi è prima di tutto crisi dei borghesi, crisi del capitalismo come modo di produzione, che ha esaurito ogni suo portato storico progressivo ed ormai è solo un inutile peso sull’umanità lavoratrice, costretta ad uno sforzo accresciuto e ad una insicurezza crescente solo in ubbidienza alla folle religione del profitto.
La borghesia non rinuncerà mai ai suoi meschini privilegi senza esserne costretta dalla forza. Preferirà la guerra. Al proletariato mondiale accettare la sfida: guerra economica in difesa del salario, organizzato in veri sindacati di classe, contro la guerra economica per il profitto della classe borghese; guerra rivoluzionaria di classe contro la guerra fra gli Stati, inquadrato e diretto da un suo unitario e disciplinato partito comunista internazionale.
Noi non sappiamo quanto si potrà prolungare ancora l’agonia della bestia capitalista, ma abbiamo appreso anche dalle lezioni del secolo appena trascorso che gli organi della rivoluzione, Partito, seppure minoritario, e Sindacato, debbono prepararsi per tempo, ben prima del precipitare della crisi rivoluzionaria, per essere riconosciuti ed utilizzati dalla classe. Lavorare oggi, quindi, in piena perdurante controrivoluzione, alla formazione dell’organo politico e dell’organo difensivo della classe operaia è già Comunismo, è già Rivoluzione.

PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

8271