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Sasà Bentivegna, Partigiano

Sasà Bentivegna, Partigiano

(3 Aprile 2012) Enzo Apicella
E' morto ieri a Roma Rosario Bentivegna, che nel 1944 prese parte all’azione di via Rasella contro il Battaglione delle SS Bozen.

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PER NON SMARRIRE LA MEMORIA. ESTATE 1944: LE REPUBBLICHE PARTIGIANE FONDAMENTO DELLA FUTURA DEMOCRAZIA

(6 Luglio 2014)

gisella

Gisella Floreanini

Nella primavera – estate del 1944, esattamente settant’anni fa, nel pieno dell’invasione nazifascista dell’Italia del Nord alcuni avvenimenti di fondamentale importanza gettarono le basi per la futura democrazia repubblicana, il cui avvento sarebbe stato contrassegnato dal voto popolare nel referendum del 2 giugno 1946.
Il 1 marzo 1944 uno sciopero generale bloccò le principali fabbriche nel triangolo industriale Milano – Torino – Genova, in Emilia, nel Veneto, in Toscana: vi parteciparono circa 100.000 operai che sfidarono la feroce repressione tedesca che ci fu e fu tremenda. Fu quella l’occasione nella quale la classe operaia italiana entrò direttamente sulla scena politica, dimostrandosi soggetto ineliminabile nella costruzione di una nuova idea di democrazia, non legata alla continuità del regime pre-fascista.
All’indomani della Liberazione di Roma, 4 giugno 1944, i partiti che componevano il Comitato di Liberazione Nazionale pretesero le dimissioni del governo Badoglio, frutto del 25 Luglio, per sostituirlo con un governo interamente “politico” presieduto da Ivanoe Bonomi.
Soprattutto, però, la “svolta” verso un’Italia democratica e repubblicana non legata all’ancien regime avvenne, nell’estate, con la proclamazione delle Repubbliche partigiane nelle zone liberate: repubbliche che durarono poco tempo, alle quali seguirono i grandi rastrellamenti nazisti e il ripristino dell’odioso dominio straniero.
Il segno, però, era stato lasciato e non si sarebbe tornati più indietro: le repubbliche partigiane avevano dimostrato la capacità di autogoverno e d’impegno democratico delle popolazioni, la loro capacità di esprimere livelli “alti” di rappresentatività politica e di sviluppo dei meccanismi democratici.
Vale la pena, allora, proprio in questi momenti di vera difficoltà per la democrazia sottoposta alla dura prova di una svolta autoritaria in atto di rievocare quella stagione di settant’anni fa.
Andando dunque per ordine.
La diffusione ed estensione del raggio d’azione delle formazioni partigiane, connesse alla rapida avanzata alleata, autorizzarono nella tarda primavera del 1944 a immaginare imminente la Liberazione.
Gli organismi alla guida del movimento clandestino ipotizzarono dunque un percorso insurrezionale che anticipasse e accompagnasse l’arrivo degli angloamericani legittimando militarmente e politicamente la Resistenza.
Viene quindi dato impulso alla lotta, al fine di superare i limiti di una guerriglia concentrata su colpi di mano e sabotaggi e di pianificare un’offensiva di rilievo strategico.
Secondo una direttiva del Corpo Volontari della Libertà del 25 Giugno, tale ciclo operativo deve mirare all’occupazione di paesi e vallate da cui portare attacchi sempre più intensi contro tedeschi e fascisti e deve mobilitare le popolazioni a sostegno della guerriglia.
Tra giugno, avvio dell’espansione partigiana estiva, e settembre, inizio del ciclo dei grandi rastrellamenti, la rete dei presidi della Guardia Nazionale Repubblicana si sgretola, sia per la pressione delle bande partigiane che per la debolezza strutturale della Repubblica Sociale.
Dalla Valsesia all’Appenino emiliano e a quello ligure – piacentino, dalle vallate cuneesi a quelle friulane, le porzioni di territorio liberato via, via aumentavano.
Non si trattava del dispiegamento di un piano organico, quanto piuttosto dell’espressione della forza e della specifica dinamica della guerriglia in determinate aree.
In una prima fase, tra il giugno e il luglio 1944, si conseguì il risultato di un irrobustimento dell’organizzazione militare e si tentò una sperimentazione d’interventi amministrativi ed economici.
Con l’eccezione di Montefiorino, la liberazione dei territori non produsse però zone dal confine chiaramente segnato e militarmente presidiato.
E i provvedimenti di carattere politico, economico, amministrativo facevano capo essenzialmente al comando partigiano, salvo un tentativo a Montefiorino d’istituzione di organi civili, come invece sarebbe accaduto nei mesi successivi.
Quando alcune delle prime esperienze si erano già concluse sotto il contrattacco tedesco e fasciste, altre aree conobbero, infatti, il fenomeno delle Repubbliche libere, dalla Carnia all’Ossola, dall’imperiese alle Langhe e all’Alto Monferrato.
Si estese così, durante l’estate, una spinta propulsiva che si estese fino ai mesi invernali.
Si trattò della seconda fase di questa vicenda che si arricchì di esperimenti di governo di maggiore respiro.
Con il termine “zone libere” si pone in evidenza non solo il presidio militare del territorio, ma anche la realizzazione in esso d’interventi di carattere amministrativo e politico.
Nei territori liberati i comandi militari, infatti, istituirono immediatamente i Comitati di Liberazione Nazionale, talvolta sottoposti anche a verifica elettorale.
I Comitati di Liberazione Nazionale rappresentarono l’elemento di legittimazione delle giunte popolari comunali, che in alcune zone seguirono (Carnia, Alta Monferrato), in altre invece anticiparono (Ossola) la creazione di organismi di governo dell’intera zona.
Oltre all’aspetto della difesa, di competenza dei comandi militari (predominanti nei casi della Valsesia e di Montefiorino) fu la questione dell’approvvigionamento (prezzi, requisizioni, scambi) ad assorbire i maggiori sforzi delle Giunte, che pressoché ovunque si trovarono ad amministrare territorio a economia di sussistenza.
Si trattò di un nodo dirimente del rapporto tra partigiani e popolazioni che assunse sfumature differenti a seconda che le derrate dovessero essere importate (Carnia, Ossola) oppure esportate (in alcune zone del Piemonte).
Significativamente, però, tra le più frequenti misure che furono adottate nelle differenti zone, vi furono il rialzo dei prezzi, così da garantire maggiori utili ai produttori, e la regolamentazione dell’appropriazione di risorse agricole da parte delle formazioni.
Segno evidente della volontà, ma anche della necessità, di contemperare i crescenti bisogni logistici del partigianato con le esigenze essenziali degli abitanti senza infrangere gli importanti vincoli comunitari.
Ciononostante non mancarono i casi in cui si tentarono interventi più complessi come in campo scolastico con l’elaborazione di un articolato progetto di riforma presentato nell’Ossola dal ministro Gisella Floreanini (poi deputata comunista all’Assemblea Costituente) e in campo fiscale, con l’istituzione di un’imposta straordinaria progressiva come avvenne in Carnia, dove si registrarono i provvedimenti socialmente più avanzati.
Pur in condizioni di estrema precarietà l’esperienza delle zone libere e specialmente delle loro espressioni più compiute come nel caso della Carnia e dell’Ossola rivelarono la maturità raggiunta dal movimento partigiano.
Dunque non si trattò soltanto di un fenomeno connesso alla trasformazione delle bande in esercito partigiano, ma anche del manifestarsi di una accresciuta consapevolezza dei contenuti politici e sociali della lotta armata e della traduzione concreta di questa in principi di rinnovamento della democrazia.
In questo senso appare dunque legittimo usare il termine di “Repubbliche partigiane”.
Un termine questo di “Repubbliche Partigiane” importante in due direzioni:
1) Per dimostrare che il movimento partigiano era in grado di cercare, e trovare, in se stesso e nel rapporto con l’ambiente fisico e sociale circostante le ragioni della propria azione e del proprio radicamento;
2) Per prefigurare un’idea di democrazia così forte da impedire il pericolo di un ritorno all’Italia del notabilitato precedente al fascismo oppure, addirittura, dell’instaurazione alla fine della guerra di un nuovo regime “monarchico – fascista” addolcito di tipo salazarista.
Ragioni trovate e pericoli scampati grazie proprio all’esaltante esperienza delle “Repubbliche Partigiane” e della forza ritrovata dalle popolazioni, capaci di superare le grandi stragi che – pure – caratterizzarono quello stesso periodo storico.
L’Italia si ritrovò così la strada della democrazia repubblicana: una strada da non smarrire adesso, nella difficile temperie che stiamo attraversando.
Si tratta, ancora una volta, di difendere e portare avanti i valori di fondo della Resistenza.

Franco Astengo

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