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Quello che ha lasciato Riccardo Lombardi

(7 Luglio 2014)

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Che cosa resta di Riccardo Lombardi, il dirigente prima del Partito d’Azione, poi del Partito socialista? Uno studioso che, insieme a Bruno Trentin e Vittorio Foa, immaginava un nuovo assetto sociale basato sulla partecipazione dal basso, cominciando dai luoghi di lavoro? Proprio di una possibile eredità lombardiana ha discusso a lungo un convegno organizzato a Roma presso la fondazione Basso. Gli atti di tale incontro, nato da un’idea di Antonio Bevere, (dieci relazioni e sette interventi a una tavola rotonda), sono stati raccolti in un quaderno della Fondazione Brodolini curato da Enzo Bartocci. Ed é proprio nella presentazione dell’iniziativa che Tommaso Nencioni si chiede, che cosa ne è stato del tema «della necessità dell’intervento dello Stato in economia, ora che la ventata liberista dell’ultimo trentennio ha mostrato empiricamente la corda?». Oppure del tentativo di rinnovare la cultura politica del socialismo, «dopo un ventennio di perdita totale della bussola per la sinistra italiana e continentale?».
Un’eredità ancora utile oggi, dunque, offerta da un uomo contrassegnato, come sottolinea Andrea Ricciardi, da «antidogmatismo ideologico e radicalismo programmatico». C’è in tutta la proposta di Lombardi, come sottolinea Michele Prospero, l’intento di coniugare azione di governo a spinta dal basso. Spesso entrando in contrasto sia con le prudenze del Partito comunista, sia con le posizioni di altri esponenti socialisti. Così quando insiste sul «ruolo del controllo operaio, dei contropoteri, dei consigli, dell’autogestione». C’è anche, nella ricca documentazione esposta nelle relazioni, un’interessante lettera rivolta nel 1946 alla Confederazione Generale Italiana del Lavoro.
Lombardi «invitava la Cgil a prendersi responsabilità politiche in una delicata fase di passaggio». Inoltre il sindacato era chiamato a occuparsi di tutto il popolo lavoratore e dei disoccupati, non soltanto di chi era già inserito nel processo produttivo. Parole che suonano oggi di grande attualità. Una parte importante del convegno è stata dedicata a quella che è stata una delle battaglie centrali condotte da Riccardo Lombardi, ovvero la nazionalizzazione dell’energia elettrica. Una vicenda analizzata a fondo da Guglielmo Ragozzino che accosta la capacità, anche politica, di Lombardi con certe prudenze di oggi, con tre partiti, difronte alla Merkel e allo spread, «indecisi a tutto».
Cinquanta anni fa Lombardi riuscì a far passare una richiesta decisiva per la formazione del governo tra Dc e Psi e poi a «comporre tutti gli interessi contrapposti di partiti e poteri economici». Venne così a capo di ogni difficoltà, «tirando un filo della matassa dietro l’altro, senza perdere la calma, con un’ammirevole capacità».
Eppure gli ostacoli in campo non furono certo pochi. È Antonio Bevere a ricostruire le vicende del Piano Solo guidato dal generale De Lorenzo e mirato a far saltare i propositi lombardiani. Già il presidente della Repubblica, Segni, aveva segnalato al presidente del Consiglio Aldo Moro come il progetto per la programmazione economica del ministro del Bilancio Antonio Giolitti rappresentasse il «primo passo per uscire decisamente dal sistema economico attuale». Avrebbe provocato «un mutamento radicale dell’attuale sistema economico, costituendo lo Stato imprenditore, commerciante ecc. che, poco a poco, sottrarrà ai privati tutte le sfere dal programma lasciate ancora…». Fatto sta che il Piano Solo, commenta Bevere, ha avuto un effetto «educativo» per tutti coloro «che sono stati poi ammessi alla stanza dei bottoni: nessuno ha più osato mettere in discussione concretamente la superiore legge del profitto…».
Un riformista-rivoluzionario, secondo la definizione di Paolo Franchi, un uomo che, ricorda Enzo Bartocci, «affacciato sul futuro, ce ne svelava gli arcani». Può essere utile al nostro futuro? C’è una lettera, ripresa da Nerio Nesi in cui Lombardi dichiara, rievocando le sue origini azioniste, che «la critica dei partiti di sinistra non era diretta alla pretesa puerile di sostituirli, ma alla fiducia, che si riteneva fondata, di una nuova situazione ove tutto il movimento operaio sarebbe stato indotto a completamente rinnovarsi partendo dalla cancellazione, si può dire per decesso spontaneo, del grande scisma…». Non siamo forse ora a questo punto? E comunque Lombardi concludeva invitando ad evitare «sia il pianto greco sulle nostre illusioni giovanili sia il disimpegno nelle lotte di oggi, che, per il bene e per il male, sono profondamente legate a quelle di ieri. C’è ancora tanto da fare».

Bruno Ugolini - l'Unità

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