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(13 Settembre 2010) Enzo Apicella
La scuola dopo la controriforma Gelmini

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(La controriforma dell'istruzione pubblica)

La scuola in un contesto europeo.

Intervento e relazione a cura di Nair Magnaghi – RSU USI ATA
Per seminario sulla scuola del 13 luglio 2014 a Roma

(13 Luglio 2014)

scuolaeuropeancontest

Per prima cosa, vanno sfatati alcuni luoghi comuni che sono purtroppo alla base del giudizio dei cittadini sul lavoro degli insegnanti e quindi suffragano le scelte di riforma più disgraziate.
Partiamo dall’orario di insegnamento dei docenti, che si dice sia al di sotto degli standard europei e che quindi giustificherebbe le basse retribuzioni.
In realtà i docenti italiani hanno un carico di ore di lezione settimanale superiore alla media europea sia nella primaria, con 22 ore contro19,6, che nella secondaria superiore, con 18 ore contro 16,3, e un orario identico nella secondaria inferiore, con 18 ore contro 18,1.
Il secondo pregiudizio riguarda l’eccessivo numero dei docenti. In questo caso teniamo presente la particolarità del sistema scolastico italiano, dove esiste da quarant’anni, unici in Europa e forse nel mondo, la pratica dell’integrazione, in tutti gli ordini e gradi di scuola, degli alunni con disabilità, con la figura specifica degli “insegnanti di sostegno”, va considerata l’altra peculiarità del nostro sistema, ossia l’alto numero di ore di lezione per gli studenti.
Quindi applicando alle statistiche europee, tanto sbandierate il correttore della presenza degli insegnanti di sostegno che rappresentano il 9% dei docenti nella primaria, il 12% nella secondaria di primo grado ed il 4,8% in quella di secondo grado, avremmo un numero complessivo di insegnanti pari alle medie europee.
Inoltre il tempo pieno nella scuola primaria e il tempo prolungato nella scuola media, che rappresentano un’ulteriore particolarità del nostro sistema scolastico, rispetto a quelli europei, fanno si che per quella fascia di età, i nostri tempi scolastici siano in assoluto i più estesi, con la necessità di maggior personale e quindi incidono anche nel rapporto numerico studenti/docenti.
Altra “leggenda metropolitana” che ci riguarda, è smentita dal dato che il numero medio di studenti per classe in Italia (21,3) ci vede leggermente al di sopra della media europea del21,1. A parità di prestazioni lavorative ci si dovrebbe aspettare una retribuzione più o meno simile a quella dei colleghi europei, ma è qui che in Italia ci si distingue, rispetto ad altri Paesi della U.E., in termini assoluti e relativi.
La retribuzione dei docenti italiani si colloca sempre sotto la media dei paesi euro, con uno spread che parte da 4.000 euro all’inizio carriera fino a 10.000 al suo termine.
Se misuriamo le retribuzioni dei docenti in base ad un parametro maggiormente sofisticato, ossia il PIL medio di ogni paese (il rapporto che descrive il tenore di vita e lo status sociale), si scopre che le retribuzioni iniziali ci assicurano un tenore di vita al di sotto di quello medio italiano, con un incremento dopo 35 anni di attività, che non supera una volta e mezza quello iniziale e con un trend di crescita ben al di sotto della media europea. I dati europei ci offrono inoltre spunti di riflessione su di un aspetto, che in Italia nuovamente assume delle particolarità. Le procedure di selezione di nuovi insegnanti sono ferme da anni, ciò contribuisce ad innalzare l’età media del nostro corpo docente e a creare una vastissima area di precariato, insieme ai provvedimenti sul pensionamento che ne rallenta i ritmi.

da ansa.it – BRUXELLES – L’Italia e’ tra i paesi Ue ‘maglia nera‘ che, sotto la pressione della crisi, tra il 2010 e il 2012 hanno effettuato i tagli piu’ pesanti al bilancio della scuola. E’ quanto emerge da uno studio realizzato a cura della Commissione Ue. A ridurre gli investimenti nell’istruzione sono stati 20 tra paesi e regioni Ue, ma a superare quota 5% sono stati solo Italia (-3,8% nel 2011 e -6,8% nel 2012), Grecia (record di -17% nel solo 2011), Portogallo, Cipro, Ungheria, Lettonia e Lituania. Tagli inferiori ma comunque significativi, dall’1% al 5%, in Irlanda, Spagna, Slovenia, Slovacchia, Polonia, Estonia, Bulgaria, Repubblica Ceca e Belgio francofono.
Ad aumentare la spesa per la scuola, invece, sono stati solo Lussemburgo, Malta, Austria, Svezia e Finlandia. Dallo studio Ue emerge anche che gli stipendi degli insegnanti sono stati ridotti o congelati in 11 paesi tra cui l’Italia, che ha registrato un calo dei costi per le risorse umane del 5% nel 2011 e del 6% nel 2012.
I tagli hanno anche causato riduzioni nel numero dei docenti in 10 stati, Italia inclusa, dove nel 2010 e’ calato del 6%, anche per effetto della legge 133/2008.
Drastico taglio alla formazione degli insegnanti, che in Italia è stata ridotta del 50% tra 2011-2012 anche in ragione della legislazione introdotta nel 2010. Nell’ultimo biennio, inoltre, ben due terzi dei paesi europei hanno chiuso o fuso tra loro istituti scolastici, e in Portogallo, Polonia, Slovacchia, Danimarca e Islanda il contesto economico è stato indicato come uno dei ”principali fattori”, mentre in Italia come ”la principale ragione”.
La scuola italiana ha pagato quindi un prezzo altissimo alle politiche di bilancio imposte dall’Unione Europea: decine di migliaia di posti di lavoro tagliati nel 2012, sono stati 124.292 rispetto al 2007, con il massacro dei precari, blocco dei contratti e pensioni, riduzione del tempo scuola, degrado di strutture e servizi...esternalizzazione di molti servizi (pulizie, mense, attività integrative per alunni-e disagiati o con disabilità). Più forte che mai resta la pressione a destruttu-rare i contratti nazionali nella scuola, diversificando le carriere dei docenti in base al «merito» e alla «produttività» e non sull’anzianità di servizio. Per la Commissione Ue bisogna rafforzare la valutazione nel sistema educativo: più test Invalsi per tutti, come vuole la pedagogia neo-liberale. Bruxelles insiste, inoltre sul «modello tede-sco» nella scuola, l’apprendimento basato sulla formazione professionale e l’apprendistato. Austeri fino alla fine, neo-liberisti senza speranza. A Bruxelles c’è chi ha un’idea di società e in Italia chi la fa rispettare. Costi quello che costi…
LA “NUOVA EUROPA”…
La “nuova” Europa, si propone di riformare il sistema scolastico ed educativo nei paesi dell’unione. I capisaldi di questo percorso sono stati il “processo di Bologna” e il “Trattato di Lisbona”, che definisce il percorso di integrazione delle istituzioni europee, nato nel 2007 ed entrato in vigore nel 2009 . Per la parte riguardante la scuola, si tratta di costruire uno Spazio europeo della ricerca (trattato di Lisbona) o spazio europeo dell’istruzione superiore (Bologna), ma si può definire il… Mercato europeo della conoscenza. Apparentemente i documenti sembrano molto sensati, leggendo tra le righe, si capisce la vera trama di questi accordi di cui esiste una parte occulta.
Si tratta di riforme, che si inseriscono in un’ottica neoliberista, dove si identifica la formazione, l’istruzione e la cultura non più come un diritto di cittadini e cittadine e un servizio erogato dallo stato o da pubbliche amministrazioni, che è la base del nostro concetto costituzionale di scuola pubblica e gratuita, ma come una merce, con un alto valore e soggetta alle leggi di mercato, che ha come corollario la ridefinizione dei soggetti che lavorano o che usufruiscono del sistema.
Termini come social accountability, assessment, audit society, value for money diventano il vocabolario comune di questo approccio basato sul documento OCSE “The knowledge based economy” ed in generale sul sistema educativo di tipo angloamericano.
Essenzialmente gli strumenti tecnici cardine di questo percorso sono i test, sui quali si basa la valutazione dell’apprendimento degli studenti, dalla quale deriva la valutazione del lavoro e la capacità dei docenti e quindi la loro retribuzione, con il non secondario aspetto dei dirigenti scolastici trasformati in managers e l’istituzione scolastica in unità produttiva.
In Inghilterra e Stati Uniti, dove sono in vigore da anni, queste politiche di “assessment”, hanno creato un mercato concorrenziale tra scuole, la proliferazione di agenzie di valutazione estranee al mondo scolastico, pubbliche o private, la perdita di prestigio, di iscrizioni ed il degrado fino alla soppressione di scuole periferiche, frequentate da settori della popolazione economicamente e culturalmente più deboli e disagiati, con l’alimentazione di un circolo vizioso, visto che i finanziamenti sono erogati sulla base della performance, compresi i salari dei docenti.
Altro effetto è un impoverimento dei contenuti dell’insegnamento, omologandoli in una scelta di metodologie standardizzate, finalizzate al superamento dei test, uno svilimento del ruolo e della libertà dei docenti.
Si assistiamo alla divaricazione sempre più accentuata tra scuole elitarie, con grandi possibilità economiche, possibilmente private, quindi fonti di guadagno, che hanno lo scopo di formare la classe dirigente politica o l’elite tecnica perfettamente funzionale al progetto di società che sta avanzando e la scuola pubblica sempre più povera, degradata, spogliata di ogni valenza di costruzione di un pensiero critico e di una cultura generale, per la formazione della forza lavoro salariata attraverso una cultura utilitaristica, parcellizzata, totalmente sottomessa all’organizzazione del lavoro, al dispiegamento del potere ed alla valorizzazione del capitale.
In questa ottica di distruzione della scuola, rientra la politica dei tagli delle borse di studio, sorta di ripartizione della ricchezza, in generale la scelta di far ricadere sui singoli i costi ed i rischi della loro formazione, in una folle competizione, come è ben rappresentato dai vari percorsi dei nostri precari attraverso agenzie formative pubbliche o private che nascono come funghi.
Ognuno diventa “imprenditore di sé stesso”, in un mercato della qualificazione e della vendita della forza lavoro, tecnicamente e politicamente costruito e comandato.
Per quelli che saranno espulsi o lasciati ai margini, sulla base del modello tedesco, ci sono le scuole professionali tanto caldeggiate dalla UE, con percorsi di apprendistato e scuola/lavoro, il” just in time” della produzione di merci applicato alle risorse umane.
C’è anche un aspetto ideologico, politico di questa scelta: non si persegue solo l’obiettivo di piegare il sistema formativo verso un’ottica mercantile, ma di piegare anche gli individui, di formare dei perfetti consumatori e forza lavoro docile e flessibile.
Gli apparati di controllo della formazione sono gli stessi applicati nella produzione di merci e servizi. La reperibilità, la classificazione, la formattazione degli individui sono strumenti indispensabili al funzionamento del controllo sociale.
Sotto la copertura della modernizzazione e dell’efficacia, l’educazione nazionale dà il suo contributo alla costruzione della società securitaria, soprattutto se si pensa alla giovane età dei soggetti plasmati da un sistema educativo cosi omologante.
Ora è chiaro a tutti che la causa della nostra infelicità sono le politiche di austerità imposte dalle banche, dal sistema finanziario e dalla “troika”, che hanno infierito sui sistemi educativi in tutto il mondo.
Il contrasto a tali progetti ah visto svilupparsi percorsi di lotte nei paesi europei e non con in testa la Grecia e il Messico, ma Spagna e Bosnia, in altri continenti Uruguay, Brasile, che hanno molto da insegnarci, soprattutto sulla capacità dei movimenti di ricondurre e unificare le lotte.
La nostra speranza di vittoria e di contrasto efficace a queste tendenze e progetti, come oppositori alla miseria del presente e a quello del prossimo futuro, sta nel riconoscerci e unirci alle lotte degli altri, dobbiamo allargare il nostro orizzonte ed estendere le iniziative locali coordinandole con quelle a livello europeo e internazionale. Anche per questo, si è formata la Rete europea del sindacalismo di base e alternativo, che in Italia è rappresentata da USI, Cub e Unicobas, Rete che ha al suo interno un nucleo di coordinamento sulle questioni scolastiche ed educative (che ha tenuto il 21 settembre 2013 a Roma un suo primo incontro di confronto), ma anche quella di solidarietà e lotta a livello globale, sulla spinta di strutture e lavoratori e lavoratrici della scuola del sud America…

Nair Magnaghi – RSU USI ATA

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