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Eric Hobsbawm

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Bertinotti, è questa la tua l'applicazione pratica della "non violenza"?

Lettera sulle conclusioni del segretario, inviata e non pubblicata da Liberazione

(10 Marzo 2005)

Ascoltando le conclusioni del compagno Fausto Bertinotti al nostro VI congresso del Partito, ho finalmente chiaro il senso della “non violenza”; ovvero cosa Bertinotti intenda per non violenza e di come l’assume conformandone la sua analisi e prassi politica.

Un conoscente, tra quelli che hanno ascoltato, in diretta su Radio Radicale tali conclusioni se ne uscito commentando: - finalmente, Fausto ha tirato fuori le palle! – Lasciando da parte l’aspetto machista e retrò del termine, è proprio questo che mi ha sconvolto, la violenza delle argomentazioni usate dal segretario, la totale chiusura politica alle argomentazioni altrui, lo sprezzo dei compagni che non la pensano come lui, ma soprattutto il diléggio usato. Diléggio, nella sua accezione, si può declinare in: derisione, scherno, canzonatura, sprezzo, beffa, irrisione; bene, io credo che queste cose c’erano tutte nei toni usati.

Ma fino a questo punto siamo soltanto alla forma, benché alcune volte, quest’ultima, sia anche sostanza.
Il contenuto politico è ancora più sconvolgente, e qui non torna conto riprendere le argomentazioni che con grand’evidenza contraddistinguono le mozioni, rimanendo solamente a quel “di più” aggiunto in quest’intervento finale.

L’accusa d’essere “governista” non è un’infamia, è semplicemente l’aspetto che oggi contraddistingue la linea politica del segretario. Non lo era, quando si trattò di far cadere Prodi; e qui giova ricordare che quel voto, drammatico ed importante, del CPN che sancì la rottura del patto governativo fu assunto da una maggioranza che non sarebbe stata tale senza i voti, compreso il mio, di tutti i compagni che oggi si riconoscono nella seconda mozione. Oggi le cose sono certamente cambiate in maniera enorme, tanto che il 59% dei delegati congressuali condividono l’impostazione di Bertinotti. Noi, il 40% ritiene che così non sia: dov’è lo scandalo, dov’è l’assillo che gli fa dire che “in Italia ci sono due Partiti Comunisti”, ergo: accomodatevi.

Lo scarto tra la teoria del rispetto delle minoranze e delle diversità e la prassi è di tutta evidenza: noi siamo una minoranza che non ha dignità, che non merita tutela e, forse, è anche un poco ributtante, appellandosi come fa ossessivamente, all’essere comunista.

Cosa sarebbe stato questo partito senza la battaglia sullo stalinismo? Non lo so, sinceramente non lo so, essendo questa battaglia incomprensibile ai più, a me in maniera particolare. Infatti, da tanti anni ho risolto i miei rapporti con lo stalinismo, avendo conformato la mia idea politica, le mie passioni, la mia prassi e la mia mentalità contro quel modo di concepire la politica nel partito e l’agire diuturno. Questo sin dai tempi della mia militanza nel PCI, non avendo mai battuto il mio cuore al cospetto del “socialismo realizzato”.

La stessa idea della Rifondazione Comunista, così come la pensammo nel 1991, al momento della fondazione di questo partito, era quella di un luogo ove tutti, ma proprio tutti, erano abilitati ad entrare con le proprie idee, con i propri cromosomi, con le proprie passioni, per costruire qualcosa di nuovo e mai visto. Chi, di volta in volta, pretendeva di piegare il partito a sua immagine, mercé le troppe scissioni, ha trovato comodo andare altrove. E non è stato un bene: l’unità ed un nuovo partito comunista non si possono fare con continue sottrazioni, va fatto sommando.
Oggi il segretario m’invita, c’invita ad accomodarci altrove: non seguirò questo consiglio; sono troppi anni e troppe volte che arriva qualcuno che m’indica la via per un nuovo orizzonte, un nuovo partito, un nuovo modo di interpretare il mondo.

Cominciò, nel mio caso, Ingrao, quando accompagnò, sostenendoli, i compagni del Manifesto sino al limite estremo del PCI, salvo mollarli all’ultimo momento al proprio destino. Il fatto che oggi, questo rispettabilissimo compagno di una vita, decida di entrare in Rifondazione e quindi tentare la costruzione di un partito nuovo e non stalinista, mi provoca un grande piacere, ma non riesce ad emozionarmi: arriva con 37 anni di ritardo.
In questo partito, che è il mio, continuerò a starci, a lavorarci per farlo crescere, per farlo più forte di quanto non lo fosse al momento in cui lo fondammo. E lo farò nonostante che, pur rappresentando attraverso la seconda mozione il 26,4%, sia marginalizzato insieme al 40% della minoranza complessiva. Lo farò nonostante che il 59% del partito ha voluto prendere il 100% degli organismi.

Questo metodo da maggioritario assoluto, non è semplicemente un atto di prepotenza una devianza di forma, ma una declinazione politica nei partiti comunisti, a questo proposito invito i compagni –almeno quelli più giovani- ad informarsi ed a studiare un poco, infatti, il sistema e la prassi delle “maggioranze omogenee” sono la quintessenza dello stalinismo, quello vero, quello praticato, applicato. Non è un’invettiva, è semplicemente la realtà, ed oggi siamo di fronte a questo dato e sarei portato ad affermare “mala tempora currunt”, ma non serve. Oggi mi sento ancora più determinato nella mia lotta per la costruzione di un nuovo partito comunista, dove coniugare tolleranza con ostinazione, dolcezza con rigore; dove il rispetto per l’altro, per chi è in minoranza, nel partito e nella vita di tutti i giorni sia un tratto costante, dove è naturale e lieve lo sforzo per capire le ragioni altrui.

Continuerò ad esserci in questo partito in tutte le battaglie, da quelle elettorali di questi giorni, con il mio impegno là dove il partito a deciso di collocarmi e da dove farò il massimo sforzo in suo nome e per suo conto.

Continuerò ad esserci in questo partito con il mio segretario che è Fausto Bertinotti, anche se lui ha deciso scientemente di esserne il segretario solo per il 59% dei suoi iscritti.

Sergio Bovicelli Grosseto

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