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Raffaele De Grada 1916 2010

Raffaele De Grada 1916 2010

(4 Ottobre 2010) Enzo Apicella
E' morto all’età di 94 anni Raffaele De Grada, comandante partigiano, medaglia d’oro della Resistenza, critico d'arte.

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    UN AVVIO DI RICERCA SULL’IDENTITA’ DEI COMUNISTI TRA L’IDEA DELLO SVILUPPO E IL CONCETTO DI LIMITE.

    (26 Luglio 2014)

    dal blog: http://sinistrainparlamento.blogspot.it

    elmar

    Elmar Altvater

    Nel numero di “Sbilanciamoci” uscito il 25 Luglio come inserto del “Manifesto” Elmar Altvater pone una questione che risulta essere, senza tema di smentite, quella decisiva per il futuro.
    Riporto l’incipit dell’articolo di Altvater: “ La logica dell’accumulazione capitalistica contrasta con l’etica kantiana di un sistema di regole fondato sui limiti imposti all’uomo dal pianeta Terra…Eppure c’è chi fa finta di niente e nega che il pianeta Terra abbia alcun limite. Dieci anni prima del collasso del sistema finanziario globale, l’economista statunitense Richard A. Easterlin glorificava nel suo libro la “Critica trionfante”. Anche oggi, cinque anni dopo l’inizio della crisi finanziaria globale, le principali pubblicazioni di tutte le maggiori istituzioni internazionali come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l’Unione Europea e l’OCSE individuano la crescita come panacea universale di tutti i problemi economici. In paesi come la Germania e il brasile, l’accelerazione della crescita economica è prevista per legge. Non sono previsti né limiti, né alcuna gradualità nella crescita. Nei consessi di economisti non sembra esserci alcuna tendenza a domandarsi se i gravi problemi economici, sociali e ambientali che vengono discussi quotidianamente sui giornali possono essere il risultato di decenni di crescita capitalistica. E lo stoicismo di tali studiosi non è stato scalfito nemmeno da disastri quali quelli di Fukushima o dalle condizioni climatiche eccezionali degli ultimi anni. Quasi tutto il pensiero economico critico è stato soffocato dall’economia mainstream.”.
    Interrompo qui la citazione di Altvater perché mi pare che, proprio a questo punto, possa essere posto un interrogativo collegato all’analisi degli sviluppi più recenti della gestione capitalistica: può essere possibile una risposta avanzata al grande quesito riguardante il rapporto tra lo sviluppo e il limite, senza cadere in formule oscillanti tra arretratezza e movimentismo com’è accaduto nel corso degli ultimi dieci anni almeno, inseguendo formule vacue e poco credibili.
    Saranno capaci i comunisti a tornare a toccare il cuore della strategia d’attacco dell’avversario?
    Per riuscirci non basta definirsi anticapitalisti, occorre avere un progetto di società alternativa, un’ U-topia quale sorgente ideal per il concreto delle proposte e delle battaglie politiche.
    L’interrogativo che mi sono posto resterà, comunque, tale anche alla fine dell’intervento perché non è possibile avere la pretesa di fornire, oggi come oggi, risposte minimamente compiute.
    Un avvio di seria discussione è però praticabile e per questo motivo propongo un altro testo, anzi il brano di un altro testo contenuto nel libro di Lucio Magri “Il sarto di Ulm” uscito nel 2009.
    La parte di brano che intendevo citare è questa : “ …il presupposto fondamentale della razionalità del modo di produzione capitalistico fu infatti l’esistenza di un sistema di bisogni autonomamente determinato, fondamento della razionalità della domanda e quindi del mercato. Tale autonomia è sempre stata parziale e problematica non fosse altro perché la priorità dei bisogni da soddisfare dipendeva dalla distribuzione del reddito, cioè da quali bisogni potevano tradursi in domanda effettiva.
    E tuttavia finché la maggioranza dei bisogni primari restava da soddisfare, lo sviluppo produttivo aveva un sicuro punto di riferimento cui commisurarsi, e le politiche di accrescimento e di redistribuzione del reddito consumabili immediatamente si traducevano in un incremento del benessere individuale e collettivo.
    Ormai però questo presupposto comincia a venire meno. Nel momento, infatti, in cui la capacità produttiva, almeno in alcune aree del mondo, travalica largamente i bisogni elementari, e l’apparato produttivo e l’organizzazione sociale diventano sempre più capaci di orientare il consumo e di formare bisogni nuovi, il benessere reale dipende dal fatto che gli individui e la società, avendo il reddito necessario, possono effettivamente riconoscere i loro bisogni e tradurli in consumo, e che gli individui e la società siano capaci di arricchire la qualità dei loro stessi bisogni.
    Ma non è questa però la linea di tendenza oggi visibile nel “capitalismo postindustriale”.
    Tutto al contrario la tendenza è di rendere la differenziazione veicolo dell’illusione, dell’effimero, di una serialità esasperata, di accentuare ancor di più la subalternità del consumo a imperativi esteriori e mutevoli, di perpetuare modelli di consumo elitari ina una ripetizione di massa squallida e d’accatto.”
    Più avanti da queste considerazioni Magri tra anche alcune indicazioni operative: “ 1) la necessità di avanzare nuove e più ricche ragioni di critica al sistema; 2) la critica radicale del modo di produzione e di una certa struttura del potere”
    E ancora si chiede: “ Non è questa (evidentemente la critica radicale del sistema N.d.A.) una base forte per un progetto e una identità comunista radicalmente rinnovati ma non meno antagonisti?”
    E’ questo l’interrogativo che dobbiamo porci oggi dopo averlo tenuto per tanti anni nel cassetto per sostituirlo con l’idea sbagliata di un possibile rifugio nell’autonomia del politico.
    Ci siamo cos’ ritrovati nel personalismo e in una colpevole subalternità rispetto all’identità dei cosiddetti “movimenti”.
    Il risultato è stato quello di produrre populismo e acquiescenza ai meccanismi di governo e del potere fine a se stesso.
    E’ questo il punto sul quale è caduta, in Italia, la funzione e il ruolo dei comunisti: nell’incapacità di proporre una critica completamente alternativa e ben più radicale di quella del passato al sistema capitalistico e alle logiche di potere che lo sostengono.
    Una critica di fondo annegata in un micidiale mix di massimalismo e di governismo che ha prodotto disastri sia sul piano culturale, della militanza, della raccolta del consenso.
    Il punto da cu ripartire è quello della messa in discussione “dello sviluppo” e non della critica “nello sviluppo”.
    La questione del “limite” rappresenta la tematica fondamentale per prefigurare un sistema nel quale le contraddizioni s’intrecciano e la lotta di classe ne esce rafforzata, completa, funzionale a una identità complessiva e prefigurante una società alternativa e non una semplice “condizione diversa” per spezzoni adagiati in una sorta di neo-corporativismo.
    Ed è questo un problema che riguarda sia i paesi a capitalismo maturo, sia quelli in una qualche misura “emergenti”, tra l’altro questi ultimi molto diversi tra loro dal punto di vista dei sistemi politici.
    Il tema, a questo punto, riguarda il rilancio dell’opzione internazionalista nella dimensione adeguata a ciò che queste fondamentali problematiche propongono con urgenza.
    Nell’interrogarsi su quale identità comunista oggi appare essenziale la completa alternatività alla logica di uno sviluppo capitalistico indiscriminato.
    Nell’espressione piena di quest’alternatività ci stanno anche i temi dell’agire politico, della forma del partito, della presenza nelle istituzioni.
    Affrontarli adesso, però, significherebbe spingersi molto avanti in un’elaborazione che ha bisogno, dopo tanti anni di assoluta trascuratezza, di essere ripresa partendo dalle giuste coordinate fondamentali.
    Non servono soluzioni di per sé semplicisticamente politiciste.
    La risposta potrà venire soltanto da un lavoro collettivo che potrà essere svolto soltanto all’interno di un soggetto politico compiuto, appunto un Partito.
    Un Partito al riguardo del cui possibile progetto di edificazione riprendo una antica, ma sempre valida, definizione: “ Un partito che non sia coscienza separata, né puro riflesso dell’autonomia del movimento ma teoria, progetto politico, memoria della lotta di classe” (da “Classe, consigli, partito” edizioni il Manifesto 1974).

    Franco Astengo

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