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L'angoscia dell'anguria

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(24 Luglio 2013) Enzo Apicella

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LE PRIME DIFFICOLTA' DEL RENZISMO. LA PROVA SOCIALE DI AUTUNNO. PER UNA SOLUZIONE ANTICAPITALISTICA DELLA CRISI.

(9 Agosto 2014)

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La recessione italiana presenta il conto a Renzi. Non si può fare il populismo di governo coi fichi secchi. La truffa degli 80 euro può servire una volta per prendere voti e mascherare le misure di ulteriore precarizzazione del lavoro. Ma non serve a “rilanciare l'economia”, né può essere più replicata.

Il renzismo non ha certo consumato le proprie risorse politiche. Si nutre ancora , in larga misura, di un relativo affidamento popolare. Presidia un PD “conquistato” e plasmato in funzione del Capo. E' sostenuto dalla Presidenza della Repubblica. Gode della complicità berlusconiana. Prosegue la marcia del proprio disegno istituzionale, districandosi fra le contraddizioni parlamentari. Si fa forte dell'assenza di alternative politiche, e soprattutto di un'opposizione sociale di massa.

Eppure il fenomeno sembra aver esaurito, bruscamente, la fase della propria ascesa travolgente. Il disincanto apre le prime brecce nel suo blocco di consenso. Ampi settori del mondo del lavoro e della piccola borghesia non vedono “il cambiamento” annunciato. La grande stampa borghese , a maggio osannante, chiede “risultati” e “meno propaganda”. Capitalisti emergenti sostenitori di Renzi della prima ora dichiarano la propria insoddisfazione ( Della Valle). Confindustria e Confcommercio dichiarano scetticismo e chiedono udienza. La materialità della crisi capitalista richiama tutti alla realtà.

L'”uomo solo al comando” è ancora saldamente in sella, ma non riscuote più il plauso incantato che la borghesia tributava al “vincitore” del 25 maggio.

Si profila un passaggio classico. O la spinta bonapartista supera le proprie difficoltà, rafforzando il quel caso una tendenza di “regime” ( che cerca magari un'incoronazione popolare anticipata nelle urne e un Parlamento a propria immagine e somiglianza); o inciampa in esse, si sfrangia e regredisce, avviando la parabola del proprio logoramento e della propria crisi.

L'autunno può essere una prima cartina di tornasole di questo bivio.


LA DISFATTA DELLE SINISTRE RIFORMISTE

Le sinistre riformiste, politiche e sindacali, sono di fronte alla disfatta di tutta la propria politica.

Aver avallato, agli occhi dei lavoratori, la recita renzista del “cambiamento” ( Landini); aver inseguito l'impossibile concertazione con un Bonaparte in pectore ( Camusso); aver chiesto invano il rilancio del vecchio centrosinistra ( borghese) al suo becchino populista ( Vendola); aver rinunciato tutti- in nome di queste ambizioni illusorie- ad ogni opposizione reale e di massa al governo Renzi, persino sulla inaudita precarizzazione del lavoro( decreto Poletti) , persino su un progetto istituzionale reazionario, non hanno solo confermato la congenita subalternità delle sinistre riformiste al quadro borghese: hanno anche condotto i suoi gruppi dirigenti in un vicolo cieco.

Chi sperava di essere chiamato, in varie vesti, alla corte del principe, o è rimasto in anticamera (FIOM), o è stato umiliato (CGIL), o è stato scisso (SEL). Mentre a pagare sono stati e sono i lavoratori, abbandonati senza difese a una crisi sociale ancora più acuta e alla minaccia di una Terza Repubblica ancor più reazionaria.
Tanto più oggi, le prime serie difficoltà del renzismo ripropongono l'urgenza di una svolta di fondo.

Non ci si può affidare a qualche denuncia epistolare delle politiche del lavoro presso la Corte Europea di Giustizia se si rinuncia ad ogni azione reale di mobilitazione contro quelle politiche, come fa la CGIL.
Nè si può realisticamente sperare di usare le difficoltà del renzismo per provare a rilanciare uno schema concertativo di “interlocuzione e confronto” che resta estraneo alla sua natura bonapartista e che per di più non dispone, tanto più oggi, di una base materiale di appoggio, con buona pace di Landini.
Nè infine si può mercanteggiare il livello di “opposizione” parlamentare a un governo anti operaio in base alle contropartite su soglie elettorali e assessori regionali, come fa SEL.

E' necessario davvero voltare pagina. E' necessario e urgente, per tutte le sinistre, rompere definitivamente col Renzismo e col suo partito, a livello nazionale e locale, contrapponendosi apertamente al governo Renzi sul terreno dell'azione di massa. E' necessario che il movimento operaio definisca un proprio programma autonomo e alternativo per l'uscita dalla crisi; un piano d'azione unitaria, radicale e di massa, capace di porlo al centro dello scontro; una propria alternativa politica capace di realizzare quel programma.

L'alternativa a questa prospettiva è o la stabilizzazione reazionaria del renzismo, o una capitalizzazione a destra della sua crisi per opera del progetto (ancor più reazionario) della Repubblica plebiscitaria- senza partiti e sindacati- di Casaleggio e Grillo.

L'alternativa fra rivoluzione o reazione è e sarà riproposta, in forme diverse, da tutta la dinamica della crisi italiana.


LA BANCAROTTA DELLE CLASSI DIRIGENTI

La lotta contro il governo Renzi è inseparabile dalla lotta più generale contro le classi dirigenti del Paese e la loro bancarotta.

Il capitalismo e la sua crisi internazionale hanno trascinato l'economia italiana in una depressione profonda, senza pari fra i grandi paesi capitalistici europei. La nuova recessione è solo un capitolo di questa condizione. Non hanno fallito le “politiche dominanti”. Hanno fallito le classi dominanti e tutti i loro partiti.

Capitalisti e banchieri, manager e faccendieri, hanno saccheggiato per 20 anni lavoro e protezioni sociali attraverso comitati d'affari ( di ogni colore) chiamati “Governi del Paese”. Prima hanno predicato le virtù dell'”austerità” ( per i lavoratori) come condizione della “crescita” ( dei propri profitti). Ora invocano la priorità della “crescita”( mancata) come condizione dell'”austerità” (il famoso “rispetto dei patti europei e del rigore dei conti”). Ma dietro le porte girevoli di parole vuote, si cela ieri come oggi il solo interesse dei capitalisti. Dove per “crescita” si intende nuova detassazione dei padroni (.. Irap) nuova precarietà del lavoro ( ..Poletti), nuovo smantellamento dei contratti nazionali pubblici e privati, nuova giostra di privatizzazioni e commesse pubbliche a vantaggio di business e profitti ( .. tipo Mose, Expo, Tav e via dicendo). E per “necessario rigore dei conti” si intende tutto ciò che serve per ingrassare la crescita dei profitti e onorare i patti col capitale finanziario italiano ed europeo: nuovo taglio traumatico sulle spese sociali ( 32 miliardi in 3 anni)- a partire da ammortizzatori, istruzione , sanità - per finanziare detassazioni e commesse per i padroni, per continuare a pagare 90 miliardi annui di interesse sul debito alle banche ( prevalentemente italiane) , per contribuire al fondo salva banche europeo, per cercare di rispettare il Fiscal Compact liberamente stipulato con gli altri governi capitalistici dell'Unione ( in cambio del loro impegno, se necessario, a soccorrere le banche italiane).

Qual'è la sostanza di tutto questo? Che un'intera società, in Italia e in Europa, è chiamata a pagare il parassitismo dei capitalisti e del capitalismo. Non è il fallimento di una “politica economica”, come vorrebbero Camusso, Landini, Vendola e Tsipras. E' il fallimento di una economia. Non è il fallimento di “una certa concezione dell' Europa”, come balbetta la liberal progressista Barbara Spinelli. E' il fallimento della Unione Europea dei capitalisti e dei banchieri. Incapace di liberare qualsiasi spazio di progresso sociale. Al punto che anche dove la cosiddetta “crescita” ( timidamente e provvisoriamente) avviene, avviene sulla pelle dei salariati ( liberalizzazione dei licenziamenti in Spagna, contratti a zero ore in Gran Bretagna..).

La verità è che l'unica alternativa alla crisi italiana (ed europea) è anticapitalistica. Richiede un programma di emergenza che rovesci la logica di classe dei capitalisti, partendo dalla logica opposta dei salariati. Che è poi la logica di un' organizzazione finalmente razionale della società.


UN PIANO OPERAIO PER USCIRE DALLA CRISI
L'EMERGENZA DAL PUNTO DI VISTA DEI LAVORATORI

Un piano operaio per uscire dalla crisi deve prevedere un insieme combinato di misure e assi di intervento:

1)Blocco dei licenziamenti. Le aziende che licenziano , che inquinano, che ignorano diritti e sicurezza del lavoro, siano nazionalizzate, senza indennizzo per i grandi azionisti, e poste sotto il controllo dei lavoratori. A partire da Ilva, Thissen Krupp, Lucchini, Alitalia...

2)Il lavoro che c'è sia distribuito fra tutti, attraverso una riduzione generale dell'orario di lavoro a parità di paga (30 ore settimanali). Tutte le leggi di precarizzazione del lavoro siano abolite. Gli attuali precari vengano assunti e regolarizzati. Il rapporto normale di lavoro sia a tempo pieno e indeterminato. I disoccupati e i giovani in cerca di prima occupazione abbiano diritto a un salario di almeno 1200 euro netti fino a che non trovino lavoro, finanziato dalla soppressione dei trasferimenti pubblici alle imprese private.

3)Si promuova un grande piano di nuovo lavoro in opere sociali di pubblica utilità sull'intero territorio nazionale: asili nido, riparazione e sviluppo dell'edilizia scolastica e ospedaliera, bonifiche e riassetto idrogeologico del territorio, riparazione della rete idrica, sviluppo e riqualificazione del sistema ferroviario e dei trasporti, estensione nazionale della sicurezza anti sismica... Si accompagni questo piano con la nazionalizzazione della grande industria edilizia e del cemento ( oggi regno della peggiore criminalità), sotto il controllo dei lavoratori.

4)Venga ripristinato il sistema previdenziale a ripartizione, si estenda e riqualifichi l'assistenza sanitaria e ospedaliera, si realizzi un piano concentrato di investimento nell'istruzione pubblica, ad ogni livello. Abolendo innanzitutto tutte le misure di austerità e di tagli a servizi pubblici e prestazioni sociali degli ultimi decenni.

5)Si finanzi il piano del lavoro e di protezione sociale con la tassazione progressiva delle grandi ricchezze; con l'abolizione del debito pubblico verso le banche; con la nazionalizzazione delle banche senza indennizzo e sotto controllo dei lavoratori; con la concentrazione delle banche in un'unica banca pubblica, sotto controllo sociale, strumento decisivo di pianificazione economica; col rigetto e cancellazione unilaterale di ogni impegno, accordo, trattato anti operaio stipulato con la Unione Europea. La rottura e rigetto dell'Unione Europea dei capitalisti e dei banchieri, contro ogni illusione di una sua “riforma sociale e democratica nella prospettiva degli Stati Uniti Socialisti di Europa, è il risvolto naturale di questo programma.

Questo non è un programma “illusorio”. E' l'unico programma che rifiuta le illusioni. E' illusorio piuttosto pensare che possa essere realizzato nel quadro del capitalismo, per generosa intercessione dei suoi governi, magari sotto la pressione dei movimenti. Può essere realizzato solamente da un governo dei lavoratori, basato sulla loro organizzazione e la loro forza. Da un governo che rompa col capitalismo, i suoi partiti , il suo Stato. Da un governo che solo la forza di milioni di salariati può imporre .


SVILUPPARE TRA I LAVORATORI UNA COSCIENZA CLASSISTA E ANTICAPITALISTA

Questa forza, oggettivamente, esiste. E' fatta di 16 milioni di lavoratori salariati, precari, disoccupati. Può guidare e ricomporre attorno a sé un blocco maggioritario della società italiana. Si tratta di portare in ogni lotta immediata la coscienza politica di questa forza, la necessità di unificarla, la necessità di porla al servizio di un'alternativa di società e di potere. Agendo in ogni lotta, anche la più limitata, nella logica di questa prospettiva generale. Cercando di trasformare ogni lotta, nella misura del possibile, in fattore di innesco e propagazione di una dinamica unificante di ribellione. La proposta di occupazione delle aziende che licenziano, del loro coordinamento nazionale, di una cassa nazionale di resistenza, di comitati di lotta e di sciopero in grado di dirigere mobilitazioni prolungate, muove in questa direzione. Così come la proposta più complessiva e centrale di una vertenza generale unificante di lavoratori, precari, disoccupati attorno a una piattaforma rivendicativa di svolta, di una assemblea nazionale di delegati eletti che la promuova, di uno sciopero generale prolungato che la sostenga.

La situazione della lotta di classe resta molto difficile sotto il peso di sconfitte, delusioni, arretramenti subiti da parte della classe operaia per responsabilità delle sue direzioni. Pesa in particolare l'arretramento profondo della coscienza politica dei lavoratori. Ma il quadro resta instabile e fluido. L'autunno che si avvicina sarà la prima prova sociale del governo Renzi, sul versante di massa, a partire dalla scuola. La lotta che si annuncia su scuola e università potrebbe favorire processi di radicalizzazione, autorganizzazione di massa, propagazione in altri settori. Rotture sociali possono aprirsi parallelamente su altri fronti, nelle lotte operaie, nel pubblico impiego, nei servizi ( come fra i tranvieri a Dicembre). Non è possibile avanzare previsioni su tempi e dinamiche di una ripresa di massa. Ma tanto più è necessario che le avanguardie di lotta, nella classe operaia e in ogni movimento, agiscano in una prospettiva classista, unitaria, anticapitalista, quali portatrici di una coscienza politica indipendente. Fuori da ogni logica di cittadinanza “progressista” senza classe, o di puro “antagonismo” autocentrato senza rivoluzione. Con la consapevolezza che la costruzione di un'altra direzione del movimento operaio e dei movimenti di lotta è condizione decisiva della loro vittoria.

Il PCL vuole raggruppare e organizzare tutte le avanguardie di lotta che condividono questa necessità. La costruzione del PCL, quale partito comunista e rivoluzionario, è essenzialmente e innanzitutto questo.

Marco Ferrando

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