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Il Medio Oriente nella spirale infernale della lotta interimperialista

(23 Agosto 2014)

Se tante volte abbiamo riferito delle nefandezze della lotta tra gli imperialismi ai danni dei popoli di tutti i continenti, ora non possiamo non parlare dei conflitti in Medio Oriente e non ricordare che lo scontro tra le due più grandi potenze in lizza, gli Stati Uniti e la Cina, dietro il paravento della Russia, sta avvenendo anche in Africa, in Estremo Oriente e in Europa (la contesa nei Balcani, il conflitto in Ucraina) e si estenderà dalla terra e dal mare su fino alle orbite dei satelliti artificiali.

Oggi il Medio Oriente e l’Africa del Nord non finiscono di vedere le loro popolazioni tiranneggiate e martirizzate da movimenti politici, che siano jihadisti o meno, manipolati dalle grandi potenze e che presto si trasformano in bande di lanzichenecchi incontrollabili e feroci.

Non è più questa l’epoca della pace frutto della prosperità capitalistica, ma delle guerre di ogni genere per compensare le nefaste conseguenze sul regime capitalista della crisi di sovrapproduzione mondiale. Il capitalismo nella sua fase imperialista riversa su queste regioni le merci dell’industria degli armamenti, poi quelle delle industrie legate alla ricostruzione, appena il campo di battaglia si placa un momento ed è possibile rimborsare i «danni di guerra». La guerra è diventata un affare, una fonte di profitto, una scappatoia alla sovrapproduzione di merci e alla crisi mondiale del capitalismo, lo spettro della quale terrorizza tutte le borghesie del pianeta, insieme a quello del suo nemico di classe capace di rovesciare questo ciclo infernale, il proletariato.

Ma quando le bombe cadono e il cieco terrore si abbatte sulle masse, quando al proletariato è impossibile esprimere la sua solidarietà di classe, allora diventa difficile organizzare la sola battaglia che è all’ordine del giorno per la sopravvivenza dell’umanità, la guerra rivoluzionaria.

Per far ingoiare tutti questi orrori alla classe lavoratrice di occidente, pietrificata dai continui attacchi padronali e abbrutita da quanto ancora resta dei frutti della prosperità e della pace, i portavoce politici e mediatici, asserviti all’ideologia bellicista della classe borghese, le riempiono la testa con le parole ormai odiose di diritti dell’uomo, di autodeterminazione dei popoli, quelli di cui l’ONU sarebbe il custode mentre il suo stuolo di cortigiani sventola le carte del diritto internazionale, per presentarci infine il conto giornaliero dei morti. E tutto questo per mascherare la loro inerzia e gli odiosi profitti che ne traggono. Questa demagogia democratica è stata creata dopo il primo massacro mondiale della guerra 1914-18, i cui trattati di pace e la nuova partizione del mondo fra i vincitori già preparavano il secondo conflitto mondiale. E un terzo conflitto si prepara per una nuova ripartizione dei mercati mondiali.

In Medio Oriente si incrociano tutte le grandi potenze. Il loro gioco mortale su quella scacchiera utilizza come pedine le truppe armate, da loro equipaggiate e formate nei conflitti di Afghanistan, di Libia, del Medio Oriente. Vi si affrontano anche potenze regionali: la Turchia, l’Iran, le monarchie del Golfo. Il conflitto siriano oppone ora la Russia di Putin all’America di Obama, che stanno disputandosi l’Iran, un bastione indispensabile agli Usa per contrastare le potenze russa e cinese. L’arco d’influenza dell’Iran va dal Libano, alla Siria, all’Iraq. Intanto Gaza è un sanguinante campo di battaglia.

In questi ultimi decenni gli interventi “umanitari” dell’imperialismo americano e russo e dei loro mercenari, in Afghanistan, Iraq, Libia e nei movimenti insurrezionali dell’Africa del Nord, hanno abbattuto le dittature, che già avevano appoggiato e sostenuto. Questo ha condotto solo al caos, a conflitti etnici e religiosi sempre più aspri, impedendo spesso del tutto ogni espressione del proletariato. La Libia ne è un triste esempio con la guerriglia di queste settimane che si esaspera fra i diversi clan.

Quanto alla politica dello Stato d’Israele, essa non ha nulla a che vedere con la difesa del mitico popolo ebraico perseguitato: lo Stato d’Israele rimane quello per cui fu fondato a partire dagli anni Venti, prima dalla potenza coloniale britannica poi dalla potenza americana, cioè una fortezza armata dell’imperialismo, uno strumento di repressione contro le masse e i proletari arabi, e oggi con la complicità delle loro borghesie.

Questo Stato, che agita senza vergogna la bandiera dell’olocausto per giustificare ogni sua azione, si fa beffa, d’accordo con tutte le borghesie, arabe comprese, del “diritto internazionale” e delle risoluzioni dell’ONU, occupando illegalmente il territorio palestinese e martirizzando la sua popolazione. La risoluzione 242 dell’ONU, adottata unanimemente nel 1967, dichiarò illegale l’occupazione israeliana dei territori palestinesi, egiziani e siriani: «è inammissibile per un paese acquisire territori con la guerra». Israele ha occupato la Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est con la guerra, e quindi non avrebbe alcun diritto su quei territori. Ma lo Stato d’Israele pretende il diritto ad annettere questi territori e pratica a Gaza un blocco economico, una repressione feroce, ripetuti interventi militari come quello ancora in corso e nel quale il numero di morti palestinesi non fa che aumentare.

Si tratta chiaramente di una violazione del diritto internazionale e di crimini contro l’umanità, secondo il gergo dell’ONU. Ma noi comunisti sappiamo bene che il diritto internazionale e tutte le chiacchiere dell’ONU sono una creazione delle potenze per proteggere i loro interessi, e non certo quelli dei più deboli, come i loro preti vorrebbero farci credere. L’ipocrisia dei “nostri” Stati democratici d’occidente, cioè della grande borghesia industriale e finanziaria che li dirige, fa appello al diritto internazionale, che in date condizioni prevederebbe anche il diritto dei popoli all’azione armata. Ma questo diritto non è che il risultato di compromessi fra i grandi Stati imperialisti, che lo utilizzano per giustificare i loro interventi militari, o “umanitari”, come per esempio la Russia in Ucraina o gli Stati Uniti in Iraq. Le leggi e il diritto sono sempre scritti dalla borghesia per la borghesia, e quando le regole che essa stessa ha stabilito vengono ad impicciarla non esita a calpestarle, come oggi lo Stato israeliano che bombarda senza scrupoli scuole ed ospedali.

Israele è un punto di forza vitale per il fronte borghese unito contro il proletariato arabo e il massacro dei civili palestinesi deve continuare per servire d’esempio al proletariato del mondo intero.

Ne fanno le spese i palestinesi, i partiti dei quali, da parte loro, chiedono unicamente il «diritto» al ritorno, sancito dall’ONU dopo l’espulsione che hanno subito nel 1948.

Se europei ed Usa hanno imposto alla Russia sanzioni economiche per ritorsione al suo intervento imperialista in Ucraina, mai hanno neppure pensato ad imporre sanzioni allo Stato d’Israele. Il mondo borghese non è che una continua contraddizione.

Non è il diritto che salverà i popoli, ma la guerra di classe.

Anche gli Stati Uniti si richiamano al diritto internazionale e all’accusa di crimini contro l’umanità per giustificare l’intervento nel Kurdistan iracheno, mentre il macello israeliano su Gaza continua.

L’avanzata delle truppe in lotta contro Baghdad – un fronte composto da frazioni borghesi eterogenee – minaccia questo bastione americano situato al confine con l’Iran. Le sofferenze delle popolazioni cristiane e della minoranza yazida, la presenza di personale americano ad Erbil costituiscono un perfetto alibi per giustificare le dichiarazioni di Obama, del ministro degli affari esteri francese Fabius e del presidente del consiglio italiano Renzi, tutto per preparare l’opinione pubblica ad un intervento militare. Ma chi vuole sa bene che la regione costituisce una formidabile base per i sodati americani e inglesi in una zona fra la Siria e l’Iran! Se gli Usa riuscissero ad occupare militarmente il paese o una parte soltanto – anche se col ferro e col fuoco – e a controllare il governo iracheno, incapace di soddisfare perfino il clan sciita, rafforzerebbero la loro supremazia nella regione. Il licenziamento del fronte sciita del primo ministro Maliki è già un prima passo in questa direzione.

Sarebbe una illusione credere che ci sia una soluzione alla questione palestinese sul piano nazionale o, peggio ancora, che essa possa derivare da accordi di compromesso tra “i grandi Stati democratici”. La borghesia palestinese non ha alcuno slancio rivoluzionario o, a voler parlare come i nostri democratici, alcun carattere progressista. Fatah ha più paura del proletariato palestinese che della borghesia israeliana. Quanto ad Hamas, è stato sostenuto e appoggiato dallo Stato israeliano in opposizione a Fatah col fine di dividere ed indebolire una borghesia palestinese già moribonda e pronta ad ogni compromesso e compromissione.

Quello di cui Israele non vuole assolutamente sentir parlare è la creazione di uno Stato palestinese, pur sapendo che sarebbe una finzione di Stato. Ciò che spiega l’ultimo intervento militare di Israele a Gaza può essere proprio questo: Hamas stava perdendo terreno ed era intenzionato a passare la mano del governo di Gaza a Fatah, una cosa che il governo israeliano vedeva molto male. L’assassinio dei tre adolescenti israeliani è servito di pretesto all’aggressione militare anche se i servizi segreti israeliani sapevano bene che Hamas non aveva nulla a che vedere con questi assassinii.

La sola via d’uscita per il proletariato del Medio Oriente è quella di ritrovare la via rivoluzionaria della lotta di classe e cercare di unificare le lotte proletarie in tutta la regione, sia sul piano sindacale, nella lotta contro il padronato per la difesa dei suoi interessi materiali immediati, sia sul piano politico ricollegandosi al proletariato di occidente e al programma di un Partito Comunista Mondiale. Uno solo lo scopo: il rovesciamento di tutte le borghesie e la distruzione con la forza dei loro Stati.

PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

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