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(Il nuovo ordine mondiale è guerra)

GUERRA E MODERNITA’

(28 Agosto 2014)

La guerra sembra riaffacciarsi sullo scenario geopolitico come una prospettiva “globale”.
I conflitti in corso in particolare quelli in Ucraina, Iraq e Siria e lo spostamento d’asse nei principali equilibri internazionali hanno fatto riprendere consistenza all’ipotesi di un conflitto generalizzato di dimensioni planetarie che veda di fronte gli Stati Uniti e la coalizione occidentale (comprensiva del Giappone che, com’è noto geograficamente, si colloca nell’Estremo Oriente) e la Russia alla quale si sta accostando la Cina.
Si tratterebbe di una deflagrazione a intensità altissima, quasi insopportabile per l’intera umanità: un rischio da scongiurare assolutamente ma che appare verosimile perché hanno ormai perso di forza e di autorevolezza quegli organismi internazionali che durante l’epoca del bipolarismo” atomico” Usa/Urss (1948-1991) avevano bene o male garantito la mediazione necessaria e l’insorgere, conclusa anche la fase della sola superpotenza, di una molteplicità apparente di conflitti dalle diverse motivazioni (compresa quella dello “scontro di civiltà, tra Occidente e Islam fondamentalista) della possibilità di una risoluzione del “contenzioso” (in particolare dal punto di vista degli approvvigionamenti energetici) attraverso una guerra di tipo generale.
Soprattutto però è cambiato il concetto di “guerra” dal punto di vista della concezione della “modernità” e della possibilità di giustificare storicamente, e anche dal punto di vista filosofico, l’evento bellico.
La fase che stiamo attraversando appare proprio quella del superamento del ruolo degli USA a disporre da soli dello “ius ad bellum”: in questo periodo la guerra è rientrata in circolazione come moneta sonante del pagamento dell’azione politica anche nell’area europea, sia a livelli sub-statuali (quella definita come “terrorismo”) intrecciati a livelli sovra-statuali (appunto il già citato “scontro di civiltà”).
In questo quadro, contraddistinto proprio dall’unicità di presenza di una sola superpotenza, quella statunitense e a fronte della già ricordata palese obsolescenza del sistema di legalità internazionale fondato sull’ONU, si era ricorsi ad un uso “normalizzante” della guerra: quella “asimmetrica” contro il cosiddetto terrorismo, quella “umanitaria” che oltrepassava il principio di non ingerenza; quella “preventiva” che andava oltre il divieto della guerra d’aggressione, fino alla guerra “per la democrazia” che si fondava sull’ipotesi che vi fossero nessi cogenti fra la qualità interna di un ordine politico e la sua propensione alla guerra, e che in un mondo democratizzato” all’occidentale” le guerre sarebbero state impossibili.
Dal cappello dell’apprendista stregone di questi concetti sono sorti, non tanto improvvisi, mostri dalle diverse teste: i Talebani in Afghanistan, il Califfato del Levante e quello della Nigeria, tanto per fare degli esempi concreti oltre alle nuove dittature islamiche e/o militari in Egitto, Tunisia, Algeria e il dissolvimento d’intere unità statuali, dall’Iraq alla Libia dalla Somalia all’Eritrea al Sud Sudan.
Sono ormai saltati quei principi che la teoria e la filosofia politica avevano ricercato per creare le condizioni e le modalità di una possibile “guerra giusta” (un ideale inseguito fin dalla prima filosofia cristiana in Agostino e poi nella Scolastica da Tommaso): limiti dell’ingerenza in difesa dei diritti umani; proporzione degli atti di guerra rispetto alle offese da riparare; problema della liceità delle armi di distruzione di massa.
La scienza politica aveva affrontato, da parte sua, il problema attraverso i metodi e le categorie dell’idealismo e del realismo, attraverso le nozioni di equilibrio e di egemonia.
Oggi tutta questa impalcatura teorica e ideologica sembra saltata e siamo alla guerra globale dove è saltata la distinzione fra guerra e terrorismo, tra civili e militari, fra Stati e gruppi armati “privati”.
La scena internazionale appare così percorsa da innumerevoli conflitti di vario livello e diversa intensità, con base su sfondi apparenti anche diversi da quelli di tipo economico come quelli religiosi o identitari.
Quale migliore occasione allora per “ripristinare l’ordine” per via bellica da parte di chi intende affermare un nuovo multipolarismo concepito in modo tale da usarne i meccanismi per puntare al recupero del bipolarismo presentandosi come il propugnatore di un diverso equilibrio rispetto a quello imperniato su di una sola superpotenza?
Potrebbe esser questo il tema all’ordine del giorno nei prossimi mesi, attorno al quale riflettere soprattutto da parte di chi sa benissimo che non è proprio il caso di cadere nella trappola dello “scontro di civiltà” e che la logica dominante rimane quella dello sfruttamento dell’uomo e del pianeta e che in gioco c’è proprio la libertà di poter disporre a proprio piacimento della facoltà di sfruttare al massimo dell’intensità senza tener conto della necessità di un equilibrio riguardante la presenza (ormai a rischio) del genere umano sul pianeta.

Franco Astengo

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