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ATTUALITA’ DELLA QUESTIONE COMUNISTA IN ITALIA

(21 Settembre 2014)

La rappresentazione prevalente del Novecento appiattisce e condensa tutti gli eventi del secolo in un processo al contempo catastrofico e liberatorio sfociante nel crollo del 1989.
Secondo tale narrazione l’Europa novecentesca è stata l’epicentro principale del teatro della guerra mondiale che, scoppiata come conflitto militare per decidere a quale potenza statale toccasse il dominio sul mondo, per effetto della rivoluzione russo-bolscevica si è trasformata in una prolungata guerra civile mondiale tra capitalismo e comunismo, tra due sistemi opposti sul piano politico, economico, ideologico.
La lotta tra i due contendenti è sfociata in una sconfitta apparentemente definitiva, quella del comunismo sulla quale si sono innestate le teorie della “fine della storia”.
I critici di questo esito, spesso eredi dei “comunisti critici”, sostengono che le attese miracolistiche nel mercato autoregolantesi e nell’innovazione tecnologica non hanno fatto altro che riprodurre e alimentare le cause della crisi, stando alla base del gigantesco processo di finanziarizzazione speculativa dell’economia verificatosi a livello globale i cui effetti, a causa della ferocia nella gestione capitalistica del ciclo, si stanno esprimendo con grandissima forza sulla realtà delle condizioni materiali delle classi lavoratrici, mentre nello stesso tempo si sta sviluppando l’assalto alle condizioni climatiche del pianeta, arrivate al punto tale da mettere in discussione la stessa sopravvivenza dell’umanità nel giro di pochi anni: condizione dettate da un’élite minoritaria che tiene completamente sotto controllo la nostra economia, i nostri processi di decisione politica e la maggior parte dei mezzi di comunicazione come scrive oggi, 21 Settembre, Naomi Klein sulle colonne del “Manifesto”.
La vittoria senza argini del capitalismo sembra così riprodurre e rinnovare le motivazioni pratiche e ideali che hanno alimentato il comunismo novecentesco, e al di là di esso molti altri movimenti e posizioni politiche e ideologiche.
La storia non è finita: la democrazia, lungi dal generalizzarsi (nonostante i tentativi di esportarla “sulla punta delle baionette”) si svuota di contenuto anche nei paesi che l’hanno tenuta a battesimo, le enormi diseguaglianze economiche di cui scrive Thomas Piketty nel suo “Capitalismo del XXI secolo”, cambiano forma ma aumentano, l’esibizione delle ricchezze e le tragedie della fame convivono nello spettacolo quotidiano inscenato dai media, la criminalità e l’illegalità avanzano di slancio in un paesaggio sociale desolato.
Si è cercato di condensare in queste poche righe le ragioni profonde dell’attualità delle idee di eguaglianza, solidarietà e riscatto sociale che stanno alla base di un’esigenza profonda di rinnovamento e di rilancio di un’identità comunista, per certi versi inedita, ma strettamente connessa e intrecciata con il corso della storia del movimento operaio.
L’Italia, sotto quest’aspetto, non è un paese marginale: ma anzi presenta elementi sotto l’aspetto del portato teorico e politico dai quali poter ripartire per rilanciare questa “attualità del comunismo” che rappresenta la ragione per la quale questo breve testo è stato scritto.
Esiste e può persistere, sotto quest’aspetto, un “caso italiano” che naturalmente deve essere inquadrato all’interno delle due assi fondamentali di riferimento per un possibile movimento comunista a tutti i livelli: la lotta di classe e l’internazionalismo.
Il punto di partenza non potrà che essere, almeno a mio giudizio, il “genoma Gramsci”.
Le potenzialità de pensiero gramsciano, in una dimensione decisamente post-nazionale, possono essere riscoperte in un contesto totalmente mutato, proprio quando non esistono più i referenti politici all’interno dei quali si era sviluppata la sua primitiva elaborazione.
Anzi proprio il pensiero gramsciano può essere utilizzato per costruire nuove soggettività politiche poste all’altezza dello scontro i cui termini si è cercato di individuare nella prima parte di questo testo.
Quel “genoma Gramsci” lucidamente individuato da Lucio Magri nel suo “sarto di Ulm” tentando di raggiungere un grado di autonomia teorica posto proprio sul piano del riferimento alla storia della sinistra comunista italiana: da Gramsci a Ingrao, dal Manifesto al sindacato dei consigli.
Storia della sinistra comunista italiana che fu bruscamente interrotta al seminario di Arco (modifico, in questo, un mio giudizio di allora alla luce dei fati di oggi: quella storia non finì, ma fu interrotta).
Scaturì da Arco un’ipotesi di Rifondazione Comunista del tutto inadeguata, come abbiamo ben visto, al riguardo della prospettiva politica futura.
Un’inadeguatezza sancita non tanto e non solo dall’incapacità di risolvere il dilemma: governo o opposizione (tradotto nell’incapacità di scegliere tra autonomie e subalternità) ma soprattutto per due scelte tragicamente sbagliate che hanno segnato irrimediabilmente il destino di questa formazione: l’accettazione del modello maggioritario – presidenzialista (fino al limite, esploso in Sel dell’adozione del modello di partito “personale – elettorale”) e la confusione tra autonomia del politico e movimentismo: una confusione che ha avuto, nel ruolo ricoperto da Rifondazione Comunista nell’occasione del G8 di Genova nel 2001, il suo punto di vera e propria rottura.
Un’inadeguatezza complessiva che ha portato a una sorta di isterilimento politicista che ha coinvolto tutta l’area della sinistra alternativa contagiando anche quei settori che pure, in quest’ultima fase, stanno cercando di muoversi per definire un itinerario di possibile ricostruzione sul piano politico.
La richiesta che s’intende avanzare in quest’occasione è molto semplice da far emergere quanto complessa da attuare: si tratta di mettere in moto un processo di costruzione dei quadri, all’interno del quale emerga uno spazio chiaro d’indirizzo verso la storia e la realtà della sinistra comunista in Italia.
Senza concessioni a diversi “ismi” principiando da economicismo e movimentismo, ma avviando un lavoro serio di costruzione di ricerca storica e d’identità.
Ciò non potrà avvenire senza che, in contemporanea, non sarà messo in moto un processo di costruzione di una soggettività politica organizzata: un Partito Comunista rivolto verso il futuro, verso le necessità di sintesi e di proposta politica delle lotte sociali in corso e non rivolto a recuperare spezzoni di un passato ormai superato.
Dal rinnovamento della presenza dei comunisti in un Paese come l’Italia può nascere una possibilità di riannodare fili di percorsi che forse più di altri hanno qualcosa da dire al tempo presente e al futuro imprevedibile che ci attende: tenuto conto che, nell’articolazione estrema del quadro internazionale con specifica urgenza di quello europeo, ci troviamo di nuovo di fronte a un “caso italiano” all’interno del quale appare decisiva e prioritaria la questione della rappresentanza democratica.

Franco Astengo

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