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CONSENSO, PARTECIPAZIONE ELETTORALE, CENTROSINISTRA, SINISTRA

(23 Settembre 2014)

consens

Ilvo Diamanti

Ilvo Diamanti nel suo consueto “Mappe” pubblicato ieri, 22 Settembre, da “Repubblica” analizza i livelli di consenso consolidati da Matteo Renzi e dal PD dopo il risultato elettorale delle europee, laddove il partito democratico raggiunse quasi il 41%.
Secondo Diamanti i due livelli di consenso, quello per il primo ministro e quello per il Partito si stanno divaricando, smentendo, forse, almeno in parte l’analisi sviluppata da Mauro Calise sull’ultimo numero della Rivista di Scienza Politica laddove il miglior teorico del “partito personale” tendeva a far coincidere ormai quasi del tutto la figura del Segretario – Presidente del Consiglio con quella del Partito nel suo insieme.
Secondo Diamanti il consenso per il Presidente del Consiglio sarebbe in calo, pur mantenendosi a livelli molto elevati, mentre si consoliderebbe quello per il Partito sempre attorno al 41%: con una novità, starebbero rientrando alla base i voti strappati al centrodestra nell’occasione delle Europee.
Si ristabilirebbero, insomma, confini di “appartenenza” storica (non proprio ideologici, ma insomma) e l’approvazione per Renzi, da un lato, e per il PD apparterebbero quasi per intero all’area del centrosinistra (addirittura per il 90%), stabilendo così un dato di vera e propria egemonia non scalfita dalle rimostranze della minoranza PD o dall’inconsistenza assoluta della presenza di SeL.
Un centrosinistra del resto “nominale”, articolato su di un soggetto unico protagonista solitario di una coalizione dominante dal punto di vista sociale, riferimento della profonda trasformazione nei valori, nella capacità di aggregazione, nelle proprie espressioni sul territorio, nella struttura del partito ormai completamente assestata, attraverso le primarie e le elezioni di II grado, sull’individualismo competitivo e su di un nuovo notabilitato composto di burocrati (e burocrate, sotto quest’aspetto le donne ministro, fanno davvero impressione: roba da Presidium del Comitato Centrale) professionali.
Nella sua analisi però Diamanti non prende in considerazione un dato che deve, invece, essere ritenuto fondamentale rispetto ai possibili sviluppi nell’assetto del sistema politico, ed è quello della partecipazione al voto.
Il 41% del PD, infatti, è stato ottenuto su di una percentuale di votanti del 58,6%.
Non si tratta, come sostenne all’epoca il prof. D’Alimonte di un calo fisiologico di livello “europeo”: una percentuale di astenuti del 41,4% significa che, in un Paese come l’Italia a forte livello di politicizzazione sul piano “storico”, ci sono interi pezzi di società privi di rappresentanza politica non riducibili all’agnosticismo cronico.
Esiste una questione di “offerta politica”, sia dal punto di vista della sinistra, sia dal punto di vista della destra (questo rimane, comunque, nonostante le modificazioni sociali e culturali il paese del “bipartitismo imperfetto” delineato a suo tempo da Giorgio Galli).
Se il PD modifica la propria offerta, cancellando, di fatto, il centrosinistra e mostrandosi appunto come “Partito della Nazione” sorretto da una coalizione dominante (cosa molto diversa dalla DC del’48 che pure il Corriere della Sera evocava domenica scorsa) il problema si presenta soprattutto a sinistra, in due direzioni:
1) L’elettorato della sinistra PD e di SeL presa consapevolezza dell’inutilità del proprio voto può prendere due strade: quella di confluire all’interno della “vocazione maggioritaria” oppure rifugiarsi nell’astensione (non si tratta di settori dell’elettorato sensibili al richiamo dell’antipolitica e quindi propensi a rimpinguare il bottino del M5S);
2) Si presenta un’occasione molto importante per un’espressione politica di sinistra d’opposizione. Un’opposizione compiuta, d’alternativa, capace di presentare progetti e programmi all’insegna di due elementi di contenuto del tutto trascurati dall’impostazione dominante: quello dell’Europa e quello delle ormai insopportabili diseguaglianze sociali, sulle quali sta insistendo una parte rilevante d’intellettualità progressista. Al punto da far tornare di piena attualità anche la “questione comunista”.
Molti saranno chiamati, a breve, a decidere verso quale parte dirigersi sul serio: a partire dalle elezioni regionali, SeL, Lista Tsipras, Rifondazione Comunista dovranno stabilire, irrimediabilmente in questo caso, se far parte del “Partito della Nazione” e quindi accontentarsi delle briciole del 41% del 58% (più o meno il vecchio 25% quando votavano il 90% delle elettrici e degli elettori: il PCI superò quella soglia nel 1963) oppure rivolgersi davvero “altrove” tentando di unificare la tenace residualità ancora in campo con il vasto mondo che è sfuggito per altri lidi.
Non serviranno però le sigle esistenti e ormai decadute: partendo, rispetto alle dinamiche del nostro sistema politico, dall’idea della scomparsa del centrosinistra e della necessità di un’opposizione sistemica (all’interno della quale poter riproporre in termini adeguati la “questione comunista”) sarà necessaria una soggettività nuova, diversa, alternativa pur collocata storicamente nel solco della grande tradizione della sinistra italiana.

Franco Astengo

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