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Addà veni la profezia Maya

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(3 Novembre 2012) Enzo Apicella

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TERZO SETTORE: QUESTIONE DI ETICA O DI BUSINESS?

(24 Gennaio 2015)

Dal n. 25 di "Alternativa di Classe"

terzosettore

Renzi al Festival del Volontariato di Lucca

Le indagini sul “Mondo di mezzo” hanno finalmente portato all'onore della cronaca un altro business (anche se, fino ad oggi, è considerato tale solo per i suoi legami con quella che viene definita “criminalità”), ma che normalmente viene visto come “opera meritoria”. Certamente un Salvatore Buzzi non avrebbe il minimo dubbio su cosa rispondere alla domanda del titolo; il problema di fondo, per noi, è, invece, l'ingenuità di troppi compagni, che non riescono a vedere il nesso oggettivo tra “attività sociali” e business, oppure, al massimo, lo ritengono una anomalia.
Il “Terzo settore” è così chiamato perché viene dopo il primo, che è lo Stato, visto come erogatore di servizi, ed il secondo, che è il mercato, regno del profitto. Esso comprende, perciò, tutta quella galassia di attività generalmente rese da privati, ma con scopi “pubblici”, di pubblica utilità; va a confondersi, perciò, con il cosiddetto “non-profit” e copre, se inteso in senso largo, l'insieme delle attività non statali, fino al “confine” con il mercato ufficiale.
Per fare un po' di storia, esso trae origine dal “mecenatismo” rinascimentale, divenuto poi “filantropia” da parte dei “cittadini” più facoltosi (soprattutto nei Paesi anglosassoni), ma, come Settore vero e proprio, nasce in Occidente, nella seconda metà del secolo scorso, legato ad un relativo benessere dei lavoratori dei Paesi più ricchi, che, dopo le “Società di Mutuo Soccorso”, hanno canalizzato la propria solidarietà verso situazioni di disagio vicine o lontane, attraverso una qualche attività volontaria, che affiancava il lavoro.
Gli ordinamenti giuridici statali se ne sono poi dovuti occupare ben presto, vista la sua crescita, per creare condizioni fiscali di favore, trattandosi, in genere, di obiettivi ritenuti “etici”; il confine, in Italia, con le preesistenti società cooperative e le “associazioni senza scopo di lucro” è divenuto, così, quanto mai labile. Tutte insieme, le cooperative, le mutue e le associazioni, oltre alle “fondazioni”, ammesse più di recente, hanno formato, a livello UE, la cosiddetta “economia sociale”, che ha il vincolo di produrre più della metà del reddito a favore del lavoro e meno della metà per il capitale.
Della specifica galassia del “non-profit” (che non esaurisce certo la “economia sociale”), in Italia fanno certamente parte, in ordine di uscita della normativa di riferimento, le “organizzazioni non governative (ong)”, le organizzazioni di “volontariato”, le “cooperative sociali”, le “fondazioni ex bancarie” e le associazioni di “promozione sociale”. Nel '98 è stata istituita una “anagrafe” delle “Organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS)”, che comprende di diritto quelle ricomprese nelle prime tre tipologie, oltre a molte altre, che si riferiscono a tipologie racchiuse in undici campi di azione definiti; queste ultime possono fare domanda, per essere poi ammesse al peculiare regime fiscale agevolato.
Nel 2005 sono state normate le ”imprese sociali”, disciplinate dal D. Lgs. n.155/'06, quasi tutte a denominatore “culturale” e che, formalmente, operano nel mercato a fini “diversi dal profitto” (??) all'interno di campi ben definiti (Tipo “A”, se cooperative): l'assistenza sociale, l'assistenza sanitaria e socio sanitaria, l'educazione, l'istruzione, la tutela ambientale, la tutela dei beni culturali, la formazione universitaria, la formazione extrascolastica ed il “turismo sociale”, oltre a chi fornisce “servizi strumentali” ad imprese sociali e chi, invece (Tipo “B”, se cooperative), impiega almeno il 30% di manodopera disabile e/o svantaggiata, per attività agricole, industriali, commerciali o di servizi.
Riconosciute in Europa anche in Portogallo, Francia, Belgio, Spagna, Polonia, Finlandia e Regno Unito, le “imprese sociali” avrebbero tutte “finalità di interesse generale”, e perciò possono impiegare fino al 50% di “volontari”!... Inoltre la “responsabilità patrimoniale”, se supera i 20000 Euro, non è attribuita ad alcun socio, ma “all'organizzazione”. Non necessariamente in forma di cooperative, ma con qualsiasi ragione sociale, non prevedono distribuzione di utili (contabilizzati come tali) ai soci. E' proprio quanto avviene ora anche alle società che gestiscono “beni comuni” come l'acqua, dopo il famoso referendum “vinto” e le decisioni del Dicembre 2013 della “Autorità per l'Energia elettrica, il Gas ed il Sistema idrico (AEEG)” sulle tariffe dell'acqua, nelle quali il profitto ha cambiato nome...
Tra il 2003 e il 2012, il numero di “imprese sociali” in Italia è più che raddoppiato, passando da circa 8.500 a circa 17.600, con una crescita maggiore nel Mezzogiorno (+136%); nello stesso periodo il numero dei dipendenti è aumentato del 114%, arrivando a sfiorare i 474.000, in controtendenza rispetto all'andamento generale del mercato del lavoro: nel 2014 la flessione occupazionale è rimasta notevolmente più contenuta che negli altri settori, mentre Unioncamere auspica una “sempre maggiore integrazione fra imprese “non profit” ed imprese “profit” in un'ottica di “sussidiarietà”. Annoverate tra i “servizi strumentali” (e perciò a loro volta “imprese sociali”), emergono ultimamente imprese che commercializzano prodotti delle “imprese sociali”, mentre le Università oggi fanno a gara nel promuovere corsi, più o meno avanzati, di “Management delle Imprese Sociali, Non Profit e Cooperative” (cominciò la “Bocconi” nel lontano 1993!...).
Il fenomeno, dichiaratamente “border line”, delle “imprese sociali” non è una prerogativa italiana, ma corrisponde a precise scelte della Unione Europea, che fino dal 1978 aveva individuato compiutamente il “Terzo Settore”. Per la UE l'importanza delle “imprese sociali” è legata ai loro “fini occupazionali”: esiste, infatti, il Fondo Sociale Europeo (FSE) a sostegno, anche e sempre più, di tali imprese (!), soprattutto se “sostenibili”.
In questo senso va, infatti, la decisione del 17 Dicembre '14 della Conferenza dei Presidenti del Parlamento europeo, che ha annunciato ufficialmente la ricostituzione dell’Intergruppo Economia Sociale al Parlamento Europeo, proprio in riferimento al Terzo settore, visto “come settore non marginale per la crescita sostenibile dell’economia a livello europeo” e “capace di creare occupazione anche in periodi di recessione”. Tale Commissione aveva già assunto di recente iniziative a favore della “imprenditoria sociale”; a differenza del resto dell'economia sociale, dove è più facile distinguere fra “sottosettori” (di mercato o meno), le imprese sociali ricomprendono una grande “varietà di risorse” (introiti dal mercato, sovvenzioni pubbliche ed attività di volontariato) a fronte di diversi “soggetti economici” che vi partecipano in vario modo: soci, dipendenti, volontari, imprese ed organismi pubblici.
In tutta la UE nella economia sociale sono stimati come “occupati”, con retribuzione riconosciuta, ben 14,5 milioni di persone, pari al 6,5% della popolazione attiva e l'occupazione in essa, dal 2002 al 2010, risulta cresciuta più dell'aumento demografico. Come numero di occupati, subito dopo le percentuali di Svezia e “Benelux”, vengono Italia e Francia, mentre nei Paesi Bassi il numero di volontari è il più alto ed è pari addirittura al 57% della popolazione adulta: una enormità!
Tentativi di sistematizzazione della materia sono avvenuti, a cura dell'ONU, fino dagli anni '90, ma il “non profit (NPO)” continua a non corrispondere alla “economia sociale”, ed al “Terzo settore” sono stati dati significati diversi, mentre in Francia, fino dagli anni '80 si è diffusa la “economia solidale”, con funzioni sussidiarie rispetto al “welfare state”, ed, insieme alla Spagna (dove nel 2011 è stata promulgata la prima legge in Europa sulla “economia sociale”), rappresenta il Paese della UE dove tali concezioni sono più accettate socialmente.
Anche in questo settore gli USA oggi primeggiano, ma non è sempre stato così: l'idea che il denaro di privati possa essere usato per il “bene comune” non era gradita dagli operai della fine del XIX° secolo, che costrinsero, ad esempio nel 1890 in Pennsylvania, quasi la metà dei comuni a rifiutare elargizioni del ricchissimo Carnegie per costruire biblioteche: l'elargizione veniva considerata strumentale per l'ottenimento di prestigio, da utilizzare per aumentare, in un modo o nell'altro, lo sfruttamento! La tradizionale carità dei religiosi era accettata solo dai fedeli, sul piano locale e specificatamente indirizzata.
L'insistenza della religione, però, diffidente verso i poteri pubblici, nel tempo l'ha spuntata negli USA: i repubblicani, liberisti da sempre, hanno coniugato il rifiuto dello “Stato sociale” con la rivendicazione di autonomia delle “comunità” cristiane, che ”fanno tesoro” dei “doni”, mentre i democratici parlano di complementarietà fra lo Stato e le Chiese. Entrambi, quindi, concordano su di un ruolo di primo piano per il “no profit”. Già la presidenza Reagan negli anni '80 delegò servizi sociali a tali organizzazioni, cui si aggiunsero i subappalti previsti da George H. Bush, e, da Clinton in poi, sono stati premiati i donatori “meritevoli” ed esortati gli stessi “cittadini” comuni al “dono”.
Il primato ideologico delle chiese in USA ultimamente si è felicemente “sposato” con la crisi economica, causando un forte incremento, innanzi tutto, di “organismi senza fini di lucro”, che sono diventati quasi un milione, e poi di percentuale del PIL, fra cui le “donazioni” rappresentano circa il 2% ed il 15% del bilancio, sostituendo miliardi di dollari di “spesa pubblica”. Le forti deduzioni fiscali, che le donazioni lì comportano, hanno portato alla nascita di società specializzate nella raccolta di fondi (con appositi telefonisti e “sollecitatori” porta a porta), che trattengono per sé più della metà degli introiti, nonché di uffici di consulenza per indirizzarle più proficuamente in tutti i sensi. Intere università e molte delle stesse “chiese” si reggono, in pratica, sulle donazioni.
Ultimamente qualche miliardario alla presidenza di fondazioni USA teorizza che “Le organizzazioni di beneficenza che ricevono il sostegno (di filantropi – ndr) devono rendervi conto come il consiglio di amministrazione di un'impresa ai suoi azionisti...”, come ha espressamente dichiarato C. Bronfman; in pratica le persone aiutate diventano “consumatrici”, mentre volontari e lavoratori sociali diventano dipendenti dei “fornitori” di servizi. Le fondazioni negli USA decidono autonomamente dallo Stato chi e/o che cosa “aiutare” e, per rendere l'idea, due fondazioni di Bill Gates e della moglie, se fossero uno Stato, avrebbero il 70° PIL del mondo, davanti a Paesi come la Bulgaria o l'Uruguay...
Come gli USA, anche il Canada ed il Regno Unito, culturalmente ad essi più vicini, già si stanno muovendo nello stesso modo, mentre le modalità nel resto d'Europa, come già visto, sono diverse. In particolare, è dal 2011 che l'Unione Europea ha deciso di dare spazio alle “imprese sociali”; ciò dovrebbe avvenire con una maggiore “visibilità istituzionale” attraverso una migliore definizione di cosa è il Terzo settore, e relativo riconoscimento nella contabilità nazionale, e con il varo di un tavolo del “dialogo sociale” con i diversi protagonisti della economia sociale, verso una prospettiva di “economia pluralista”.
In questo senso, ma certamente a modo suo, sta lavorando il Presidente Renzi, che ha traguardato per i primi di Marzo l'approvazione di un testo di “riforma del Terzo settore”, da sottoporre a “consultazione popolare” fino a Giugno, a partire dal fatto che nel 2011 in Italia il “no profit” riguardava 301mila realtà associative (organismi), che utilizzano fondi privati al 65% per dare “servizi alla persona” (oltre che istruzione, cultura e sport), 4,7 milioni di volontari, 681mila dipendenti, 271mila lavoratori esterni e 5mila lavoratori temporanei, che ad utilizzare il lavoro volontario è l'80% degli organismi, il personale dipendente è il 13,9% ed i lavoratori con contratto di collaborazione (co.co.co. e/o co.co.pro.) è l'11,9% (con il raddoppio del numero di organismi che se ne avvalgono). E si parla, ad oggi, di una ulteriore crescita dal 4,2% del PIL!...
Il progetto di Renzi, denominato “Riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale”, è partito ufficialmente nell'Aprile '14 al “Festival del Volontariato”, tenutosi al Convento di San Francesco di Lucca: una successiva rapida consultazione telematica (“alla Renzi”) ne ha sortito le “linee guida”, che prevedono, contestualmente, di cambiare il Codice civile, dando nuova rilevanza economica al Terzo settore, che sarebbe così rappresentato da vere e proprie imprese “senza scopo di lucro” (??!), “non profit”.
In sintesi, l'integrazione fra “profit” e “non profit”, tra cui dovranno sussistere solidarietà e sussidiarietà, anche in relazione allo Stato per un “nuovo welfare” (soprattutto sul piano sanitario e socio-assistenziale), l'istituzione di una “Authority” per risolvere le relative questioni, l'introduzione di “meccanismi premiali ai comportamenti donativi o prosociali” di cittadini ed imprese, ispirati dai Paesi anglosassoni, ma anche di un “servizio civile nazionale universale” per i giovani, definito da Renzi “patriottismo dolce” come aiuto verso “formazione ed occupazione”, dovrebbero essere motivo di ampliamento di erogazione di risorse “pubbliche e private” al Terzo settore, a partire dalla “resa obbligatorietà” del “5 per 1000”.
Avrebbe poi un “trattamento di favore” qualsiasi “cittadino” che investisse fondi in “titoli finanziari etici”. Servizi di cura per bambini, anziani e disabili sarebbero forniti attraverso “buoni sociali”, dei “voucher universali” emessi da associazioni ed organismi, che sarebbero assegnati o venduti “alle famiglie”. Le cooperative sociali, infine, diventerebbero “imprese sociali” di diritto e tutte le imprese sociali diventerebbero “ONLUS” di diritto, mentre d'ora in poi le imprese sociali, di cui viene allargata la casistica, se in forma di “società”, potranno prevedere la “remunerazione del capitale” come tale nei bilanci.
Per quanto riguarda il “servizio civile universale”, non a caso facente parte del progetto di legge sul Terzo settore, non dovrebbe più essere gestito da Enti privati disponibili, se non per “sussidiarietà”, bensì dallo Stato, per sviluppare il “senso di appartenenza” ad esso. Si discute dell'eventuale carattere “europeo” (e, perciò, della possibilità del suo svolgimento in altro Paese confederato) del Servizio civile, di se e quanto (e, soprattutto, da chi) dovrebbe venire retribuito, dei “crediti formativi” o dei “tirocini” che potrebbe sortire, della sua durata, ora inferiore ed, a regime, annuale sempre o differenziata, ed, infine, della sua volontarietà, se solo iniziale o permanente.
L'insieme dei citati provvedimenti configura l'ennesima controriforma del “Matteo nazionale”, e ne è dimostrazione già la recente nomina a suo “consigliere per il sociale” del finanziere molisano Vincenzo Manes, vero “appassionato” alla ingegneria finanziaria. Manes ha già iniziato a lavorare alla costruzione di un Fondo nazionale, “in cui confluiranno denaro pubblico, soldi privati e contributi di enti e Fondazioni”, insieme a fondi europei: una sorta di IRI per il “sociale”, ma non solo. Ciò dovrebbe avvenire attraverso una “venture philantropy”, cioè “l’investimento dei capitali di rischio nel sociale per finanziarie l’avvio di attività e aiutarle a diventare sostenibili con l’obiettivo di averne un ritorno” economico, come peraltro previsto dal progetto di “riforma”.
Oltre tutto, V. Manes, “renziano” doc, è il socio in affari di Ruggero Magnoni, “banchiere d'assalto” legato alla politica romana, ex Presidente di “Lehmann Brothers Europa” e recentemente arrestato con l’accusa di associazione a delinquere, frode fiscale, appropriazione indebita e bancarotta fraudolenta, per il crac della holding “SOPAF”, la holding della famiglia... La dinastia dei Magnoni (suo padre, Giuliano Magnoni era stato socio e consuocero del famoso banchiere mafioso Michele Sindona...), infatti, aveva intessuto da tempo una “ragnatela” di rapporti economico-finanziari, all'interno della quale Ruggero era stato “buon amico” di Colaninno, avendolo “aiutato” nella sua scalata a Telecom Italia.
Si tratta, nell'insieme, di comportamenti per molti versi inediti in relazione al Terzo settore, che, per Renzi, dovrebbe diventare economicamente “il primo” per l'Italia, come ha dichiarato, grazie alla “svolta” che si aspetta dall'operato di Manes... E con grande gioia della Ministra per lo Sviluppo Economico, l'imprenditrice Federica Guidi!...
Dopo la crisi del '29 le attività legate al volontariato subirono un forte regresso, sia in USA che altrove, data l'assoluta necessità di reddito da parte della forza-lavoro, che riteneva di non avere proprio tempo per fornire lavoro gratuito. Oggi, invece, nei Paesi più “avanzati” si sta puntando addirittura ad un forte incremento del Terzo settore e ad un suo cambiamento di ruolo qualitativo proprio per rilanciare l'economia! E Renzi punta a mettersi all'avanguardia di tale tendenza! Tutto ciò dovrebbe indurre giovani e disoccupati alla riflessione!!...
Ma c'è di più. Quanto sta avvenendo è anche segno del carattere strutturale della crisi in corso. La pervasività dello sviluppo capitalistico ha saturato finanche mercati che 80-90 anni fa nemmeno esistevano, ed, oltre a riempire praticamente tutte le zone del mondo, esso sta coprendo anche momenti della vita personale che ancora non erano mercificati, perlomeno al livello odierno. A parte lo sviluppo tecnologico, veramente pochi rimangono gli ambiti in cui il capitale può ricercare ancora la propria valorizzazione, nuovo e maggiore valore aggiunto; cerca, così, di trasformare anche il volontariato in attività profittevole per sé, andando oltre il chiaro beneficio che ha già nell'appropriarsi interamente del valore del lavoro gratuito prodotto dal volontario!
Non è da oggi, ma da quando è nato il “welfare state” che il volontariato ha significato, di fatto, togliere un potenziale posto di lavoro ad un disoccupato: altro che gli immigrati! Il vergognoso Accordo sindacale del Luglio '13 rispetto ad Expò 2015 ha già provveduto ad introdurlo in ambiti inusuali... Certamente, ma è altro discorso, l'urgenza di assistere famigliari ed amici c'è, rispetto alla latitanza dello Stato, ma è la predicazione e l'insistenza della religione ad avere spinto, nel tempo, ad una diffusione così larga del fenomeno del volontariato organizzato da altri, cosa diversa dalla solidarietà, che è alternativa a questo tipo di sistema, autodeterminata com'è, per entità ed in tempi e modi. E' nota, invece, la subalternità ideologica al cristianesimo (con relativa ammirazione per qualche papa...) di diversi ambienti della Sinistra, specialmente su questo tema, ma non solo. Laddove non si tratti proprio della voglia individualistica di “arrotondare”, oggi il capitale intende fare leva sull'insoddisfazione dei bisogni primari, al fine di ottenere altro lavoro gratuito!
Di fronte al progetto di Renzi ed alla sua portata, ancora oscura per troppi, non ci sono più alibi personali, o cose del genere. Ogni compagno è veramente di fronte ad un bivio: alimentare un altro sogno del capitale o lottarci contro, rifiutando, sia personalmente, che, meglio, collettivamente, ogni forma di lavoro gratuito! Del resto, quanto emerso dalle indagini su “Roma capitale”, anche se diffuso “con il contagocce”, non sono fatti di poco conto!
Non sono ancora passati due mesi da quando l’amministratore delegato di Banca Prossima, banca del Gruppo Banca Intesa San Paolo dedicata al Terzo settore, Marco Morganti, dal palco dell’Auditorium Santa Cecilia di Roma si diceva pubblicamente “emozionato” del fatto che la sua banca garantiva, con “la piattaforma Terzo Valore” un prestito di ben 900mila Euro alla Cooperativa 29 giugno, il cui fatturato ha avuto un “boom” negli ultimi tre anni ed il cui presidente, ormai è notorio, è Salvatore Buzzi. Come è significativo anche il fatto che il Presidente di “Banca (Popolare) Etica”, sua finanziatrice, abbia dichiarato testualmente, rispetto alla Cooperativa 29 Giugno, che, per quanto gli riguardava, “Nulla era emerso circa le attività illecite dell’organizzazione.” e che, nonostante ciò, oggi essa intenda proporsi come “parte civile” al processo, in quanto “danneggiata”...
Riteniamo, comunque, che almeno una forma di volontariato necessiti quanto mai, e che ogni compagno, abbandonando eventuali altre forme, vi si dovrebbe dedicare il più presto possibile: è l'impegno vero, fattivo, organizzato e continuativo di lotta contro il capitale e “lo stato di cose esistente”, verso una società senza classi.

Alternativa di Classe

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