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Crolla il petrolio: Il governo venezuelano chiama gli operai a salvare l’economia nazionale

(2 Marzo 2015)

L’attuale sovrabbondanza di offerta di petrolio è riflesso della sovrapproduzione di greggio, accompagnata dalla decelerazione dell’economia mondiale. Si stima che alla fine del 2014 l’eccesso di offerta sia stato di tre milioni di barili al giorno. Parte della sovrapproduzione è dovuta alla comparsa sul mercato di quello che viene chiamato petrolio di scisto (shale oil), prodotto e consumato principalmente dagli Stati Uniti e che circola sul mercato a prezzi bassi. Gli USA prevedono di aggiungere circa 700 mila barili di petrolio di scisto nel 2015, a condizione che i prezzi non scendano tanto da portare le imprese del settore al fallimento. Nel corso del primo semestre del 2014 i prezzi si erano stabilizzati al di sopra dei 113$ al barile e, come è normale nella dinamica capitalistica, tutti i produttori hanno aumentato il volume della produzione immessa sul mercato, sia per quanto riguarda il petrolio, i gas e i condensati, approfittando della congiuntura favorevole. Poi, come prevedibile, è venuta la sovrapproduzione ed il calo dei prezzi. La Russia nel 2014 ha raggiunto record nelle medie di produzione, sommando la produzione statale a quella privata. Nel secondo trimestre, però, è arrivato il crollo e si stima che nel 2015 il calo nella produzione di petrolio raggiungerà i 525 milioni di tonnellate.

Arabia Saudita, Iraq, Kuwait e Iran (e altri paesi non-OPEC) continuano ad offrire il greggio a prezzi scontati per difendere le proprie quote di mercato. Questo stimola una guerra dei prezzi che va a favorire i paesi consumatori di petrolio, quelli a maggiore sviluppo capitalista ed industriale. Il ribasso del prezzo del petrolio ha avuto inevitabili conseguenze sull’economia dei paesi produttori. Le previsioni per tutto il 2015 sono che si mantengano i prezzi attuali, che anche in caso di una eventuale ripresa resterebbero al di sotto dei 100$ al barile.

La monarchia dell’Arabia Saudita ha dichiarato che il suo bilancio si basa su di un prezzo di 80$ al barile, pertanto prepara una serie di misure economiche per compensare il deficit. La sua situazione politica interna potrebbe costringerla ad spingere per una riduzione dell’offerta dei paesi dell’OPEC, che finora non si è avuta. Inoltre c’è da attendersi la reazione delle multinazionali del petrolio che vedono i loro profitti minacciati dai prezzi bassi.

Vari paesi produttori di petrolio come il Venezuela sono in recessione. Il greggio venezuelano è stato scambiato nel 2014 ad un valore medio di 88$ al barile, più basso rispetto alla media di 98$ del 2013. Ma ha iniziato il 2015 al di sotto di 40$ al barile, prezzi che non si vedevano dal febbraio del 2009. Le entrate petrolifere finanziano gli investimenti e la spesa corrente del borghese governo del Venezuela, che adesso sente la necessità di adottare le drastiche misure di quello che ha chiamato “Plan de Recuperación Económica” . Il presidente Maduro lo ha definito come: «un piano anticiclico che interrompa la spirale di declino che si è prodotta con la guerra economica alla nostra economia, e adesso con la minacciosa caduta dei prezzi del petrolio».

Il governo borghese venezuelano, mentre si dispone alla collaborazione produttiva con gli imprenditori nazionali e multinazionali, invita la classe operaia e i suoi sindacati ad uno sforzo per aumentare la produzione e l’efficienza delle aziende. Questo è il messaggio di sempre dei governi borghesi in tutta la storia in tutte le diverse circostanze economiche.

Ma l’esperienza insegna che la difesa dell’economia nazionale, la ripresa economica e della produttività delle aziende è possibile solo sulla base di un maggiore sfruttamento dei lavoratori salariati: maggiore produzione con la stessa quantità di forza lavoro, diminuzione dei salari reali, peggioramento delle condizioni e dell’ambiente di lavoro. E questa la strategia della borghesia, che si manterrà anche quando si avesse un rialzo del prezzo del petrolio.

La difesa della patria, della sovranità nazionale, della trascorsa prosperità economica, che la piccola borghesia rimpiange, sono proposte da organizzazioni e movimenti che si presentano come alternativi alle forze politiche che controllano oggi il governo, e tendono alla formazione di alleanze e fronti popolari che includano lavoratori, studenti, classe media, contadini ecc. Ma sappiamo dall’esperienza storica che questi gruppi finiscono per incanalare le lotte della classe operaia verso riforme sociali, programmi immediati e progetti piccolo borghesi di mantenimento del capitalismo.

Il governo chavista e i partiti e i movimenti che lo sostengono, lavoreranno per la pace sociale attraverso i sindacati di regime. I sindacati hanno dimostrato di essere compromessi con i padroni reggendo il gioco della demagogia, del populismo, del clientelismo, del lavoro precario e delle cosiddette “misiones sociales” . I lavoratori, organizzati alla base, devono riprendere la strada della lotta di classe, allontanati dalla loro strada gli attuali sindacati, con scioperi e mobilitazioni per l’aumento dei salari reali e la riduzione dell’orario di lavoro.

Nel “Piano per la crescita e l’espansione economica”, chiamato anche “Offensiva operaia produttiva Ugo Chavez”, presentato dalla Centrale Bolivariana Socialista dei Lavoratori (CBST) al Consiglio Presidenziale della Classe Operaia (cioè la maschera operaista dietro la quale si nasconde il governo), si afferma: «Stiamo parlando di un piano costruito dalla classe operaia: in esso i lavoratori e le lavoratrici assumono un impegno storico per incrementare la produzione e accelerare la costruzione della base economica del nostro modello ecosocialista venezuelano».

Il “modello ecosocialista venezuelano” in realtà non è che puro capitalismo. I lavoratori non sono interessati a salvare il capitalismo dalla sua crisi, come chiede il governo borghese del Venezuela e dalle borghesie di tutto il mondo. Questo non è il suo compito storico, come vorrebbe la CBST nella sua strisciante proposta al governo. Il proletariato in tutto il mondo dovrà marciare per la distruzione del capitalismo, per la presa del potere, e per l’instaurazione della dittatura del proletariato, sotto la direzione del partito comunista internazionale. Non ha senso parlare di “programmi minimi”, senza la dittatura del proletariato. L’attuazione del programma comunista porterà ad una società senza classi, senza mercato, senza merce e senza lo sfruttamento del lavoro salariato.

PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

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