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A SETTANT'ANNI DALLA CREAZIONE DELL'ONU: UN ABBOZZO DI RICOSTRUZIONE STORICA

(3 Marzo 2015)

L’Organizzazione delle Nazioni Unite nacque, nel corso della fase conclusiva della seconda guerra mondiale, sulla base delle intese raggiunte a Yalta fra Churchill, Stalin e Roosevelt, e sulla base del lavoro preparatorio compiuto dagli esperti durante la conferenza di Dumberton Oaks.
Il 5 marzo 1945 il governo di Washington diramò, in nome dei governi britannico, sovietico e cinese l’invito alle Nazioni Unite, cioè a tutti quei paesi che avevano adempiuto la condizione prevista a Yalta, di dichiarare guerra alla Germania prima dell’inizio del mese di marzo, a partire da una conferenza che avrebbe avuto luogo a San Francisco dal 25 aprile 1945, con il compito di redigere in via definitiva la Carta, cioè lo statuto della nuova organizzazione.
La Francia non era tra gli invitati, a causa della persistente opposizione di De Gaulle ad associarsi a quelli che definiva “i complici di Yalta”, anche se la delegazione francese prese parte ai lavori e ben presto essa accettò di adattarsi al ruolo di grande potenza che lo statuto in via di elaborazione le conferiva.
I firmatari dell’atto istitutivo dell’ONU furono complessivamente 49, ai quali venne aggiunta mentre era in corso il processo di ratifica, la Polonia, il cui governo provvisorio era stato riconosciuto dagli Anglo – Americani.
L’Italia fu ammessa all’ONU soltanto dieci anni dopo, il 14 Dicembre 1955 nonostante la diplomazia italiana avesse tentato invano di partecipare ai lavori della conferenza di San Francisco cui fu esclusa considerando le grandi potenze l’Italia come una delle nazioni responsabili dello scatenamento del conflitto.
Il dibattito a San Francisco, che durò esattamente due mesi poiché il documento venne sottoscritto il 26 Giugno 1945, non si tradusse in una passiva accettazione delle decisioni già prese dai tre grandi, ma vide le potenze minori e specialmente i paesi di più recente istituzione assai attivi sia nel sostenere il rafforzamento di certe norme, sia nel porre la questione dell’equilibrio dei poteri all’interno dell’organizzazione.
Questo era, infatti, l’aspetto cruciale di tutta la situazione, poiché dalla soluzione prescelta sarebbe derivato il carattere dell’organizzazione stessa: una riedizione della Società delle Nazioni, cioè un ambito giuridico di vasta risonanza ma di modesta efficacia per la discussione delle controversie internazionali, o un’organizzazione dotata davvero dei poteri, almeno in linea di principio, sufficienti a darle una capacità d’azione autonoma, ancorché subordinata alla condizione del perdurare dell’intesa tra le cinque maggiori potenze.
Il principio dell’eguaglianza giuridica dei soggetti internazionali si scontrava con quello dell’efficacia dell’organizzazione, ma da tempo gli Americani e i Sovietici avevano optato per la seconda soluzione.
Tutte le pressioni perché vi fosse una diversa distribuzione dei poteri all’interno degli organi dell’ONU vennero respinte così come vennero respinte tutte le obiezioni contrarie alla concessione di poteri speciali (vale a dire del cosiddetto diritto di veto) alle cinque potenze membri permanenti del Consiglio di Sicurezza.
Viceversa la discussione portò a risultati notevoli su altri piani.
In primo luogo essa toccò in profondità il tema dei territori non autonomi e mise in luce l’esistenza di un sentimento anticoloniale potenzialmente assai forte, imponendo che per i territori che sarebbero stati assegnati in regime di amministrazione fiduciaria la Carta dovesse espressamente menzionare l’obiettivo dell’indipendenza fra quelli assegnati alla potenza amministratrice (all’Italia toccò l’amministrazione fiduciaria della Somalia, con la data del 1960 come quella del passaggio all’indipendenza di quel paese, come, in effetti, avvenne).
Inoltre fu disciplinata tutta la materia generale dei territori non autonomi, cioè delle colonie, secondo il principio che le potenze che li amministravano avrebbero dovuto ispirarsi in primo luogo all’interesse preminente delle popolazioni amministrate, delle quali avrebbero dovuto rispettare le aspirazioni politiche e lo sviluppo dell’autogoverno.
Del pari viva discussione fu sollevata dalla creazione del Consiglio economico e sociale, il cui ruolo fu definito come quello di uno degli “organi principali” delle Nazioni Unite.
Tuttavia le discussioni più accese si svolsero attorno alla questione dei poteri del Consiglio di Sicurezza e alle modalità di votazione nel suo ambito.
E’ proprio questo tema che rende opportuna, anche in considerazione dei successivi sviluppi nel tempo, una più precisa esposizione della struttura giuridica dell’organizzazione alla quale la conferenza di San Francisco aveva dato vita.
Il trattato sottoscritto il 26 Giugno ed entrato in vigore, al termine dei vari processi di ratifica da parte dei singoli paesi membri, il 24 Ottobre 1945, era suddiviso in una premessa e 111 articoli, suddivisi in 19 capitoli.
La premessa indicava i principi ispiratori, in senso lato umanitari e pacifistici, che avevano guidato alla stipulazione del trattato.
L’articolo 1 definiva i compiti delle Nazioni Unite definendoli . “ Mantenere la pace e la sicurezza internazionale”.
A tal fine si ponevano in essere una serie di misure collettive, che veniva debitamente elencate.
Era questo primato assegnato al mantenimento della pace che rendeva l’ONU un’organizzazione potenzialmente in grado di adempiere a compiti speciali, in un’epoca che sarebbe poi stata dominata dal rischio di tensioni persistenti.
Organi dell’ONU erano e sono: l’Assemblea, il Consiglio di Sicurezza e il Segretario generale.
L’Assemblea, sede della rappresentanza paritaria di tutti i membri, riceveva in poteri di discussione e di formulare raccomandazioni.
Si trattava dunque di un organo originariamente politico, ma privo di capacità operative proprie, salvo quelle che gli fossero delegate dal Consiglio di Sicurezza o quelle che avesse saputo conquistarsi nella prassi.
Il Consiglio di sicurezza veniva indicato come il fulcro politico, giuridico ed esecutivo del sistema, poiché a esso era demandato (articolo 24) “la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale”.
Il Consiglio era composto da 11 (15 dal 1965) membri: cinque permanenti (Cina, URSS, Francia, Gran Bretagna, USA) e gli altri eletti a turno, per un periodo di due anni, fra i restanti membri dell’organizzazione.
Al Consiglio spettavano gli adempimenti relativi a tutte le modalità, pacifiche e militari, da adottare per il mantenimento della pace.
In tal senso il Consiglio veniva costituito come l’unico organo legittimato a prendere decisioni per conto di tutta l’organizzazione.
In altri termini, era ed è il Consiglio di Sicurezza che detiene il compito di “governare” le Nazioni Unite.
Veniva così tradotto in norma l’accordo politico sancito a Yalta, secondo il quale le Nazioni Unite avrebbero preso decisioni solo all’unanimità fra i grandi, cioè solo nel caso in cui non fosse esistito tra loro un conflitto.
E, per converso un conflitto tra le cinque potenze avrebbe paralizzato la capacitò decisionale del consesso, come accadde durante il lungo periodo della guerra fredda e della divisione del mondo in blocchi e accade tuttora per una somma di interessi divergenti che, per certi versi, stanno portando a una situazione analoga a quella degli anni’50-60 del XX secolo fra le principali superpotenze, quella americana e quella russa, ormai affiancata da una Cina mostratasi in grado, negli ultimi vent’anni di performance di crescita del tutto eccezionali.
Il terzo organo è rappresentato dal Segretario Generale, definito “il più alto funzionario amministrativo dell’organizzazione” (articolo 97) e nominato dall’Assemblea Generale su designazione del Consiglio di Sicurezza.
La decisione di limitarne le funzioni esclusivamente all’ambito amministrativo rifletteva la volontà di evitare ciò che era accaduto nella Società delle Nazioni, e cioè che il Segretario Generale acquistasse autorità propria.
Tuttavia questa autorità veniva indirettamente concessa quando si attribuiva al segretario (articolo 99) il potere di richiamare l’attenzione del Consiglio di Sicurezza su qualunque situazione egli giudicasse suscettibile di mettere in pericolo la pace e la sicurezza.
Il ruolo amministrativo riceveva così un contenuto politico, la cui portata sarebbe dipesa dalla personalità dei singoli segretari generali.
La Carta prevedeva minuziosamente una procedura per la soluzione pacifica delle controversie mediante negoziati, inchieste, ispezioni, mediazioni, conciliazione, arbitrato, regolamento giudiziale o ricorso a organizzazioni regionali ovvero in altre forme definite di concerto (cap. VI).
Prevedeva anche le misure da adottare in caso di situazioni suscettibili di mettere in pericolo la sicurezza internazionale, di violazione della pace e di altri atti di aggressione, considerando una serie di forme di intervento di severità crescente, non dissimili da quelle previste dalla Società delle Nazioni, e culminanti nella decisione dell’uso della forza propria o fornita da singoli membri dell’organizzazione ( capitolo VII, articoli 41 e seguenti).
Nell’ambito del diritto di autodifesa, la Carta ammetteva (capitolo VIII) la formazione di accordi difensivi regionali, abilitati a esercitare misure coercitive al di fuori dal Consiglio di Sicurezza, nel caso di autodifesa di uno Stato nemico.
Questo capitolo, apparentemente marginale, avrebbe poi mostrato la sua importanza negli anni della formazione dei blocchi e appare sostanzialmente disatteso oggi di fronte al sorgere di svariati focolai di guerra, con addirittura la ripresa di conflitti apparentemente di natura religiosa e/o etnica, coloniale oppure coperti dall’aberrante formula della “esportazione della democrazia”.
Meriterebbero ancora particolare attenzione i passaggi di costruzione, nell’ambito delle Nazioni Unite, dei soggetti di intervento in campo economico e sociale, in particolare del GATT e del FMI: un aspetto di particolare interesse proprio oggi, in una fase in cui si è creata una situazione di multipolarità di accordi economici nelle varie zone del pianeta tutte però all’insegna della difesa e dello sviluppo dell’economia capitalistica (pensiamo al redigendo TTIP tra Europa e USA). Un’economia capitalistica oggi impetuosamente in via di trasformazione sotto l’aspetto di un imponente processo di finanziarizzazione che ha provocato una feroce gestione del ciclo e l’aumento esponenziale del livello di diseguaglianze all’interno degli Stati, tra di essi e fra le diverse zone del mondo.
Aumento esponenziale delle diseguaglianze che ormai pare aver assunto quasi l’aspetto di un vero proprio “pensiero unico”, obiettivo esaustivo dei reggitori dell’economia globalizzata.
Con questo abbozzo di lavoro, però, si intendeva soltanto ricostruire i passaggi politico-giuridici sui quali è stata costruita l’ONU in tempi completamente diversi da quelli attuali.
L’intento delle grandi potenze, in quella fase, era di fronteggiare ciò che aveva provocato la seconda guerra mondiale, il cui esito aveva avuto le conseguenze più vaste e profonde che mai si fossero verificate nella storia mondiale.
Su questa considerazione di fondo può, allora, fermarsi questa ricostruzione storica lasciando a successivi passaggi il giudizio su ciò che l’ONU ha rappresentato nei decenni successivi: quelli della divisione del mondo in blocchi, della sola superpotenza “gendarme del mondo” e, nell’attualità, quelli di una faticosa ricollocazione degli equilibri planetari.

Per redigere questo testo è stato consultato: Ennio Di Nolfo “Storia delle relazioni internazionali 1918-1992” editori Laterza, Roma – Bari, 1994.

Franco Astengo

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