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Yanis Varoufakis, il batacchio eccentrico.

(4 Marzo 2015)

yanisvaroufakis

E’ assurto alla notorietà di grande star in Europa, Yanis Varoufakis, attuale ministro delle finanze della Grecia, personaggio autodefinitosi marxista eccentrico, nel quale alcuni milioni di greci hanno riposto le loro speranze contro gli strozzini della finanza internazionale della cosiddetta Troika. In un lungo articolo risalente al 14 maggio 2013 per il Sesto Festival Sovversivo di Zagabria intitolato “Confessioni di un marxista eccentrico”, l’attuale ministro si avventura in una serie di giravolte per “evitare il massimalismo rivoluzionario che, alla fine, aiuta i neoliberisti ad aggirare ogni opposizione alla loro magnanimità autodistruttiva, e conservare la visione dell’intrinseca malignità del capitalismo pur mentre cerchiamo di salvarlo, per fini strategici, da sé stesso” . Varoufakis basa la sua impostazione tattica su due presunti errori teorici di Marx, uno di “omissione”, l’altro di “commissione”. Cerchiamo di tradurre per il volgo la sua critica:

«Com’è che non mostrò alcuna preoccupazione che i suoi discepoli, persone con una comprensione di quelli idee potenti migliore di quella del lavoratore medio, potessero usare il potere donato loro, per mezzo delle idee di Marx, per abusare dei loro compagni, per costruire la propria base di potere, per conquistare posizioni di influenza, per approfittare di studenti impressionabili, eccetera?».

Questo sarebbe il primo errore di Marx, quello di “omissione”, quello cioè di non aver fatto qualcosa che avrebbe dovuto. Uscendo dal generico il ministro delle finanze greco fa questo esempio:

«[…] abbiamo anche visto come la rabbiosa ostilità nei confronti dell’Unione Sovietica, con una serie di invasioni come esempio principale, abbia scatenato paranoia tra i socialisti e abbia creato un clima di paura che si è dimostrato particolarmente fertile per figure come Joseph Stalin e Pol Pot. Marx non vide mai l’avvento di questo processo dialettico. Egli semplicemente non prese in considerazione la possibilità che la creazione di uno stato di lavoratori avrebbe spinto il capitalismo a diventare più civilizzato mentre lo stato dei lavoratori sarebbe stato infettato dal virus del totalitarismo mentre l’ostilità del resto del mondo (capitalista) nei suoi confronti cresceva sempre più».

Di fronte a simili argomenti verrebbe da dire: tacitati! Se però ci occupiamo anche di quello che dice è perché abbiamo – come movimento ideale marxista e comunista – alcune questioni che il modo di produzione a questo stadio di sviluppo ci pone di affrontare. Gira e rigira si torna sempre al punto di partenza: l’Urss, la sua natura, il Peppone Stalin ecc. ecc.
La storia è un processo dialettico, niente è come prima. Dunque prendiamo a pretesto il suo sfogo e puntiamo a sviluppare la nostra analisi.

Il modo di produzione capitalistico è un movimento economico iniziato molto prima di Marx con la comparsa della moderna schiavitù salariata. A Marx, pertanto, va ascritto il merito di essere il riflesso di aspirazioni ideali di miliardi di proletari. Va pertanto utilizzata quest’aspirazione ideale degli oppressi e degli sfruttati. A noi delle generazioni successive sarebbe spettato, e spetta ancora, il compito di spostare in avanti la ricerca e lo studio del punto in cui è arrivata l’onda lunga del movimento generale dell’accumulazione capitalistica.

Prendiamo allora il toro per le corna. Scrive Varoufakis: «il successo della Rivoluzione Russa indusse il capitalismo, a tempo debito, a indietreggiare strategicamente […]». No, non è assolutamente vero che la Rivoluzione russa fosse una cosa diversa dal movimento generale dell’accumulazione capitalistica. E’ il capitalismo, come modo di produzione generale, che induce a riforme come quella del 1861 in Russia, che fornisce l’impulso per una accelerazione del nuovo modo di produzione anche in quell’immenso paese. Lenin lo ripeterà più volte: “dobbiamo sviluppare il capitalismo”, prima e dopo il 1917. Il giovane proletariato russo è il figlio legittimo di questo processo, ma è in ritardo rispetto alle condizioni del proletariato americano che già 30 anni prima aveva conquistato le otto ore. Diversa è la questione dei contadini poveri e poverissimi che saranno la forza maggioritaria dell’insurrezione di ottobre. Poi la storiografia bolscevica mitizzerà come rivoluzione proletaria e comunista un movimento lontano anni luce da tali sembianze. Era il moto-modo di produzione che poneva sulla scena storica anche in Russia le sue nuove figure sociali in conflitto. Su questo grande equivoco storico si è costruita una mitologia di classe che abbiamo il compito di chiarire e siamo già troppo in ritardo per farlo.

Veniamo al “secondo errore” che il ministro greco imputa a Marx:

«[…] il suo supporre che la verità sul capitalismo sarebbe stata scoperta nella matematica dei suoi modelli (‘i cosiddetti schemi di riproduzione’). Questo fu il peggior disservizio che Marx potesse causare al suo stesso sistema teorico».

Francamente non merita nessun commento questo tipo di critica perché basta guardare il mondo d’oggi per capire che il modo di produzione procedendo per cerchi concentrici – secondo lo schema di riproduzione allargato indicato di R. Luxemburg - nel suo processo impersonale e storicamente determinato si è esteso e imposto in tutto il mondo e proprio per questo è entrato in una crisi irreversibile. Un processo economico e sociale ampiamente previsto da Marx. Ma Varoufakis insiste:

«Questa ostinazione a volere la storia, o il modello, completa, conclusa, l’ultima parola, è qualcosa che non posso perdonare a Marx. Si è dimostrata, dopotutto, responsabile di una gran quantità di errori e, più significativamente, di autoritarismo. Errori e autoritarismo che sono largamente responsabili dell’attuale impotenza della Sinistra come forza del bene e come contrappeso agli insulti alla ragione e alla libertà cui sovrintende oggi il gruppo neoliberista».

Manca poco perché non imputi a Marx le eruzioni dei vulcani e i terremoti. Non ci sottraiamo, ovviamente, a un giudizio pesante nei confronti della sinistra di questa fase storica, variamente articolata e appiattita su un bieco nazionalismo. Il fulcro della questione è che tale sinistra è l’espressione – o se si preferisce il riflesso – di quelle classi sociali che sono state e ancora sono classi complementari nel lungo processo dell’accumulazione capitalistica che ha ancora in Occidente il suo centro vitale.

La Grecia – vogliamo dire al ministro – è l’anello ultradebole e collaterale a una catena di paesi imperialistici europei che hanno vissuto, a cascata, al di sopra delle proprie possibilità, grazie ai proventi coloniali le cui briciole arrivavano anche in quel paese. Oggi è la crisi generale del modo di produzione capitalistico che scarica sui paesi più deboli e sull’ultradebole Grecia i costi dello strozzinaggio finanziario come ricerca di una boccata di ossigeno per i più forti nel tentativo di rimandare l’implosione sempre più vicina. E’ la legge della concorrenza, cioè della giungla in cui i paesi maggiori tentano di mangiare i paesi minori. E’ esattamente quello che Marx analizzò nel Capitale.

Alla riscoperta del tempo che fu

Cerchiamo a questo punto di capire la sostanza politica dietro cui si celano i supposti errori imputati al Moro da Varoufakis, che riscopre ovviamente Keynes:

«Keynes […] avendo notato che la disoccupazione si aggravava tanto più quanto più cadevano i salari, e che gli investimenti si rifiutavano di crescere anche dopo un lungo periodo di tassi d’interesse a zero, era pronto a stracciare il ‘manuale’ e a riconsiderare i modi del capitalismo».

Abbiamo capito bene? Il nostro ministro del tesoro dice di “riconsiderare i modi del capitalismo”. Di quanti modi è composto il capitalismo? Chi e perché stabilisce che debba andare avanti uno anziché un altro modo? In quale paese? Perché in un paese sì, e un altro no?

Che l’uomo della strada chiacchierando al bar dello sport “ragioni” in questo modo è passabile, che lo faccia un ministro delle finanze pure. Ma che c’entra Marx?
Vorremmo solo ricordare all’uomo di strada che Keynes “era pronto a stracciare il manuale […]” negli anni della Grande Depressione, ovvero dopo un lunghissimo periodo di straordinaria accumulazione in un paese, come gli Usa, che spadroneggiava in tutto il mondo. Pensare di applicare lo stesso criterio oggi, è da uomo della strada che discute al bar dello sport. Si diletti pure Varoufakis, ma perché prendersela con Marx?

Ancora:

«La radice della ‘scoperta’ di Keynes a proposito del capitalismo fu duplice: (a) si trattava di un sistema intrinsecamente indeterminato […] e (b) poteva cadere in uno di questi equilibri terribili in un battere d’occhio, imprevedibilmente, senza motivo, semplicemente perché un segmento considerevole dei capitalisti temeva che potesse farlo».

Un sistema intrinsecamente indeterminato? Ora si capisce perché è stato designato al ministero delle finanze, ma non si riesce ancora a capire perché se la prende con Marx.

Se il sistema capitalistico è indeterminato e ha più modi di vivere, vuol dire che è eterno e che spetta all’uomo – Keynes o Varoufakis, secondo i casi – dirigerlo in un modo piuttosto che in un altro. Se è questo che intende il ministro, allora si spiega la critica agli errori di Marx, che ha sostenuto che il modo di produzione capitalistico è impersonale e storicamente determinato; venendo meno i fattori che lo fecero sorgere, verranno meno i motivi della sua esistenza.

Veniamo allora ai fattori che determinano la messa in crisi di un sistema. Varoufakis si rifà all’Inghilterra degli anni ‘80 e della Thatcher come esempio per dimostrare che la miseria e la disoccupazione non creano rabbia sufficiente per abbattere un governo. Il cui sottotitolo è: figurarsi un sistema!

A nostra memoria la lady di ferro in quegli anni ingaggiò un durissimo scontro nei confronti dei minatori per privatizzare le miniere chiudendone alcune e ristrutturandone altre con migliaia di licenziamenti. Se il ministro greco avesse più memoria dovrebbe ricordare che quella straordinaria battaglia durata un anno fu persa perché l’Inghilterra poteva importare tranquillamente il carbone dalla Polonia e dalla Russia, che non erano comuniste, ma nazioni inclini a un processo di accumulazione per rincorrere l’Occidente spremendo oltremodo la propria forza lavoro e contribuendo in questo modo a sconfiggere i minatori inglesi, tenendo sotto torchio gli affamati minatori russi e polacchi. Dunque un Sistema storicamente determinato con uno sviluppo combinato e diseguale aveva ragione in Inghilterra, in Polonia e in Russia contro le rispettive sezioni di proletariato. Il proletariato è una classe complementare del modo di produzione capitalistico, può ergersi a soggetto solo con la crisi generale del modo di produzione. Varoufakis non crede nella crisi generale e si fa portatore di una proposta “menscevica” – come lui stesso ama definirla - per contribuire a risolvere il problema posto all’ordine del giorno in Europa. Solo in Europa?

Chi erano i menscevichi? Un partito socialdemocratico in cui si rifletteva una parte della classe operaia al suo sorgere e destinata a crescere come condizione all’indomani della rivoluzione del 1917 in Russia; mentre l’odierno proletariato mondiale è immerso con la borghesia in una crisi generale dalla quale non si sa in che modo usciranno le due classi complementari. La sinistra occidentale colpevole della sconfitta del movimento operaio? No, è il modo di produzione che ha avuto ancora frecce nel suo arco, ha avuto cioè dalla sua la forza delle leggi nella riproduzione semplice e allargata, si è giovato come sistema di poter integrare in Occidente il proletariato e renderlo in questo modo silente rispetto alla rapina colonialista prima e imperialista poi proprio perché ha utilizzato i superprofitti di quella rapina. Può valere per tutti l’esempio della Germania alla vigilia della prima guerra mondiale, oppure del proletariato americano o anche della classe operaia francese e cosi via.

Varoufakis si vanta di aver capitalizzato l’esperienza della sinistra inglese nei confronti della Thatcher e di non proporre programmi massimi, come se i minatori inglesi chiedessero il socialismo o il comunismo, cioè la luna nel pozzo. No, lui non si propone di «sfruttare la crisi dell’euro come occasione di rovesciare il capitalismo europeo, di smantellare la terribile eurozona e di minare l’Unione europea dei cartelli e dei banchieri bancarottieri». «Non siamo pronti – dice il nostro - a colmare il baratro che aprirà un capitalismo europeo al collasso con un sistema socialista funzionante, capace di generare una prosperità condivisa per le masse». Detto altrimenti: oltre il capitalismo, il capitalismo.

Niente di peggio, per un apprendista stregone, che evocare fantasmi per allontanarli. In che modo? Facendo il pompiere.

Che fare?

Ecco la ricetta di Varoufakis:

«Il nostro compito dovrebbe essere duplice: proporre un’analisi dell’attuale stato delle cose che europei non marxisti, benintenzionati, sedotti dalle sirene del neoliberismo, trovino profondo. E dar seguito a tale analisi solida con proposte di stabilizzazione dell’Europa, per por fine alla spirale verso il basso che, alla fine, rafforza solo i fanatici e incuba l’uovo del serpente. Ironicamente, quelli di noi che aborriscono l’eurozona, hanno il dovere morale di salvarla!».

La domanda sorge spontanea: com’è possibile che un simile signore venga designato a ministro delle finanze di un paese di antichissima civiltà? E’ possibile, è segno dei tempi, questo ci conforta.
Ma il “marxista” eccentrico ci riserva una ulteriore sortita:

«Rivolgendoci a diversi uditori che vanno dagli attivisti radicali ai gestori di fondi speculativi, l’idea è di forgiare alleanze strategiche anche con quelli di destra con i quali condividiamo un semplice interesse: l’interesse a fermare il circolo vizioso di retroazione negativa tra austerità e crisi, […] un effetto di retroazione negativa che mina sia il capitalismo sia qualsiasi programma progressista per sostituirlo».

Avete e abbiamo letto bene, il signor ministro teme una retroazione negativa che mina sia il capitalismo che qualsiasi programma progressista per sostituirlo. Ma non aveva sostenuto poco prima che il capitalismo come sistema è indeterminato? Il povero lettore non sa più dove sbattere la testa. Attenzione bene, il ministro ha l’asso nella manica e sollecita un’operazione di fronte unito con tutti quelli che ci stanno: attivisti radicali, gestori dei fondi speculativi e forze politiche di destra. Ci sorge un dubbio: contro chi è chiamato a combattere questo fronte unito? Lui spiega: « Il trucco sta nell’evitare il massimalismo rivoluzionario», delle masse ovviamente, visto che tutti stanno nel fronte unito da lui delineato.

Visto che Varoufakis accetta di buon grado la definizione di menscevico, gli vogliamo ricordare che dal febbraio a luglio del 1917 i menscevichi insieme ai socialisti-rivoluzionari godevano di un ampio sostegno popolare, spalleggiavano il governo provvisorio e detenevano la stragrande maggioranza nei soviet da loro stessi organizzati. Anche loro pensavano a un’alleanza tra varie forze per evitare l’insurrezione, cioè la retroazione negativa delle masse.

La luna di miele con il sentimento delle masse durò pochi mesi, già da luglio i deputati che sostenevano Kerenskij rischiavano il linciaggio da parte dei soldati, dei contadini e degli operai. Questo signore ha vinto le elezioni con Tsipras sull’onda del sentimento del minimo sforzo delle masse. Il voto è questo e non altro. La crisi economica in Europa e nel mondo intero è una cosa un poco più seria dei videogiochi di cui il ministro delle finanze greco è consulente per una famosa società. Pensare di gestire il movimento di massa reale quando il ferro si farà rovente, è una pia illusione. Gli auguriamo buona fortuna.
febbraio 2015

Michele Castaldo

Fonte

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