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(28 Giugno 2012) Enzo Apicella

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NECESSITA' DELLA GUERRA PER IL CAPITALE
NECESSITA' DELLA RIVOLUZIONE PER IL PROLETARIATO

CONFERENZA PUBBLICA A GENOVA
Sabato 28 marzo 2015, alle ore 15,30 in Salita degli Angeli 9 R (Dinegro - Ge)

(21 Marzo 2015)

Nel capitalismo le imprese devono produrre sempre più merci e a costi sempre inferiori per battere la concorrenza. Questa necessità di crescere senza mai fermarsi è al tempo stesso la forza e la condanna del Capitale. Crescendo esso genera la condizione per il potenziale benessere di tutta l’umanità: una forza produttiva del lavoro che in epoca precapitalista, solo 150 anni fa, sarebbe stata considerata una utopia. Ma compiendo questo processo il capitalismo genera anche le cause del suo declino. Aumentando l’uso delle macchine, per accrescere produzione e produttività, restringe l’impiego del lavoro salariato, che è la fonte del plusvalore, e diminuisce di conseguenza il saggio del profitto: investire diviene sempre meno redditizio. Inoltre, il volume crescente della produzione va incontro a una sempre più grave sovraproduzione: le merci restano invendute. La crescita capitalistica genera la crisi capitalistica.

Con l’inesorabile avanzamento della crisi i lavoratori di tutti i paesi sono ridotti alla povertà non per scarsità di mezzi adeguati a soddisfare i loro bisogni, come sempre è stato prima del capitalismo, bensì nel mezzo di una potenziale ricchezza mai storicamente realizzatasi: impianti industriali dalla enorme capacità produttiva fermi, magazzini colmi di merci invendute, stomaci proletari vuoti. Basterebbe far funzionare quelle fabbriche per soddisfare i bisogni dell’umanità. Ma ciò non è possibile perché non serve a realizzare profitto. Il capitalismo, da sempre inumano ma un tempo progressivo, si dimostra così anche reazionario.

In ogni azienda come in ogni paese la borghesia chiama i “propri” lavoratori a sacrificarsi per vincere la sua battaglia, rendendo più competitiva l’economia aziendale e nazionale, e cerca di convincerli che padroni e lavoratori “sono tutti sulla stessa barca”. Al contrario in questa guerra lo sconfitto è sempre il proletariato. I lavoratori, quando accettano di legare le proprie sorti a quelle dell’azienda o della patria, sono spinti in guerra fra di loro, oggi a colpi di salari più bassi e ritmi di lavoro più alti, domani a colpi di fucile e di cannone.

Il capitalismo è una lotta permanente fra Stati, gruppi industriali e finanziari, ciascuno in difesa dei propri profitti. La guerra è la prosecuzione di questa lotta coi mezzi idonei dettati dalla crisi.

E della crisi è la sola soluzione che conservi il capitalismo: distrugge le merci in eccesso, fra cui la forza lavoro; azzera i debiti dei paesi vincitori; sottomette la classe lavoratrice al massimo sfruttamento; conducendo i lavoratori al massacro fratricida sui fronti impedisce che la lotta sindacale per il soddisfacimento dei loro bisogni divenga lotta politica, ossia rivoluzione.

In tal modo la guerra consente l’avvio di un nuovo ciclo di accumulazione del capitale. Questo è il prezzo da pagare per il “ritorno alla crescita”, obiettivo che accomuna tutti i partiti votati alla conservazione di questo modo di produzione antistorico, che si dicono riformisti e sono invece tutti reazionari.

L’organizzazione dell’enorme capacità produttiva creata dal capitalismo al fine del soddisfacimento dei bisogni e non del profitto è presentata da questi partiti come una utopia. Essa invece, come spiegato su basi scientifiche dal marxismo rivoluzionario, è una possibilità materiale all’ordine del giorno della storia, come lo fu un secolo e mezza fa lo sviluppo del capitalismo. I regimi nazionali capitalisti, pur di impedire questo progresso storico e conservare alla borghesia il potere politico e i suoi privilegi, hanno già dimostrato di essere pronti a condurre l’umanità intera nella più grande barbarie della storia.

Con queste cause e con questi effetti si sono combattute due guerre mondiali e si va preparando la terza. Il ciclo di forte espansione degli anni ’50 e ’60, figlio dei 70 milioni di morti – quasi tutti proletari e contadini – della seconda guerra mondiale, si è esaurito nel 1973-’74, con la prima manifestazione della crisi attuale, da allora frenata col ricorso al debito, l’allargamento del mercato mondiale e l’aumento dello sfruttamento della classe lavoratrice, ma che, inesorabilmente, segue ad aggravarsi.

Per la preparazione della guerra, oltre alla produzione di materiale bellico, è indispensabile per la borghesia predisporre una propaganda ideologica per convincere gli sfruttati al fratricidio. La Prima guerra mondiale fu spiegata, da una parte come necessaria contro il militarismo tedesco, dall’altra contro un feroce Zar feudale. La Seconda sarebbe stata della democrazia e del socialismo contro il fascismo e il nazismo. Oggi si fa leva sullo “scontro di civiltà” e sul “terrorismo islamico”, ben pilotato dall’esterno, per dar fuoco alle polveri in Libia e Medio Oriente.

Ma il comune bersaglio dei passati e futuri fronti contrapposti è, in ultima istanza, il proletariato perché esso è la sola forza che può dare alla crisi una soluzione progressiva e non reazionaria, abbattendo con la rivoluzione il capitalismo e i suoi regimi politici. Solo la rivoluzione può impedire la guerra ed eliminare la sua causa materiale – il capitalismo – aprendo la via a una società in cui il lavoro sia finalmente emancipato dalle leggi del profitto, col superamento dell’ultima forma di schiavitù, quella del lavoro salariato.

A questo fine la classe lavoratrice deve dotarsi delle sue fondamentali armi di battaglia: il Sindacato di Classe e il Partito Rivoluzionario.

PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

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