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(18 Dicembre 2011) Enzo Apicella

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La verità negata di una resistenza tradita

(18 Aprile 2015)

Volantino del PCL distribuito in occasione del prossimo 25 aprile.

resistenzatradita

Tra il ‘43 e il ‘45, resistenza partigiana e sollevazione operaia nelle fabbriche posero concretamente la possibilità di una rivoluzione socialista in Italia. La “rossa primavera” delle canzoni partigiane esprimeva la volontà di farla finita non solo con la feroce occupazione nazista, ma con le classi dominanti che si erano servite del fascismo. La disgregazione del regime, il panico della borghesia italiana, i nuovi rapporti di forza nel Paese, misuravano le potenzialità di una svolta rivoluzionaria che liberasse l'Italia dal capitalismo.


IL PRIMO COMPROMESSO STORICO: UN COLPO AL CUORE DELLA RESISTENZA

Ma la resistenza fu tradita. Gli imperialismi vincitori della guerra si erano accordati con la burocrazia stalinista dell'URSS per la divisione delle zone di influenza. L'Italia doveva restare, per volontà di Stalin, Roosevelt, Churchill, all'interno del campo capitalistico. Il nuovo PCI di Palmiro Togliatti - in totale rottura col PCdI di Gramsci- si fece esecutore fedele delle direttive di Stalin. La svolta di Salerno sancì la subordinazione della resistenza alla ricostruzione del capitalismo italiano. L'alleanza del PCI con i partiti borghesi “democratici” e liberali, la struttura paritetica dei CLN combinata col criterio dell'unanimità delle decisioni, offrì alla borghesia italiana ciò che chiedeva: la rinuncia preventiva a mettere in discussione il suo dominio. I governi di “unità nazionale” dell'Italia liberata fecero il resto: disarmo dei partigiani, ripristino dei vecchi prefetti, restituzione delle fabbriche ai capitalisti. L'amnistia per gli aguzzini fascisti firmata dal ministro di Grazia e Giustizia Palmiro Togliatti per conto del governo De Gasperi completò il quadro. La Costituzione del 1948 non fu affatto figlia della Resistenza, ma del suo tradimento. Come disse Piero Calamandrei scambiò “una rivoluzione promessa con una rivoluzione mancata”: tanti principi solenni di giustizia sociale per mascherare e abbellire la continuità dello sfruttamento capitalista.
“Ma si garantì la democrazia!” si obietta. Falso. L'insurrezione partigiana aveva rovesciato il fascismo. Ma la “democrazia” del capitalismo è stata pagata a caro prezzo dai lavoratori: le cariche della polizia contro gli scioperi operai, i reparti confino e i licenziamenti politici per i comunisti, la lunga pagina delle repressioni del dopoguerra. Il tradimento di una rivoluzione spiana sempre la via alla reazione. Anche dentro l'involucro di una democrazia borghese.


IL SECONDO COMPROMESSO STORICO APRI' LA VIA ALLA SECONDA REPUBBLICA

A partire dal '68 la classe operaia e le grandi masse giovanili che si ribellarono ai padroni e al regime democristiano ripresero a modo loro la domanda di liberazione della Resistenza. L'ascesa della classe operaia, la ricomposizione attorno ad essa della popolazione povera di tutta Italia, l'unità tra operai e studenti, assieme alla crisi verticale del vecchio blocco di potere DC, riaprirono la concreta possibilità di una svolta anticapitalista.
Ma la domanda di svolta fu nuovamente tradita. Il PCI di Berlinguer, in perfetta tradizione togliattiana, subordinò la classe operaia a un secondo compromesso storico con la DC. La burocrazia CGIL guidata da Lama accompagnò la nuova unità nazionale con la svolta dei sacrifici (EUR), che cancellava le rivendicazioni dell'autunno caldo e predicava la “austerità” per gli operai. Il grande movimento di massa che per sei anni aveva calcato le fabbriche, le scuole, le piazze di tutta Italia, fu distrutto e disperso dalla delusione. Disorientamento, passivizzazione, qualunquismo (“i partiti sono tutti uguali”, “la politica è una cosa sporca”) cominciarono a farsi largo in grandi settori di massa e a forgiare un nuovo senso comune.
Iniziò così quel lungo riflusso del movimento operaio che preparò lo sbocco della Seconda Repubblica. Dopo il crollo dell'URSS, la crisi distruttiva della DC fu capitalizzata non a sinistra, ma a destra. Il gruppo dirigente del PCI che aveva tradito prima la Resistenza e poi il 68, concluse la propria onorata carriera sciogliendo il proprio partito per affrettare il proprio accesso al governo. Al governo del capitalismo naturalmente, contro una classe operaia che aveva preventivamente disarmato e disperso. Tutto ciò ha aperto la via negli ultimi 20 anni ad una sistematica distruzione di tutte le conquiste che l'autunno caldo aveva strappato, nelle fabbriche e nella società, nell'alternanza pendolare tra Centrosinistra e Berlusconi).


IL SONNO DELLA SINISTRA GENERA RENZI

Anche negli ultimi 20 anni la classe operaia ha cercato più volte, sia pure da posizioni di maggiore debolezza, di reagire alle politiche dominanti: la protesta radicale contro il governo Amato nel ‘92, lo sciopero generale del ‘94 contro Berlusconi, la stagione dei movimenti del 2001/2004 ancora contro Berlusconi. Ma ogni volta che il movimento di massa ha rialzato la testa, le sue direzioni gliel'hanno abbassata. Subordinandola ciclicamente all'eterna riproposizione del Centrosinistra, ogni volta annunciato come “nuovo”, ogni volta copia del precedente.
A gestire e a coprire questa politica non sono state solo le burocrazie sindacali, ma anche il Partito della Rifondazione Comunista. Un partito nato formalmente come “cuore dell'opposizione”, ma rapidamente convertitosi al governo del capitalismo. Al punto da votare nel primo governo Prodi l'avvio della precarizzazione del lavoro (Treu) e il record delle privatizzazioni in Europa; e nel secondo governo Prodi, in cambio di un ministero (Ferrero) e di un Presidente della Camera (Bertinotti), la detassazione dei profitti dei capitalisti e le missioni di guerra. Da qui un suicidio politico senza ritorno.


“RIFARE LA SINISTRA”. QUALE?

C'è da meravigliarsi se dopo tutto quanto è accaduto la “sinistra” ha perso credibilità e riconoscibilità sociale presso masse sempre più larghe? C'è da meravigliarsi se in assenza di riferimenti credibili a sinistra e sullo sfondo della più grande crisi capitalistica, masse consistenti di lavoratori finiscono col farsi irretire dal renzismo, dal salvinismo, dal grillismo, forme diverse di populismo reazionario anti operaio?
Il fatto che oggi l'Italia sia governata da un aspirante Bonaparte come Matteo Renzi, che progetta la riforma elettorale e istituzionale più reazionaria della storia repubblicana (peggio persino della legge Acerbo del 23) è il peggiore insulto alla Resistenza. Il fatto che questo progetto reazionario non solo non incontri un'adeguata opposizione di massa, ma possa addirittura avvalersi del consenso drogato di parte del popolo della sinistra allo sbando, misura il fallimento dei gruppi dirigenti della sinistra italiana, l'enorme disastro da essi prodotto.
E' necessario “rifare la sinistra” si dice. Verissimo. Ma non quella del passato, non quella che ha tradito, non quella che ha svenduto ogni volta tutte le migliori potenzialità di svolta che si sono affacciate nella storia, non quella che illude su un possibile “compromesso col capitalismo” per candidarsi a governarlo.
C'è bisogno di costruire finalmente una sinistra rivoluzionaria. Una sinistra anticapitalista che stia sempre e solo dalla parte dei lavoratori. Una sinistra che riconduca ogni lotta e rivendicazione immediata alla prospettiva di un governo dei lavoratori quale unica vera alternativa. Il Partito Comunista dei Lavoratori (PCL), l'unico che non ha mai tradito gli operai, è impegnato ogni giorno in questa impresa. L'unica all'altezza delle migliori aspirazioni partigiane.

Partito Comunista dei Lavoratori

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