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La fabbrica della paura

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(5 Gennaio 2010) Enzo Apicella

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La Cina s’avvicina

(21 Aprile 2015)

cinasavvicina

Attrazione interessata - L’accordo sino-pakistano di queste ore, non coinvolge solo la sfera economica, che prossimamente potrà addirittura trasbordare dai pur ciclopici 46 miliardi di dollari convogliati da Pechino verso la popolosa e irrequieta potenza regionale asiatica. Le mosse cinesi assumono contorni geostrategici senza muovere ufficialmente pedine militari, come invece accade a un alleato fino agli anni scorsi privilegiato di Islamabad: gli Stati Uniti d’America. Che nel cuore dell’Asia vogliono continuare a starci, nonostante la debâcle afghana e i pronunciamenti di ritiro, per tacere del caos creato dall’Iraqi freedom. Il Pakistan, attraverso il porto di Karachi, ha rappresentato e rappresenta la via d’ingresso della corposa macchina bellica terrestre che gli Usa scaricano dalle navi e che, viaggia non senza difficoltà, verso le mete preposte. Tante armi, munizioni e materiale di supporto giungono ovviamente anche dai cieli, e le mega basi aeree create a Kabul e in altre province afghane, sono servite per queste necessità. La diplomazia di Pechino guarda al Pakistan da tempo nella sua doppia veste di avversario dell’India, la concorrente economica diretta della Cina, e come riferimento regionale in antagonismo a Iran, Arabia Saudita e Turchia.

Il marchio della SCO - Col premier Gilani, prim’ancora di Sharif, si erano stilati accordi economici ed era tornata in auge la proposta di confluire nella Shangai Cooperation Organisation, dove la Russia che giganteggia con la Cina (Kazakistan, Khirghizistan, Uzbekistan, Tajikistan sono le altre nazioni aderenti) invita all’ingresso anche l’India. Quest’ultima, pur ponendosi come Paese osservatore, non ha mai avanzato richieste. Fra le potenze regionali è presente l’Iran, mentre la Turchia si è aperta a una partnership esterna. La SCO non si ferma alle relazioni economiche, i membri della struttura lavorano in sinergia sul tema della sicurezza in un’area instabile a elevata concentrazione di guerriglia - i network talebani con caratteristiche di resistenza alle truppe Nato - più il combattentismo indipendentista delle aree tribali (Fata), passando per i baluchi e i miliziani delle TTP, autori degli attacchi stragisti a Peshawar per vendicare la repressione dell’esercito pakistano nel Nord Waziristan. Un’insorgenza disposta a macchia di leopardo anche in zone dove il business minerario delle aziende cinesi necessiterebbe di tranquillità. Accanto a quella estrattiva dei metalli dell’hi-teach e delle armi più sofisticate (terre rare e dintorni) l’altra attività commerciale ruota attorno all’energia.

Corridoi solo economici? - Paesi come il Turkmenistan possono far viaggiare il proprio metano in gasdotti pianificati come quello denominato Tapi, di cui si discute da anni e che avvicinerebbe le non amorevoli relazioni di Pakistan e India, attraversate dalla pipeline assieme all’Afghanistan. Quest’ultimo, con la provincia di Kanadahar ad alta concentrazione talebana, costituisce l’anello debole del progetto per le oggettive ragioni di sicurezza e controllo del territorio. Aziende pakistane come la Pakistan Petroleum Limited e la Oil and Gas Development Company sperano di poter mettere le mani almeno sulla parte di gasdotto che attraversa il proprio territorio, ma il colosso energetico francese Total è in prima fila per l’aggiudicazione della commessa. Con la nuova immissione di capitali la Cina sta ‘corteggiando’ pesantemente la leadership di Islamabad. Le accoglienze in pompa magna riservate da Sharif al presidente Xi Jinping, certamente uno dei potentati del mondo, partendo da intenti commerciali potranno imboccare percorsi geostrategici. La questione dei “corridoi economici”, ad esempio, punta a sviluppare l’ipotesi già impostata quattro anni or sono sul porto di Gwadar, assai vicino al confine iraniano e prospiciente al Golfo Persico. L’intento sarebbe quello di renderlo grande quanto e più di Karachi.

Il mare del petrolio e della Quinta flotta - Nei piani cinesi più che inserirlo nella grande via marina che da Shangai giunge all’Adriatico (passando per le coste del Viet-nam poi Jakarta e Colombo, toccando l’Africa e insinuandosi nel Mar Rosso per varcare Suez) Gwadar farebbe da hub per una delle comunicazioni mercantili interne fino a Islamabad e attraverso la parte meridionale della Cina riaffacciandosi sull’omonimo mare. Eppure il grande porto potrebbe non essere solo mercantile. I colloqui avuti sinora non lasciano trasparire nulla. Ma alla Quinta flotta Usa, disposta nel Bahrein, pensare di avere subito dopo il Golfo di Oman un luogo dove possano aggirarsi anche solo mercanti cinesi può non piacere, pensieri simili vagano nelle testa degli sceicchi. Allo stato attuale ogni illazione è fantapolitica, poiché una certezza nelle relazioni internazionali cinesi è la lontananza da interferenze e provocazioni. Però le consulenze nucleari dei suoi consiglieri a Islamabad sono note e nella ridefinizione dei mercati globalizzati possono entrare sempre più geostrategie che trattano il controllo delle aree dove si produce e dove materie e merce viaggiano. Le nuove ‘vie della seta’ possono intersecarsi con l’instabilità e la delicatezza di certi beni e gli scenari possono mutare. Per ora i pechin-dollari serviranno ad aprire tre grandi direttrici di comunicazione interne dal mare Arabico al nord pakistano Chissà se trasporteranno anche materiale bellico americano nel cuore dell’Asia.
21 aprile 2015

articolo pubblicato su enricocampofreda.blogspot.it

Enrico Campofreda

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