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LA CRISI DEI PARTITI

(18 Maggio 2015)

I partiti stanno attraversando un periodo di massima impopolarità, ridotti all’evidenza di soggetti svuotati del dibattito politico e impegnati quasi esclusivamente nel costruire clientele all’interno delle quali esercitare, pressoché incontrastato, un puro “potere di nomina”.
Nonostante ciò la discussione attorno alla loro realtà, la loro natura, la prospettiva che presentano nell’insieme del rapporto con il complesso del sistema politico è quanto mai vivo ed anche impegnato: è il caso, in questo senso, di citare l’articolo di fondo di Ernesto Galli della Loggia, apparso domenica 17 Maggio sul Corriere della Sera.
Galli della Loggia formula due ipotesi: con la prima attribuisce al trasformismo la causa principale della crisi del sistema e in secondo luogo articola un bilancio della fase definendola di “ritorno allo Statuto” e cioè di ritorno al cosiddetto “partito dei notabili”, che si forma in Parlamento per sostenere di volta in volta il gabinetto ministeriale di turno che si presenta, sempre e comunque, privo di alternative.
Galli della Loggia compie un richiamo storico riferendosi al “connubio” cavouriano, primo esempio in questo senso fin dal Parlamento Subalpino e dagli albori del Parlamento Italiano ma dimentica un altro esempio che, anche nella denominazione, sarebbe apparso ancor più calzante e per certi versi inquietante: quello del “Partito della Nazione” (proprio così, in largo anticipo su Reichlin e Renzi) di Giolitti che trovava, appunto, la sua maggioranza in Parlamento appoggiandosi su deputati eletti sia a sinistra (nella maggior parte) sia a destra fidando proprio sul fatto che alternative non se ne ravvedevano.
Il gioco parlamentare era tutto interno al gruppo dei maggiorenti che reggevano le fila di gruppi parlamentari “mobili”, accomunati dalla ricerca del potere e capaci di un’espressione legislativa legata alla logica clientelare sia rispetto ai gruppi economici (in quel momento in via di formazione nell’Italia della prima industrializzazione dove era forte il dibattito sulle nazionalizzazioni, dalle ferrovie alla siderurgia) sia rispetto alle realtà territoriali.
Galli della Loggia omette un altro particolare, quello della limitatezza del suffragio allora in vigore: sarebbe stato Giolitti, poi, sulla spinta della formazione dei grandi partiti di massa (il socialista) e del ritorno dei cattolici in politica (sia pure nella forma “mascherata” del Patto Gentiloni) ad allargare le maglie del suffragio, arrivando quasi al suffragio universale maschile (25 anni sapendo leggere e scrivere, ma includendo gli analfabeti che avevano svolto il servizio militare), mantenendo però con le elezioni del 1913 i collegi uninominali.
Insomma, per Galli della Loggia i partiti hanno compiuto il ciclo: dal “partito dei notabili”, ai grandi partiti di massa di tipo ideologico dominanti per tutta la seconda metà del ‘900, ai partiti “pigliatutto”, a quelli “personali” e/o “azienda” fino al ritorno appunto proprio a quelli dei “notabili”.
Nel frattempo l’insussistenza di riferimenti ideali avrebbe riportato, naturalmente, il voto a una sorta naturale di “suffragio limitato” passando da una partecipazione che per decenni aveva superato il 90% degli aventi diritto a una percentuale oscillante attorno al 60%, con punte al ribasso.
Una sorta di selezione naturale che proprio nell’occasione delle elezioni regionali previste per il prossimo 31 Maggio e osservando le polemiche sulle candidature si verificherà in virtù di meccanismi di riferimento di tipo clientelare e corporativo.
Non a caso il Governo si permette di snobbare categorie che erano state riferimento nella fase dei partiti di massa (in particolare a sinistra) come gli insegnanti e i pensionati che in assenza di alternative si rifugeranno nell’astensione per non cadere a destra nel sollevamento egoistico-identitario del razzismo, elargito a piene mani dalla propaganda relativa al tema degli immigrati.
Il riferimento del voto diventa quindi quello del notabile che può elargire benefici selettivi a categorie ben precise dislocate sul territorio che formano l’insieme delle clientele che sostengono il candidato di turno, frutto di una selezione personalistica fondata sull’individualismo competitivo, del quale sono espressione massima il Circo Barnum delle cosiddette “primarie” (competizione del tutto diversa, nel metodo e nel merito, rispetto al modello delle “vere primarie” quelle USA: nel nostro caso un orrido adattamento all’italiana che già anticipa il meccanismo clientelare del voto).
Eppure i temi di fondo sui quali si era sviluppate il radicamento sociale fondativo dei grandi partiti di massa sono ancora tutti presenti nelle “fratture” che anche la società moderna presenta: in particolare e principalmente il tema della distinzione di classe, una distinzione sempre più feroce a livello globale all’interno di un quadro di spietata gestione capitalistica, intrecciata a quelle altre distinzioni di stampo post-materialista, di genere, ambientale, della pace.
La sinistra, arresa all’individualismo della società consumistica e all’ineluttabilità della gestione comunque del potere, non sembra (o non vuole) rendersi conto di questo stato di cose e non pensa a riprendere il discorso dell’identità collettiva nell’azione politica organizzata da realizzarsi attorno ai temi della trasformazione radicale della società.
Nel frattempo svilisce l’idea di una democrazia parlamentare che si rattrappisce proprio nello scontro, imperativamente diretto dall’alto, della pura gestione del presente: la legge elettorale appena approvata corrisponde esattamente a questo tipo di esigenze oggettive attraverso la smisuratezza del premio di maggioranza e la “nomina” dei capilista (veri e proprio notabili davvero) che esercitano anche il potere di nomina di chi gli sta alle spalle attraverso il meccanismo della pluralità delle candidature.
Questi sono i temi di fondo della trasformazione e della crisi del sistema dei partiti, soggetti che tutti ritengono indispensabili al funzionamento della democrazia, ma con idee ben diverse tra di loro proprio sull’esercizio della funzione fondamentale nel funzionamento dello Stato.
Sarà possibile, nella sinistra d’alternativa, riflettere davvero su questi punti per preparare un’effettiva capacità di contrasto e di opposizione rispetto al degrado crescente?
Tenendo conto, in più, di un elemento sul quale ci si era soffermati qualche tempo fa senza approfondirlo, quello relativo alla crisi della democrazia italiana come elemento di una sorta di “esperimento” portato avanti a livello europeo di costruzione di un “regime” che corrisponda in pieno alle logiche monetariste e di quell’austerità che per essere imposta ha bisogno della massima riduzione della dialettica e del confronto politico.
Insomma “partito dei notabili” e “regime” in funzione dell’unilateralità della soffocante imposizione dell’austerità europea.

Franco Astengo

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