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(23 Marzo 2011) Enzo Apicella
Questo pomeriggio carri armati israeliani hanno bombardato Gaza: 5 civili uccisi, 10 feriti. 3 bambini ammazzati. Stavano giocando a calcio.

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    Sri Lanka: appunti su un viaggio internazionalista

    (28 Maggio 2015)

    srilankappunti

    Un’esperienza stimolante e la possibilità, per certi versi unica, di confrontarsi con l’agire di un partito rivoluzionario molto radicato in un paese lontano: questo è quello che hanno vissuto Emiliano e Luca, due compagni romani, militanti della Casa del Popolo Giuseppe Tanas, che dal 26 aprile al 6 maggio scorsi sono stati in Sri Lanka, ospiti del JVP (Fronte di Liberazione del Popolo). Un’occasione legata alla giornata del 1° maggio, ancora molto sentita nell’isola dell’Oceano Indiano e considerata cruciale dall’organizzazione in questione. In particolare, il JVP non organizza solo un corteo che si svolge nella capitale, Colombo, ma – nei giorni immediatamente precedenti e successivi alla festa dei lavoratori – dà vita a diversi momenti di confronto con delegazioni provenienti da tutto il mondo. dai partiti comunisti di Pakistan e Bangladesh, al Partito Marxista-Leninista Irlandese sino ad importanti realtà della sinistra greca, quali il PAME (Fronte Unito di Tutti i lavoratori) e il KKE (Partito Comunista di Grecia). Del resto, il PAME fa parte di quella Federazione Sindacale Mondiale che comprende anche la Socialist Workers Union, l'organizzazione dei lavoratori legata al JVP. Proprio con quest’ultima, i due compagni romani hanno avuto modo di incontrarsi, verificandone, tra l’altro, i tratti distintivi rispetto ai sindacati europei. In effetti, qui, il rapporto tra partito e sindacato è più stretto che da noi, tanto che il leader della SWU è contemporaneamente membro del Comitato Centrale del JVP. Cosa che sarebbe inconcepibile da noi e che peraltro coesiste con altri dati più vicini alla realtà dei paesi a capitalismo avanzato, come l’esistenza di altri sindacati non solo meno conflittuali, ma sostanzialmente filo-padronali e/o parte integrante degli apparati dello Stato. La SWU, dal canto suo, porta avanti – spesso con successo – lotte radicali, con scioperi che non sono pubblicamente indetti qualche settimana prima, come si fa in Italia, ma convocati sul momento eppure incisivi, a conferma di una consolidata presenza tra gli sfruttati. Ma in quali settori del mondo del lavoro interviene? A ben vedere, essi sono quelli dominanti in un paese che, sin qui, ha avuto uno sviluppo industriale limitato, perlopiù concentrato nella capitale: il turismo e la sanità, i servizi, la scuola, l’agricoltura e il tè sono comparti in cui il sindacato è assai forte. Per non dire del turismo, attualmente una della principali voci dell’economia nazionale: gli 800000 visitatori del 2014 possono sembrare pochi se paragonati ai flussi che interessano paesi come Francia e Italia, ma sono un miglioramento rispetto agli anni passati e, soprattutto, alla fase buia dell’aspra guerra civile (1983-2009) che ha contrapposto le forze governative alle milizie separatiste Tamil. In più, si tratta di un settore in espansione, grazie alle meraviglie di un paesaggio tropicale tra i meno contaminati dell'Asia. Due località marine che i nostri interlocutori hanno potuto vedere, Hikkaduwa - frequentata da europei – e Galle – prediletta dai cinesi – sono appunto indicative di una forte crescita delle presenze straniere. Va specificato che gli alberghi migliori sono legati a grandi catene internazionali, peraltro non solo occidentali, dato che negli ultimi anni non sono mancati – nel campo della ricettività – investimenti russi (laddove i cinesi si sono concentrati nei servizi al turismo). Ciò che più conta, però, è il forte ruolo svolto dalla SWU, attestato dal fatto che un suo dirigente è anche responsabile del turismo nell’organizzazione sindacale mondiale. Per quanto concerne, invece, agricoltura e tè sono considerati distinti per motivi che attengono alla composizione etnica e religiosa dello Sri Lanka. La stragrande maggioranza dei lavoratori del tè appartiene all'ampia minoranza tamil, che parlavano una lingua diversa dal singalese dominante e praticano la religione induista e, in subordine, musulmana, laddove nel paese è maggioritario il buddismo. In questo caso, lo sforzo organizzativo portato avanti dal sindacato ha incontrato non poche difficoltà, ma non è stato privo di risultati. Al corteo del 1° maggio, una sfilata dal forte impatto scenografico, era ben distinguibile uno spezzone di lavoratori del tè. Altre peculiarità, sono state rilevate nel confronto con l’organizzazione giovanile del partito (Socialist Youth Union), la quale sviluppa un’attività nettamente distinta da quella che connota dal Socialist Students Union. Ciò, perché qui il grosso dei giovani non arriva agli studi universitari, anche se è buona – in relazione ad altri paesi asiatici – la percentuale di diplomati alle scuole superiori. L’intervento sviluppato nel mondo giovanile è in parte volto a combattere la persistenza di usanze retrive: in questo senso, si arriva ad usare la giornata di San Valentino (14 febbraio) per mettere in discussione un istituto come la dote, eloquente simbolo della subordinazione femminile. D’altronde, il paese risulta pesantemente condizionato da una mentalità tradizionalista, in parte legata al fattore religioso e al ruolo di un buddismo complessivamente meno aperto di quello che si può incontrare in Thailandia. Il JVP promuove regolarmente campagne relative all’emancipazione delle donne e ad esso si lega un'organizzazione femminile (Socialist Women's Union) che il 1° maggio ha dato vita ad uno spezzone vigoroso, ma la battaglia su questo fronte risulta particolarmente impegnativa. Sicuramente, uno dei suoi momenti di svolta sarà costituito dal miglioramento delle condizioni contrattuali delle donne comunque inserite nel mondo del lavoro. In questo senso, appare significativo il fatto che tra i tanti spezzoni che hanno contrassegnato la sfilata della giornata dei lavoratori, ve ne fosse uno, assai vivace, animato dalle infermiere. Un’altra conferma della forza sociale del JVP, a cui si debbono aggiungere le espressioni di consenso registrate per le strade di Colombo, con persone che salutavano dalle case o che portavano acqua e dolci ai leader. Non solo, la stampa locale ha dovuto riportare che si trattava del corteo più grande tra i quattro che hanno attraversato la capitale in quel giorno. Quale grande differenza con il nostro paese! Oltre al JVP, infatti, hanno organizzato cortei il governo, il Partito Comunista dello Sri Lanka, di tradizione filo-sovietica, e un’importante organizzazione trotskista locale, il Socialist Equality Party. Il che potrebbe dare il senso non solo della ricchezza ed articolazione del movimento dei lavoratori, ma anche della sua frammentazione. In effetti, con il Partito Comunista a suo tempo legato all’Urss i rapporti sono pessimi: pesa la sua scelta di essere interno a tutti i governi di centro-sinistra anche quando questi hanno dismesso lo Stato Sociale e portato avanti le privatizzazioni. Con i trotskisti la polemica è meno aspra, ma la collaborazione rimane parziale, circoscritta ad alcune tematiche locali o ad iniziative internazionaliste, come quelle in solidarietà con il popolo palestinese. A monte, certo, vi sono delle cospicue differenze ideologiche: il JVP riconosce come suoi unici maestri Marx, Engels e Lenin, i cui ritratti giganteggiavano sul palco del 1° maggio. Negli anni ’60, certo, il fondatore dell’organizzazione, Rohana Wijeweera, ritenne valide molte delle critiche mosse dalla Cina all’Urss, ma lo stesso Mao, pur rispettato, non è inserito nel novero degli ispiratori. Se questo è l’approccio rispetto al Grande Timoniere, va detto che il giudizio sulla Cina attuale è in chiaroscuro, essendo quest'ultima vista a un tempo come paese dove in qualche modo ancora si dà un governo della classe lavoratrice e come potenza incline all’egemonismo. L’intervento economico cinese nello Sri Lanka, particolarmente evidente a Colombo, dove non riguarda solo il già citato turismo, ma anche infrastrutture, cantieri edili e altro, non viene certo ascritto alla “cooperazione socialista”. Cordialissime sono invece le relazioni con il Vietnam: conseguenza di quella vittoriosa lotta contro il più forte ed aggressivo imperialismo del pianeta che ancora viene ricordata con commozione ma forse anche del fatto che questo paese – pur registrando notevoli livelli di crescita economica (in senso capitalistico) – non mira a proporsi tra i soggetti “dominanti” del continente. Sul piano internazionale, però, il vero punto di riferimento rimane Cuba, considerata affine anche in quanto esempio di socialismo in un paese tropicale. D’altra parte, l’isola caraibica ha saputo superare problemi come la febbre Dengue, malattia infettiva tropicale che qui invece ancora produce stragi in periodiche, devastanti epidemie. Intervenendo sulla decisione dell’esecutivo di Colombo di acquistare i medicinali cubani contro la Dengue, il JVP ha suggerito che forse, per risolvere il problema, bisognerebbe importare pure il socialismo. A parte questo, le campagne in solidarietà con Cuba – come quella legata alla liberazione dei 5 patrioti per anni ingiustamente imprigionati negli USA – costituiscono, assieme a quelle sulla Palestina, sono assi portanti di un'azione internazionalista cui, tuttavia, non sfuggono altre dirimenti questioni all’ordine del giorno: al corteo del 1° maggio, infatti, erano presenti anche cartelli con la scritta “giù le mani da Siria, Ucraina, Venezuela”. C’è quindi una netta condanna di tutte le ingerenze o aggressioni imperialiste, ma non necessariamente i paesi che ne sono oggetto assurgono al ruolo di modelli, anzi, persino rispetto al Venezuela, l’idea è che vada sostenuto con vigore perché retto da un governo progressista ed antimperialista ma non indicato in quanto esempio di “costruzione del socialismo”. Verosimilmente, questo modo di leggere le questioni internazionali si lega, oltre che all’impianto teorico marxista-leninista dell’organizzazione, anche al suo peculiare percorso storico, che ai compagni della Casa del Popolo è stato illustrato da un membro del Comitato Centrale. Il quale ha spiegato la genesi del partito, nel 1965, ed ha messo in luce per quali motivi esso si è è sempre caratterizzato come forza d’opposizione, in un paese che, dopo la conquista della “vera indipendenza”, nel 1972, è uscito dalla condizione, inaugurata nel 1948, di dominion britannico (cioè di paese semi-autonomo politicamente) e si è chiamato Repubblica Democratica Socialista dello Sri Lanka, risultando interno al Commonwealth ma collocandosi, sul piano geopolitico, al fianco dei paesi non allineati. Il punto è che, nonostante un certo dirigismo economico – invero, sconfessato con l’ondata di privatizzazioni dell’ultimo ventennio – lo Sri Lanka non ha mai affrontato alla radice problemi come la miseria che affligge la maggioranza dei suoi venti milioni di abitanti. Circa il 60% della popolazione, infatti, vive negli slums: una realtà che Emiliano e Luca hanno potuto appurare già a Colombo, dove a non molta distanza dall’albergo di cui sono stati ospiti, hanno incontrato un'impressionante schiera di baracche di lamiera. Ma la povertà era ben visibile anche in altre località in cui sono passati: a Kalutara, città della costa, sono entrati in abitazioni senza pavimento. Laddove a Kandy, importante centro urbano dell’entroterra, hanno meglio compreso la diversità dei regimi alimentari, sempre legata alle condizioni sociali. Nelle zone costiere, sulle tavole abbonda il pesce, mentre il pollo è alimento per pochi, mentre nelle zone interne, come appunto Kandy, è il pesce ad esser considerato come un cibo d’élite. Ma se sono evidenti le ragioni economico-sociali per cui nello Sri Lanka non può esser dismessa l’opzione rivoluzionaria, ci sono altre questioni che, viste da qui, risultano meno chiare. Per anni, ad esempio, diverse forze della sinistra europea hanno criticato, ritenendola venata di nazionalismo, la totale contrarietà del JVP al movimento separatista Tamil. Il compagno del Comitato Centrale – ritornando anche sugli anni della guerra civile – ha invece difeso questa posizione, ricordando che la sua organizzazione si è opposta ad attacchi nei confronti della popolazione Tamil in quanto tale perpetrati da gruppi singalesi estremisti e ribadendo la necessità di preservare l’integrità territoriale del paese, da intendersi come Stato in cui convivano pacificamente le diverse etnie e confessioni religiose. Nel paese, infatti, le differenze etniche, non solo tra singalesi e tamil, ma legate anche a più piccole minoranze, come i burgher e i nativi veddahs, s'intrecciano, come s'è in parte visto, con la pluralità dei culti1. La proposta che si rivolge a tutti sembra in fondo riassumersi nello slogan “cingalesi, tamil” e/o “buddisti, induisti, musulmani uniti nella lotta”, esprimendosi, in concreto, in tentativi come quello – prima affrontato – di radicarsi tra i lavoratori del tè, ma sul tema – non facile e di portata generale perché riguardante, in fondo, qualsiasi società multiculturale – sarebbe utile confrontarsi ulteriormente. Un altro aspetto che, nel corso dei diversi incontri, Emiliano e Luca hanno potuto sviscerare è l’attuale modo di muoversi sulla scena politica da parte di una organizzazione che in passato ha praticato in diverse circostanze la lotta armata: con l'insurrezione del 1971, ad esempio, e con quella del 1987, organizzata in seguito alla implacabile repressione di scioperi e mobilitazioni. Entrambe le volte, vista la ferocia della controrivoluzione statale, i costi umani sono stati spaventosi, nel secondo caso traducendosi nella perdita di 60000 militanti e dello stesso fondatore Rohana Wijewera, ucciso nel novembre del 1989. Oggi, il partito svolge la sua azione integralmente alla luce del sole, con l’uso dello strumento elettorale e le battaglie condotte, certo energicamente, da un sindacato legale. Ovviamente, siamo lontani anni luce dalle derive elettoralistiche della sinistra alternativa italiana, puntualmente e sonoramente bocciate ad ogni votazione. L’organizzazione, che ha diversi parlamentari ed è ancor più presente nei consigli provinciali, ritiene che questi passaggi vadano affrontati autonomamente, escludendo qualsiasi alleanza con forze politiche borghesi. Una scelta che si ritiene possa sortire effetti positivi alle elezioni legislative che si terranno in estate. Ovviamente condividiamo questo augurio, ma nel frattempo ci pare chiaro che, in questo caso, più che di settarismo si deve parlare di indipendenza di classe.

    Del resto, al JVP non può esser negata una certa dose di pragmatismo, sempre lontana da qualsiasi caduta opportunistica. In occasione delle elezioni presidenziali dello scorso gennaio, non presentando propri candidati e senza appoggiarne direttamente alcune, il partito ha dato indicazione di non votare per il candidato uscente, Mahinda Rajapaksa, al suo terzo mandato, Il che, implicitamente, ha voluto dire una posizione non sfavorevole al candidato poi risultato vincitore, Maithripala Sirisena. Questa scelta tattica è stata determinata da motivazioni serie, legate all’assetto istituzionale del paese. Il Presidente uscente, infatti, ha modificato in suo favore la Costituzione, alterando gli equilibri di una repubblica semi-presidenziale con l'indebolimento non solo del Parlamento ma anche il Consiglio dei Ministri. Il vincitore, in sede di campagna elettorale, aveva promesso di ridurre l'eccessivo potere nella figura del Presidente. Non andargli contro è stato un modo per rendere meno autoritario lo Stato e, dunque, garantire maggiore agibilità al proprio operato. Come si vede, parliamo di scelte sempre profondamente ragionate, consone ad una organizzazione che vuole rafforzare la propria posizione nel paese. E che, in questo senso, cura molto anche la formazione dei suoi 100000 militanti, come testimonia il fatto che, tra gli eventi successivi al 1° maggio vi è stata la presentazione d’un libro, dovuto ad una scrittrice russa e incentrato sulla descrizione del vissuto dell’Urss negli ultimi decenni. Presenti all’iniziativa e pubblicamente ringraziati come esponenti del movimento comunista italiano, i due compagni romani hanno appreso che, ogni mese, il partito indica un testo alla lettura e al dibattito fra militanti: questo, dal tema assai significativo, era il libro del mese di maggio. Di più, come ogni partito rivoluzionario anche il Jvp dispone di un periodo attraverso cui orientare i militanti. Si tratta di un settimanale che si chiama Red Power e a cui si affiancano pubblicazioni come quella dell’organizzazione giovanile. Ulteriori segni di quella saldezza organizzativa che spinge i dirigenti e i militanti ad essere fiduciosi sul medio e lungo termine. D’altro canto, l’ottimismo della volontà qui è molto diffuso: quando Emiliano e Luca hanno spiegato che in Italia, attualmente, non c’è un vero partito rivoluzionario, si sono sentiti rispondere, da compagni che s’erano appena ripresi dallo stupore: “non vi preoccupate, se vi affidate agli insegnamenti del marxismo-leninismo presto lo avrete”.

    1 A proposito della quale, va ricordato che se i Singalesi sono in massima parte buddisti, tra loro non mancano i cristiani, cattolici o protestanti.

    Il Pane e le rose – Collettivo redazionale di Roma

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